Il 7 novembre cade il centenario della Rivoluzione d’Ottobre, avvenimento che il P.CARC celebra con la campagna nazionale Il segnale dell’Aurora [vedi parte del materiale 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – 6 – 7 – 8 – 9]. Non siamo gli unici a celebrarlo e questo è indice delle spinte alla rinascita del movimento comunista nel nostro paese. Ci sono però due modi di intendere le celebrazioni (al netto di chi le promuove per denigrare la Rivoluzione d’Ottobre, l’Unione Sovietica, i suoi principali dirigenti, Lenin ma in particolare Stalin, e più in generale l’esperienza dei primi paesi socialisti): celebrazioni che si concentrano sulla nostalgia dei “bei tempi che furono”, che hanno comunque il merito di mettere in evidenza le enormi conquiste che la classe operaia e le masse popolari hanno ottenuto grazie al socialismo e alla marcia verso il comunismo, e quelle che mettono al centro gli insegnamenti di quell’esperienza utili ai comunisti dei paesi imperialisti per fare la rivoluzione socialista nei loro paesi oggi. Noi siamo promotori di questo secondo modo. Il bisogno di imparare dall’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre è riconosciuto anche da molti dei promotori del primo modo e questo crea un terreno favorevole per sviluppare il confronto e il dibattito franco e aperto per perseguire più efficacemente l’unità dei comunisti e avanzare nella rivoluzione socialista in Italia. Con questo spirito ci pronunciamo rispetto alla giusta e ambiziosa iniziativa del Fronte della Gioventù Comunista di organizzare una grande manifestazione a Roma per celebrare la Rivoluzione d’Ottobre (l’11 novembre).
Per chi non lo conoscesse, l’appello per la manifestazione è pubblicato sul sito del FGC. Esso contiene molti aspetti positivi ed estremamente positiva è la spinta che lo ha generato: promuovere la mobilitazione di coloro che hanno la falce e il martello nel cuore e contribuire all’unità dei comunisti; far emergere il legame della celebrazione del Centenario con le lotte sociali e politiche in corso nel paese; propagandare il socialismo e il comunismo in particolare verso i giovani delle masse popolari. Una spinta, che porterà in piazza una parte importante della gioventù comunista del nostro paese, sintetizzata nella volontà di “costruire una grande mobilitazione nazionale, che vada oltre la mera celebrazione e le rievocazioni nostalgiche senza rinnegare la lezione e l’attualità della strategia rivoluzionaria che ha condotto i bolscevichi di Lenin alla vittoria. Una mobilitazione combattiva, animata dalla coscienza di chi lotta assumendo su di sé una storia gloriosa, capace di legare quelle idee alla lotta del nostro tempo, con lo sguardo rivolto al futuro. Una manifestazione che, a 100 anni dalla prima rivoluzione proletaria, sappia urlare che la lotta non è finita, che i lavoratori hanno ancora un mondo da guadagnare e nulla da perdere se non le loro catene”.
Auguriamo una piena riuscita della mobilitazione benché non parteciperemo perché il partito tutto è mobilitato nella partecipazione al corteo promosso da Eurostop per lo stesso giorno e nelle celebrazioni del 25° anniversario della fondazione dei CARC. La decisione di non partecipare non deriva da una critica all’impostazione della manifestazione, né da un dissenso sui contenuti con cui è stata convocata, né tanto meno da spirito di concorrenza fra organizzazioni e partiti comunisti. Anzi l’appello che la convoca si presta egregiamente a sviluppare un sano dibattito fra le forze rivoluzionarie del nostro paese. Impossibilitati a portare il contenuto del dibattito in quella piazza, affrontiamo qui alcune delle questioni da discutere, quelle principali, su cui riteniamo che l’appello del FGC sia debole o carente.
