[Internazionale] Bahar Kimyongur: Siria, il genocidio dimenticato

Bahar Kimyongur è un attivista politico belga, di origini turche, militante del Partito del lavoro del Belgio, una formazione politica marxista-leninista. Il compagno è stato al centro dell’interesse internazionale a seguito di un procedimento giudiziario (da cui è stato assolto) in cui veniva accusato di terrorismo per avere tradotto dal turco in francese dei comunicati diffusi dal DHKP-C, un’organizzazione rivoluzionaria turca considerata come terrorista dallo Stato turco ed inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche dall’Unione europea.

La vera ragione di questi attacchi giudiziari è la denuncia sistematica che Bahar e compagni hanno fatto rispetto al ruolo dello Stato turco nel conflitto in Siria, descritta come una guerra per procura cui il governo di Erdogan partecipa direttamente mediante manovre di infiltrazione e sovversione terrorista in Siria o mediante l’invio di armi dal territorio turco ai gruppi fondamentalisti finanziati da Arabia Saudita e Qatar. Questo lavoro di inchiesta da Kimyongür debitamente documentato, trovando conferme dall’evoluzione della situazione in Siria, ha spinto il governo turco a fare richiesta di estradizione dal suo territorio.

Giriamo questo suo prezioso scritto per stimolare il dibattito su temi che oggi trovano l’interesse di tanti compagni e compagne con la falce e martello nel cuore, che segue con interesse gli sviluppi internazionali senza riuscire ad averne una visione complessiva e coerente. Ci preme in tal senso sottolineare che è evidente quanto in ogni paese imperialista e in ogni nazione schiacciata dal tallone della Comunità Internazionale il disordine regni sovrano: la crisi avanza, la borghesia ha sempre maggiori difficoltà a governare e le masse popolari si mobilitano. Il sistema economico e di governo dominante sull’umanità deve cambiare e cambierà, a determinare in che modo da paese a paese lo deciderà la mobilitazione delle larghe masse.

I governi del Venezuela e della Corea del Nord, ma anche dell’Iran e della Siria, stanno dando un grande esempio a tutti coloro che si ribellano all’imperialismo e all’arbitrio della Comunità Internazionale degli imperialisti USA e sionisti, con la loro condotta non solo resistono, ma contribuiscono a curare la sindrome dell’inevitabile sconfitta fra le masse popolari dei paesi imperialisti, instillata da anni di dominio ideologico della sinistra borghese che ne ha invece fatto una bandiera e un feticcio.

La realtà è che la via della rivoluzione socialista è l’unica positiva per le masse popolari di tutto il mondo e il contributo che possiamo dare, il più alto, è farla nel nostro paese per aprire la strada alle masse popolari di tutti gli altri. La linea della costituzione del Governo di Blocco Popolare come strumento per avanzare nella rivoluzione socialista è quella che indichiamo agli operai e alle masse popolari che vivono e lavorano in Italia, è quella che perseguiamo e promuoviamo. E’ una via originale, cioè deriva dal bilancio delle esperienze della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale, elaborato per la fase attuale, è una via caratteristica, cioè strettamente legata al contesto del nostro paese, ed è una via sperimentale, cioè impariamo a percorrerla percorrendola. Il disordine e il caos prodotti dalla borghesia imperialista sono la culla della nuova civiltà che la classe operaia e le masse popolari, guidate dal partito comunista, possono e devono conquistare.

***

Syria. Il genocidio dimenticato

A partire dall’autunno 2014, si è verificato un cambiamento nella politica estera dei paesi europei. Le capitali occidentali hanno deciso di mobilitarsi per la popolazione siriana, irachena e curda vittime delle follia omicida dello Stato Islamico (ISIS). Sicuramente il contributo alla lotta contro Daech è minimo, ma ogni avanzata in termini di mobilitazione, anche la più timida, merita incoraggiamento. Si é dovuto, comunque attendere la barbara esecuzione di due giornalisti americani perchè USA ed UE prendessero consapevolezza della minaccia jhiadista. D’altra parte, le atrocità commesse in Siria da un Islam pervertito sono lontani dall’essere una specificità dello Stato islamico.

Non si può infatti dimenticare le crudeltà jihadiste subite da molte popolazioni arabe ben prima dell’apparizione dello Stato Islamico.

La guerra contro le “eresie” è stata infatti lanciata da gruppi armati che agivano sotto la bandiera dell’Esercito Siriano Libero (FSA) dal 2011, primo anno della guerra civile in Syria.

