Pubblichiamo questa riflessione di una lettrice della nostra Agenzia Stampa.
“Il giorno 13 ottobre 2017 gli studenti di tutta Italia si sono riversati in piazza a manifestare contro la legge 107, meglio conosciuta come la Buona Scuola. Se ne sente parlare tanto ma, a volte, pochi ne conoscono bene i contenuti. Per essere più oggettiva possibile, ne riporterò brevemente i punti essenziali così come si possono leggere sul sito ufficiale (https://labuonascuola.gov.it/documenti/LA_BUONA_SCUOLA_SINTESI_SCHEDE.pdf?v=756d80f.) dove viene promessa:
-un’offerta formativa più ricca e flessibile per gli studenti;
-un piano straordinario di assunzioni per oltre 100.000 insegnanti;
-risorse stabili per la formazione e la valorizzazione dei docenti;
-investimenti ad hoc per laboratori e digitale.
Tralasciando gli ultimi tre punti che o non coinvolgono direttamente gli studenti o non sono argomento di discussione (perché si dà per scontato che, in una società tecnologica, i mezzi e la formazione informatici siano valorizzati e considerati), mi soffermerei nell’analisi del programma di arricchimento e flessibilità dell’offerta formativa (punto uno).
Come si concretizza questa formula? Si concretizza nella flessibilità del curriculum (con l’aggiunta di materie opzionali in base alle esigenze degli alunni) e soprattutto con la creazione dell’alternanza scuola lavoro: 400 ore nel triennio per istituti tecnici e professionali e 200 per i licei.
Ironico anche il lessico (di cui ho avuto modo di parlare anche altrove) ormai adeguato alle esigenze economiche del Paese (flessibilità e lavoro).
L’alternanza scuola lavoro permetterebbe agli studenti di essere concretamente più preparati al mondo del lavoro, iniziando, già da giovani, proprio a lavorare.
Ma, ad oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, i giovani sembrano preparati al futuro solo per un aspetto: lo sfruttamento. Infatti, la definizione di lavoro, così come presentata dal dizionario online di Repubblica, è la seguente:
“Attività materiale o intellettuale per mezzo della quale si producono beni o servizi, regolamentata legislativamente ed esplicata in cambio di una retribuzione.”
Vista la mancanza di retribuzione, la parola “lavoro” sembra piuttosto inappropriata.
Grazie alla Buona Scuola, 1,5 milioni di ragazzi delle scuole superiori sono impegnati nell’alternanza e, grazie alla legge 196 del 24 giugno 1997 e all’accordo Stato-Regioni del 24 giugno 2013, la mattanza prosegue anche all’Università, dove oltre 143mila studenti sono occupati come tirocinanti (circa il 116% in più negli ultimi anni).
Ovunque i giovani parlano di corsi non attinenti a percorsi di studio, di poco controllo (se non addirittura assente, come nel caso della violenza sessuale su 4 studentesse di Monza…), di difficoltà nel percorso regolare scolastico (a cui si sottrae tempo), di disorganizzazione, di sottomissione della scuola alle aziende territoriali ecc…
E se fino al 13 ottobre queste sono state solo “chiacchiere da bar”, quel giorno si sono concretizzate in proteste.
A Napoli si sono fatti sentire soprattutto i ragazzi del coordinamento Kaos che hanno organizzato blitz contro le filiali di Zara, Banco di Napoli e Mc Donald’s, facendo sentire la loro voce non solo contro l’alternanza scuola-lavoro ma anche contro l’autoritarismo dei presidi e contro la proposta dei licei brevi (di 4 anni).
Molto forte la presenza anche della FGCI che legge la manovra della Buona Scuola come totalmente in linea con un determinato disegno economico di sfruttamento di manodopera a costo zero.
Nonostante l’importanza dell’evento in sé e della grande partecipazione, ci sono stati dei limiti oggettivi: alla critica violenta non sono seguite alternative costruttive e realizzabili.
Da Napoli viene proposto lo slittamento dell’alternanza nel periodo estivo: manovra che non risolverebbe di certo i problemi fondamentali (sfruttamento e poca attinenza ai corsi di studio); la FGCI chiede, invece, una retribuzione oraria per gli studenti in alternanza.
Quest’ultima proposta (forse una provocazione?), non risolverebbe comunque un altro conflitto in atto, conseguenza dell’alternanza: la lotta tra poveri, tra lavoratori adulti (e retribuiti) e giovani (più sfruttati degli adulti e senza retribuzione). Infatti, a rimetterci non sono solo gli studenti, ma anche i lavoratori che vedono ridursi le ore di lavoro (e di conseguenza lo stipendio) per far spazio ad una nuova schiavitù giovanile (auspicata e accolta a braccia aperte dagli imprenditori).
Ciò inasprisce il conflitto giovani-adulti, un conflitto naturale che rischia di diventare anche economico e sociale e che non verrebbe risolto, comunque, con un’ipotetica (quanto utopica) retribuzione oraria.
Il ruolo dell’istruzione, come scuola di costruzione di coscienza e di riscatto sociale, negli anni è andato a sfumarsi a causa delle riforme che si sono susseguite e che l’hanno resa sempre più schiava dell’economia e del lavoro. Mai come in questo momento abbiamo bisogno di una scuola “sociale”, vicina alle masse e dalla loro parte.
C’è bisogno di organizzazioni soprattutto interne (di insegnanti e studenti) ma anche esterne (genitori e lavoratori) alla scuola che promuovano la sensibilizzazione politica e la partecipazione attiva all’istruzione: chi meglio di studenti ed insegnanti sa come gestire una scuola? Chi meglio di loro può proporre un’alternativa valida all’alternanza o un’alternanza davvero efficace?
Dobbiamo ritornare ad avere fiducia nella scuola, nel suo ruolo sociale. Dobbiamo tornare ad avere fiducia in noi come cittadini, a rivalutare la nostra posizione attiva ed essenziale all’interno del contesto sociale.
E’ il momento di prendere in mano la situazione perché tutti vogliamo che la scuola formi cittadini e non che sforni schiavi.”
Paola B.