Sull’obiettivo del socialismo
Il socialismo in Italia non è e non sarà l’aspirazione alla riproposizione di ciò che sono stati gli anni delle grandi conquiste che il movimento comunista ha strappato nel nostro paese, quando “le piazze erano piene, le masse popolari più combattive e le lotte rivendicative ottenevano risultati clamorosi”. Quel periodo, che va dagli anni cinquanta a metà degli anni settanta del secolo scorso, è la fase del capitalismo dal volto umano e ha precise ragioni storiche: il paese usciva da due guerre disastrose, la crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (1900-1945) aveva distrutto tutto il capitale possibile per aprire una fase di nuova accumulazione del capitale; il movimento comunista aveva compiuto importanti passi in avanti con la costruzione del primo paese socialista della storia (URSS) e la nascita di partiti comunisti e paesi socialisti in tutto il mondo, aprendo anche la strada all’indipendenza di tanti paesi oppressi dai gruppi imperialisti mondiali. A metà degli anni cinquanta un terzo dell’umanità viveva in paesi socialisti e nei principali paesi capitalisti europei c’erano grandi partiti comunisti capaci di mobilitare milioni di persone (un esempio su tutti è quello del PCI). I capitalisti da un lato avevano la possibilità di fare concessioni alle masse popolari che lottavano, per mantenerne il consenso; dall’altro erano obbligati a concederle per l’esempio che l’URSS rappresentava a livello mondiale. Quella fase di conquiste non era una fase rivoluzionaria (come invece lo è oggi – vedi 27 ottobre e 10 novembre sciopero generale), ma una fase in cui il capitalismo era costretto dalla forza del movimento comunista a darsi un “volto umano”. In questo senso è sbagliato concepire la rivoluzione socialista come la raccolta delle aspirazioni delle masse popolari così come sono o semplicemente come il miglioramento progressivo delle condizioni di vita delle masse popolari. In questo modo alimenteremmo solo la nostalgia per il capitalismo dal volto umano.
Il socialismo in Italia sarà la riproposizione, alle condizioni attuali e specifiche del nostro paese, di ciò che sono stati in URSS gli anni della sua edificazione (1917 – 1956), cioè la fase di transizione dal modo di produzione (e dalla società) capitalista al comunismo basata su tre pilastri:
- “La dittatura del proletariato. Lo Stato (il governo, la polizia, la magistratura, le forze armate, la pubblica amministrazione e tutte le altre istituzioni del potere) deve essere nelle mani della parte rivoluzionaria della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari organizzata intorno al partito comunista. Lungo tutta la fase socialista (intesa come fase inferiore del comunismo, come fase in cui la nuova società porta ancora forti tracce della società borghese da cui proviene) esisterà lo Stato, come istituzione distinta dal resto della società, con il monopolio dell’uso della violenza e specificamente dedicata alla repressione della borghesia. Lo Stato si estinguerà man mano che 1. saranno le organizzazioni in cui a ogni livello (unità produttiva, abitazione, ecc.) sono associate le masse popolari a far fronte ai comportamenti asociali di singoli senza più bisogno di un apparato nazionale appositamente dedicato a questo scopo, 2. il socialismo sarà instaurato in tutti o almeno in gran parte dei paesi e, di conseguenza, le contraddizioni tra paesi e nazioni si saranno estinte perché avremo creato un sistema internazionale di collaborazione.
Finché sarà necessario che lo Stato esista, esso deve essere nelle mani della parte più avanzata e organizzata dei lavoratori che creerà istituzioni e procedure adeguate a reprimere i tentativi di rivincita della borghesia imperialista e del clero, a garantire il funzionamento collettivo della società, a promuovere su scala sempre più larga la partecipazione delle masse popolari alle attività da cui le classi dominanti le hanno da sempre escluse e che quindi oggi esse non sono già in massa capaci di esercitare. Questo è la democrazia proletaria, un ordinamento che supera la democrazia borghese ed è uno scandalo per quelli che credono nella democrazia borghese. Infatti la democrazia borghese è la finzione che il voto renda uguali Marchionne e l’operaio FCA: è la finzione dell’eguaglianza di diritti politici per tutti i cittadini senza tener conto delle differenze tra di essi in campo economico (per quanto riguarda la proprietà dei mezzi di produzione, la partecipazione alla distribuzione del prodotto, i rapporti nel processo lavorativo), cioè delle differenze di classe che invece sussistono. Queste rendono le classi diseguali anche per quanto riguarda l’esercizio dei diritti politici e la partecipazione dei singoli individui alla gestione delle attività statali. Il proposito proclamato dalla Costituzione Italiana del 1948 di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3) è rimasto e non poteva che rimanere lettera morta proprio perché quegli ostacoli sono connaturati al sistema capitalista e la loro rimozione quindi comporta che si elimini il capitalismo.
- La proprietà collettiva dei mezzi di produzione. L’apparato economico del paese (l’uso delle risorse naturali e delle infrastrutture, la produzione e la distribuzione di beni e servizi) deve essere gestito secondo un piano pubblicamente approvato e volto a soddisfare i bisogni individuali e collettivi della popolazione. Quindi le aziende, le infrastrutture e le reti, le risorse naturali impiegate nella produzione, ecc. devono essere per l’essenziale pubbliche: le forze produttive, salvo la forza-lavoro individuale, devono cioè essere proprietà pubblica e devono essere fatte funzionare in ogni paese secondo un piano nazionale coordinato quanto più via via sarà possibile con quello degli altri paesi. In Italia, ad esempio, aziende come la FCA, l’Ilva, la Piaggio, le banche e le assicurazioni e tutte le altre principali aziende capitaliste devono essere immediatamente nazionalizzate, espropriandole ai capitalisti e alle società finanziarie.