Prima delle persecuzioni che hanno colpito gli yézidis, i ciristiani, i sunniti o i laici, le stesse persecuzioni di cui oggi possiamo essere diretti testimoni, il terrorismo settario ha dapprima colpito gli sciiti per favorire l’occupazione USA in Irak nel 2003 e, subito dopo, gli alawiti all’inizio di quella che tutti conosciamo con il nome di “Primavera Siriana”

Se la brutale repressione nei confronti degli yézidiis e dei cristiani di Siria ed Iraq, ha scatenato lo sdegno e la solidarietà dell’opinione pubblica occidentale, vediamo come la politica di persecuzione sistematica che ha come obiettivo gli alawiti in Siria non ha suscitato affatto la medesiama compassione.

Gli alawiti rimangono infatti gli imbattibili capri espiatori per gli ambienti ortodossi “cacciatori di eretici”. Numerose ragioni teologiche spiegano l’odio atavico che i gruppi identitari più conservatori sprigionano verso questa minoranza mussulmana dissidente.

Prima di tutto l’Alauismo si fonda sulla credenza nell’essenza divina di Ali, crimine apostatico che i mussulmani sunniti ortodossi giudicano gravissimo, mentre il clero sciita, al quale si sentono relativamente vicini, li definisce “esagerati” (ghoulat).

La pratica religiosa degli alawiti è inoltre minimalista e liberale: le preghiere vengono effettuate in maniera aleatoria, in posizione eretta o seduti e non prevedono la prostrazione. Non praticano le cinque sequenze di preghiera, non vanno alla moschea, non effettuano il pellegrinaggio alla Mecca e si oppongono alla Charia. Il culto alauita è dunque un culto esoterico ed inziatico.

Nemmeno riguardo ai luoghi di culto gli alawiti mancano di originalità: venerano infatti i saggi della loro comunità inumati dentro piccoli mausolei di colore bianco sormontati da cupole. Questi piccoli edifici costruiti su colline verdeggianti sono chiamati “Ziyara” o “Qoubba”.

Il loro culto prevede anche la celebrazione di alcune feste Cristiane, cosa che gli rende ancora più frequenti le accuse di “politeismo”.

La libera interpretazione dei testi islamici e l’allontanamento dall’ortodossia sunnita condanna gli alawiti ad essere, fin dalla loro comparsa, in testa alla lista delle comunità “sacrileghe” da sterminare.

Nel XII secolo, il pensatore sunnita Aboud Hamid al Ghazali dichiarò gli alawiti “apostati in materia di sangue, soldi, matrimonio e di macelleria” decretando che “era un dovere ucciderli”.

Due secoli più tardi, un giurista sunnita della scuola religiosa Hanbalita chiamato Ibn Taymiyya descrisse gli Alauiti come più “miscredenti degli ebrei o dei cristiani”, emettendo una Fatwa che chiamava a “versare il sangue degli Alauiti per piacere ad Allah”.

Ibn Taymiyya diffuse l’idea mostruosa che uccidere un Alauita valeva più che una giornata intera di preghiera. Questo appello all’omicidio fu accompagnato da una campagna di diffamazione che descrisse gli Alauiti come i membri di una setta orgiastica che praticava l’incesto.

La maggior parte dei gruppi armati oggi in Siria venerano Ibn Taymiyya ed applicano la sua fatwa anti-Alauiti alla lettera. Alcune brigate dell’ ”Esercito Siriano Libero” hanno deciso di prendere il nome dell’inquisitore medievale.

Nel Luglio 2011, i quartieri Alauiti di Homs sono stati attaccati da gruppi jihadisti. L’esercito ha dovuto interporsi per proteggere gli abitanti Alauiti della città.

Nei villaggi di Lattaquié, Aqrab (Hama), Maksar al Hessan (Homs), Maan (Hama) e Adra (Damasco) decine di civili Alauiti sono stati massacrati per il semplice motivo di appartenere a questa comunità.

Nell’ Agosto 2013, lo sceicco Alauita Badr Ghazali è stato catturato da un gruppo di sunniti “moderati” che hanno voluto giudicarlo di fronte a un tribunale dell’inquisizione prima di torturarlo fino alla morte.

I gruppi armati antimoderati hanno abilmente associato le parole “regime”, “Alauita” e “Chabbinhas”, rappresentando i membri di questa comunità come dei mafiosi filo-Assad responsabili di numerose atrocità.

Questa confusione retorica è stata estremamente efficace per creare confusione all’interno del panorama medio-orientale.