Il sistema economico attuale è come un intenso traffico aereo senza codici, regole e piani di volo. Gli uomini sono capaci di regolare il traffico aereo, l’ordine pubblico, il servizio sanitario pubblico, l’istruzione pubblica, sono capaci di mobilitare milioni di uomini a fare la guerra: ritenere che non siamo capaci di organizzare e far funzionare un apparato produttivo è essere succubi dei pregiudizi che la borghesia diffonde, essere imbevuti del pregiudizio borghese che senza l’iniziativa economica privata… non si riuscirebbe a produrre il disastro in cui siamo travolti, direbbe una persona che osserva la realtà per quello che realmente è!
- La crescente partecipazione delle masse popolari alla gestione della società. Lo Stato deve mettere in opera da subito, senza riserve, tutte le iniziative adatte a promuovere la massima partecipazione della massa della popolazione, in particolare delle classi finora escluse, alla gestione della vita sociale, alle attività politiche, culturali, sportive e ricreative, in particolare tutte le misure utili a mobilitare anche le donne a partecipare alla vita sociale ed emanciparsi dall’oppressione degli uomini e dai compiti domestici. L’educazione delle nuove generazioni deve essere cura delle autorità pubbliche e dell’intera società ed essere condotta secondo le conoscenze più avanzate, senza risparmio di mezzi e mirata a educare uomini e donne capaci di partecipare pienamente alla gestione della vita sociale.
Questi tre aspetti del socialismo sono connessi l’uno all’altro. Uno non può esistere a lungo senza l’altro, ognuno decade e cambia di natura se gli altri non si sviluppano. L’esperienza dell’Unione Sovietica, nei 40 anni di costruzione (1917-1956) e nei successivi 35 anni di decadenza (1956-1991) che l’hanno portata al collasso, ha mostrato anche nella pratica che questi tre aspetti sono connessi e che dobbiamo quindi praticarli tutti e tre. Il primo di essi è e deve essere l’inizio e la garanzia degli altri due, ma deve sviluppare in misura crescente gli altri due” (liberamente tratto dal Comunicato del (n)PCI n. 15 del 26.08.2016) .
A noi comunisti dei paesi imperialisti non basta fare leva sul malcontento della classe operaia e delle masse popolari per mobilitarle a conquistare “più diritti e migliori condizioni di vita”, obiettivo legittimo, ma del tutto irrealistico senza l’instaurazione del socialismo, obiettivo legittimo, quindi, ma proprio della sinistra borghese e dei riformisti (più o meno radicali). A noi comunisti, forti della scienza sperimentale costruita dai fondatori e dai dirigenti del movimento comunista cosciente e organizzato, spetta il compito d’onore di far leva sul malcontento e sulle lotte spontanee delle masse popolari per condurle ad aprirsi passo dopo passo, nel marasma della società borghese, la strada che porta all’instaurazione del socialismo. Per adempiere al nostro compito abbiamo bisogno di avere ben chiara la meta alla quale le masse popolari devono e possono arrivare grazie alla nostra direzione e di possedere gli strumenti per vedere nel marasma attuale i passi da compiere, gli appigli e le fessure di cui approfittare per avanzare.
Sull’unità dei comunisti
È assolutamente condivisibile e da sostenere l’obiettivo di mobilitare tutti quei comunisti con la Falce e Martello nel cuore e in particolare i giovani che si rifanno al movimento comunista. I compagni del FGC lo legano alla necessità di unire i comunisti e con ciò compiono un netto passo in avanti contro il settarismo, che contraddistingue organizzazioni comuniste come il PC Rizzo, che non fondano la propria unità interna sull’unità ideologica e sull’assimilazione della scienza, ma sull’adesione identitaria al movimento comunista. Di questo parlavano Marx ed Engels quando nel Manifesto del Partito Comunista scrivevano: “i comunisti si distinguono dagli altri rivoluzionari perché hanno una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e su questa base la spingono sempre in avanti”.