Da una parte, ha permesso all’opinione pubblica internazionale di accettare le peggiori angherie commesse dai ribelli contro i civili lealisti. Le stragi di civili innocenti venivano infatti dipinte come un atto di rappresaglia legittimo contro i mostruosi “Chabbinhas”.

Dall’altra parte, ha stimolato il sentimento identitario ed anti-Alauita tra i Siriani sunniti.

Alcuni gruppi terroristi risparmiavano i prigionieri sunniti civili sospettati di lealtà verso il governo e in alcuni casi anche i militari.

Questo diritto di ravvedimento concesso ai sunniti lealisti faceva parte di una strategia di distruzione del piedistallo ideologico e culturale della Siria moderna.

Gli Alauiti catturati dai gruppi armati non hanno avuto, salvo rare eccezioni, la possibilità di uscire vivi dalla propria prigionia.

Praticando questo terrore selettivo, l’opposizione radicale cercava di fare esplodere le fondamenta della società siriana.

Durante gli anni ‘70, i “Fratelli Mussulmani” hanno fatto ricorso allo stesso modus operandi che consisteva nel rapire i lealisti, separando Alauiti e sunniti, e uccidere solo i primi.

In tutta la storia della Siria moderna, gli Alauiti non hanno avuto altra scelta che fondersi nella massa evitando di mostrare qualsiasi etichetta identitaria, vista la loro inferiorità numerica e la loro vulnerabilità.

Mentre gli Alauiti evitano di evocare il piano di sterminio di cui sono vittime per paura di differenziarsi dall’Islam maggioritario e di contribuire così alla polarizzazione confessionale nel loro paese, i gruppi armati di opposizione hanno sistematicamente imputato ogni crimine di stato commesso presumibilmente da un Alauita, a tutti i 3 milioni di Alauiti che vivono in Siria.

Questa propaganda si è dimostrata redditizia su numerosi livelli, compreso quello finanziario. Molti gruppi armati antiregime, per esempio, hanno fatto dell’odio anti-alauiti la loro attività per attirare i ricchi predicatori settari di stanza nei paesi del Golfo dove è di moda accusare gli Alauiti di essere agenti dell’Iran.

Per alimentare l’odio anti-alauita, alcuni provocatori pro-sauditi si sono concentrati su una vittimizzazione permanente che si basava su questa ridicola equazione: visto che la lotta anti-terrorismo è condotta da uno stato che conta un gran numero di Alauiti funzionari e militari alle sue dipendenze, gli Alauiti sono collettivamente responsabili delle nostre disgrazie.

Al contrario, non esiste nessuna base religiosa che giustifichi la violenza Alauita contro un sunnita, né una figura come Ibn Taymiyya o Al-Ghazali all’interno di questa comunità. Non esiste nemmeno una sorta di concezione di “Suprematismo Alauita”. L’idea stessa di proselitismo é inconcepibile perché la preoccupazione degli Alauiti è di sopravvivere e non di imporsi, di conquistare o di convertire.

La tradizione Alauita incoraggia la comunità ad adattarsi all’ambito religioso in cui vivono, vivere da sunniti tra i sunniti e da cristiani tra i cristiani.

Di conseguenza, il soldato Alauita che agisce dentro un quadro nazionale, si batte nel nome della patria, dell’arabismo e della sicurezza a fianco del suo commilitone sunnita e non nel nome della sua comunità contro un’altra comunità.

La relativa sovradimensionata rappresentanza degli Alauiti nell’esercito non ha niente a che vedere con un qualsiasi “complotto Alauita” o con la volontà di oppressione delle altre comunità. La loro origine contadina ha fatto sì che gli Alauiti raggiungessero l’esercito per fuggire dalla povertà che inaspriva le già difficili condizioni di vita sulle montagne siriane, vedendo nella carriera militare l’unico sbocco per aspirare ad una vita dignitosa.

L’altra ragione per la quale questa comunità ha aderito in maniera massiccia all’esercito, è da ricercare
nei rapporti tra gli Alauiti e lo stato moderno e alla loro atavica condizione di “sotto-uomini” all’interno della società feudale siriana.

La costituzione di un esercito nazionale ha quindi permesso agli Alauiti non solamente di sopravvivere alla miseria, ma anche di accedere all’eguaglianza di cittadinanza.

Malgrado l’onnipresenza del confessionalismo in Siria, in tre anni di guerra, nessuna milizia Alauita, rivendicandosi come tale, è apparsa sul fronte siriano.