L’unità dei comunisti va costruita innanzitutto con lo sviluppo di un dibattito franco e aperto che metta al centro questioni precise e non eludibili: 1. il bilancio del movimento comunista (prima ondata della rivoluzione proletaria e primi paesi socialisti, crisi del movimento comunista e revisionismo moderno, rinascita del movimento comunista sulla base del Marxismo Leninismo Maoismo); 2. la teoria della (prima e seconda) crisi generale del capitalismo nell’epoca imperialista e della connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo; 3. il regime di controrivoluzione preventiva instaurato dalla borghesia nei paesi imperialisti; 4. la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come forma della rivoluzione socialista: l’esperienza del secolo scorso ha dimostrato che la rivoluzione socialista non “scoppia”. La celebrazione del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre può e deve essere occasione per l’approfondimento di questi temi, mentre l’appello per la manifestazione dell’11 novembre vi fa qualche accenno, ma non entra nel merito: forse per non minare la partecipazione al corteo di chi non la pensa alla stessa maniera, finendo per vedere il dibattito ideologico come una grana, mentre invece è strumento di rafforzamento. La verità è che non c’è unità senza lotta e la lotta ideologica entro il movimento comunista ha l’obiettivo di costruire una superiore unità per rendere i comunisti più capaci (cioè, quanto le condizioni lo impongono) di di far avanzare la rivoluzione fino a instaurare il socialismo. Questo è l’obiettivo comune e il movimento rivoluzionario avanza se i rivoluzionari affermano tesi giuste contro tesi sbagliate.
Sul che fare qui e ora
Un aspetto su cui l’appello non va in profondità è quello relativo alle indicazioni concrete rispetto al che fare oggi per fare la rivoluzione socialista. Limitarsi a unire le lotte, a far conoscere pezzi di storia del movimento comunista in attesa dello “scoppio” della rivoluzione socialista e a cercare di “egemonizzare” vertenze e lotte sociali, non è all’altezza dei compiti che la costruzione della rivoluzione socialista pone ai comunisti del nostro paese. Di mezzo c’è la vita di milioni di operai, proletari e in generale delle masse popolari del nostro paese. Se non si lega la mobilitazione e l’unità dei comunisti, cui si fa appello, alla lotta di classe in corso e a quello che serve al movimento comunista per far avanzare la rivoluzione socialista, si finisce per seminare attendismo e disfattismo.
Il PC di Marco Rizzo è uno dei frammenti in cui si è spezzata Rifondazione Comunista, a partire dal 2006 quando il rinnegato Bertinotti la portò nel secondo governo Prodi con il risultato di annullarne i privilegi e i finanziamenti parlamentari e di disperdere il seguito che aveva tra gli operai. L’organizzazione guidata da Rizzo oggi è un riferimento per alcuni compagni e giovani che si rifanno al movimento comunista e alla sua storia. Per questo si propone di professare le idee del movimento comunista, di propagandarle in attesa dello scoppio della rivoluzione socialista, partecipando, nel frattempo, alle lotte sindacali e rivendicative.
L’idea che il PC di Rizzo promuove è quella di aspettare il prossimo collasso dello Stato borghese o la “prossima rivolta” delle masse popolari e intanto fare campagne di opinione pubblica su temi che nella classe operaia raccolgono consenso e rispondono alle esigenze materiali e concrete. Questo tipo di impostazione, nei suoi aspetti di pregio e in quelli di limite, emerge bene dall’appello lanciato per la manifestazione dell’11 novembre a Roma.
Per la Carovana del (nuovo) PCI il passo da compiere ora per avanzare nella rivoluzione socialista è la costituzione del Governo di Blocco Popolare (GBP). Il Governo di Blocco Popolare è l’obiettivo tattico di questa fase. Esso mobilita le masse popolari (le organizzazioni operaie e popolari) in senso rivoluzionario, cioè combina l’organizzazione e la mobilitazione per trovare soluzioni positive ai problemi e agli effetti della crisi, contro la tendenza della rassegnazione o della guerra fra poveri, con l’iniziare già da subito a operare come nuove autorità pubbliche, a porsi cioè come classe dirigente della società. Questo piano tattico permette di dare un ruolo superiore anche ai dirigenti della sinistra sindacale, ai sinceri democratici della società civile e delle amministrazioni locali, agli esponenti della sinistra borghese non ciecamente anticomunisti, come promotori di organizzazioni operaie e popolari e sostenitori delle iniziative che esse prendono, cioè facendoli agire ad ogni livello da comitato di salvezza nazionale (e poi come ministri del GBP). Due ambiti importanti in cui far loro svolgere questo ruolo sono la battaglia per l’attuazione delle parti progressiste della Costituzione del 1948, contro i vertici della Repubblica Pontificia, che fin dal 1948 hanno violato, eluso e infangato la Costituzione e sono i responsabili dell’attuale disastro economico e sociale, e la battaglia per la sovranità nazionale, contro l’UE, la BCE e la NATO.