Per proteggere la loro patria e le loro case, i membri di questa comunità si sono mobilitati in diversi modi: aderendo all’esercito governativo, alle Forze di difesa nazionale, alle brigate Baath e anche alla “Resistenza siriana”, una milizia patriottica creata dal militante comunista turco-siriano Mihrac Ural.

Tutte queste milizie sono multi confessionali e sostengono l’eguaglianza tra Alauiti e sunniti, contrariamente ai gruppi armati anti-regime che non hanno cessato di praticare “l’esagerazione confessionale” proclamandosi pro-sunniti ed anti-alauiti.

Per quanto il conflitto siriano abbia fondamentalmente un’essenza politico- ideologica, i gruppi di opposizione non hanno cessato di imporre la loro lettura confessionale, di differenziare le comunità religiose e di mettere le une contro le altre.
Riducendo la guerra in Siria ad un conflitto tra sunniti e Alauiti, i media occidentali hanno riprodotto la propaganda settaria dell’opposizione.

Il direttore esecutivo del “Centro mondiale per la responsabilità di proteggere” ha definito molto probabile l’ipotesi di un prossimo genocidio nei confronti degli Alauiti.

Questo genocidio è però attualmente già in corso e si sviluppando sotto i nostri occhi in maniera del tutto indifferente.
La barbarie generalizzata del conflitto siriano ha dunque come conseguenza la banalizzazione del genocidio anti-alaouita, facendo passare le persecuzioni di massa che subiscono gli Alauiti come conseguenza ai crimini commessi dallo stato siriano verso i ribelli.

Più di un anno fa, un jihadista si è fatto esplodere davanti alla scuola Makhzoumi nel quartiere di Akrama ad Homs. 8 scolari, per la maggior parte Alauiti, sono rimasti uccisi nell’esplosione. Nel sistema di pensiero jihadista, l’origine di questi bambini è un motivo sufficiente per l’eliminazione. Questa strage non ha però sconvolto l’opinione pubblica occidentale che non ha dato alcun peso alla gravità del fatto.

Oltre agli Alauiti, altre minoranze siriane di origine sciita subiscono la stessa sorte: il 4 agosto 2014, giorno dell’anniversario dell’assalto jihadista ai villaggi Alauiti con il conseguente massacro di numerosi abitanti, una famiglia di confessione ismaelita è stata decimata a Mzeiraa vicino alla città di Salmyia dai gruppi anti-governativi per il solo fatto di appartenere ad un’altra confessione.

Ancora una volta, dei presunti testi sacri hanno permesso e giustificato la strage di un gruppo di individui.
La commissione di inchiesta delle Nazioni Unite, che investiga sui crimini di guerra in Siria, ha promesso di non lasciare alcun crimine impunito.

Ad oggi, i gruppi di terroristi che massacrano deliberatamente donne, bambini e vecchi per eresia non sono mai stati indicati come tali.

L’indifferenza totale manifestata dalla comunità internazionale riguardo gli Alauiti annuncia un periodo molto duro per questa minoranza che lega inesorabilmente la sua sopravivenza a quella dello Stato siriano.

I gruppi di opposizione accusano Mihrac Ural ed il suo gruppo di aver commesso un crimine di massa di centinaia di sunniti nel villaggio di Bayda e nella città di Baniya. Il solo indizio sul quale i gruppi di opposizione si appoggiano per incriminare Ural è un video dove lui consiglia di “pulire Baniyas dai terroristi”. Ora, la parola, “pulizia” è un termine militare utilizzato da tutti i combattenti in Siria e non dà alcuna indicazione sulla responsabilità personale dell’individuo indicato. Inoltre le milizie di Mihrac Ural sono schierate a Nord della provincia di Lattaquié e non nella zona in cui si trova Baniya. Questa frase non può quindi essere considerata come una prova in sé. Mihrac Ural nega categoricamente i fatti spiegando che la sola ragione di lottare è quella di difendere i cittadini siriani di tutte le confessioni dai gruppi terroristi che si infiltrano dalla Turchia.

Da notare che il regime di Damasco ha creato delle milizie d’appoggio che hanno l’obiettivo di aiutare l’esercito e proteggere le loro zone, ma anche con l’obiettivo informale di disciplinare i propri partigiani e di evitare regolamenti di conti legati alla confessione religiosa.

Per quanto nella lingua turca esista una sola parola, Alauiti, che indica questa confessione religiosa, è necessario specificare la differenza tra ALEVITI (Turchia) e ALAUITI (Syria). La confessione Alevita può essere paragonata alla Teologia della Liberazione in America Latina e ha costituito nel corso degli anni la tradizione della sinistra rivoluzionaria Turca.

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