L’attuazione di questo piano tattico (mobilitazione delle masse popolari a costituire il GBP, a farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia e a orientarne, sostenerne e difenderne l’opera dalle manovre della comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti in collaborazione con una parte della classe dominante del nostro paese) sfocerà nella rinascita del movimento comunista, cioè nella ricostruzione di una rete di organizzazioni popolari aggregate attorno al partito comunista e animate dalla comune volontà di instaurare il socialismo: quando arriveremo a questo punto l’instaurazione del socialismo sarà un obiettivo praticamente all’ordine del giorno.
Anche questo aspetto, il che fare qui e ora, è indispensabile per rendere la celebrazione del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre carne viva della lotta di classe in corso, della lotta della classe operaia per il potere, per far emergere quello che occorre fare qui ed ora per raggiungerlo. L’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria è stata una grande sconfitta per il movimento comunista. Ha diffuso molta sfiducia e disperazione tra le masse popolari in tutto il mondo mentre la fiducia in se stessi e nella vittoria della propria causa è la principale arma della nostra guerra contro la borghesia: se possediamo quest’arma tutto quello che ci manca, ce lo procureremo. La Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti impone un catastrofico corso delle cose in tutto il mondo, su tutti i terreni. Questo conferma che l’instaurazione del socialismo è necessaria. Il marxismo ci permette di vedere i presupposti che la rendono possibile. Noi possiamo vincere. La velocità con cui la rivoluzione socialista avanza, è dettata dal numero di compagni che hanno questa fiducia e la portano tra le masse popolari.
Che cento fiori fioriscano, cento scuole di pensiero gareggino
Di fronte alla frammentazione delle organizzazioni di coloro che hanno la falce e il martello nel cuore, al proliferare di partiti, organizzazioni, collettivi, molti compagni invocano unità. L’unità è necessaria. Ma l’unità che serve non è la somma di tante debolezze ideologiche, è invece l’unità sulla concezione comunista del mondo che permette al partito comunista di essere lo stato maggiore della guerra popolare rivoluzionaria e di condurla fino alla vittoria.
Le discussioni sul “chi ha ragione”, su “chi è il più comunista”, su quale sia “il vero partito comunista” sono più che altro un modo sbagliato di porre la questione dell’unità dei comunisti e di perseguirla: la verità è una soltanto, la linea giusta è una soltanto, entrambe saranno confermate dalla pratica. Per questo rigettiamo la concorrenza fra organizzazioni e partiti comunisti e promuoviamo la lotta ideologica e perseguiamo lo sviluppo della politica da fronte, che si basa su tre pilastri: 1. dibattito franco e aperto relativo all’analisi della situazione, al bilancio del movimento comunista (nel caso in cui si tratta di organizzazioni che si professano comuniste), al programma, ai metodi di lavoro, alla linea generale e alle linee particolari; 2. unità di azione in tutti i casi in cui l’obiettivo almeno immediato è comune; 3. solidarietà reciproca senza condizioni di fronte alla repressione borghese. La strada per avanzare nella rivoluzione socialista non è prerogativa di un’organizzazione anziché di un’altra: la critica, il confronto, l’unità in ogni caso e contesto in cui è possibile sono ingredienti di una sperimentazione per giungere a un risultato unitario e complessivo, generale, che decide delle sorti di milioni di persone. I comunisti hanno questa responsabilità e gli insegnamenti della Rivoluzione d’Ottobre e della prima ondata della rivoluzione proletaria da essa suscitata sono un patrimonio da cui attingere, da elaborare alle condizioni e al contesto attuali, da tradurre in pratica. Chiunque faccia un passo avanti in questo senso dà un grande contributo alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato.
Concludiamo con una citazione del Comunicato 12/2017 del (nuovo)PCI che raccomandiamo di leggere attentamente, di studiare: “Compagni, non ripetiamo l’errore compiuto dai nostri predecessori, dai comunisti che nella prima parte del secolo scorso in Italia come negli altri paesi imperialisti volevano instaurare il socialismo, ma non superarono nella concezione del mondo i limiti che Lenin e i comunisti russi avevano loro chiesto di superare da quando divenne palese il fallimento della II Internazionale (1914) e poi, più chiaramente e con maggiore precisione, da quando fondarono l’Internazionale Comunista (1919). E di conseguenza, invece di instaurare il socialismo, approdarono al capitalismo dal volto umano (1945-1975) le conquiste del quale si stanno dissolvendo nell’attuale catastrofico corso delle cose”.