[Lombardia] Il referendum del 22 ottobre e la mobilitazione operaia e popolare

Non partecipiamo a una farsa da Repubblica Pontificia! Il P.CARC chiama i lavoratori avanzati e gli elementi avanzati delle masse popolari all’astensione per il Referendum del 22 ottobre in Lombardia e Veneto e alla più ampia partecipazione alla costruzione dello sciopero generale del 27 ottobre e del 10 novembre.

Il referendum “per una maggiore autonomia” in campo fiscale promosso dalla Lega Nord in Lombardia e Veneto, fortemente voluto da Maroni e Zaia che sono i governatori di quelle regioni, è una messinscena e una presa in giro che gli operai, i lavoratori e le masse popolari devono rifiutare perchè:

a. qualunque sia l’esito, non ha alcun valore pratico, è una manovra propagandistica utile solo ai partiti della Repubblica Pontificia in vista delle elezioni politiche e delle elezioni regionali in Lombardia del 2018;

b. qualunque sia l’esito, è un paravento dietro cui Maroni e Zaia si nascondono a fronte delle promesse di cambiamento e di “rottura con Roma” che non hanno mantenuto in decenni di governo delle due regioni e che non manterranno;

c. è un’iniziativa che ha come unico obiettivo sviare l’attenzione dagli effetti della crisi che colpiscono milioni di persone anche nelle regioni più ricche e intossicare le coscienze delle masse popolari.

I lavoratori e le masse popolari non hanno alcun interesse, né immediato né di prospettiva, nella partecipazione al voto di questo referendum-farsa e anzi hanno tutto l’interesse a boicottarlo, rifiutandosi di essere massa di manovra al servizio dei comitati d’affari, delle cosche e dei politicanti che governano la regione e il paese.

Il referendum del 22 ottobre, infatti, è uno strumento attraverso cui la Lega Nord, forte della posizione dirigente che ha nelle due regioni dove lo promuove, persegue due obiettivi:

a. mostrare al suo elettorato, ai molti orfani di Forza Italia, agli elementi delle masse popolari in preda alla disperazione e in cerca di una “facile soluzione alla crisi” che il Carroccio non ha tradito la sua vocazione autonomista e di rottura con “Roma ladrona”. E’ una presa in giro bella e buona perché sono mille le dimostrazioni della sottomissione della Lega Nord ai vertici della Repubblica Pontificia e alle larghe intese: dalla mancata difesa di decine di aziende lombarde e venete chiuse o delocalizzate in questi anni all’ordinato e immediato dietro front di Zaia sui Vaccini, al voto favorevole alla legge elettorale della settimana scorsa sono gli ultimi esempi di una serie lunga più di 20 anni;

b. conquistarsi un posto di maggiore rilievo nel cartello elettorale reazionario, in concorrenza e in alleanza con Berlusconi, Giorgia Meloni e gli altri, in vista delle elezioni politiche del 2018. La manovra è talmente evidente che persino il PD, da sempre sostenitore di un generico e indefinito aumento dell’autonomia in materia fiscale della Lombardia, si è sfilato dal fronte del SI al referendum nel tentativo di mandare a monte, o almeno limitare, la manovra elettorale della Lega.

Partendo dal referendum in Lombardia e in Veneto del 22 ottobre approfondiamo quattro questioni di carattere più generale.

1. la giusta lotta per le autonomie locali e contro l’accentramento dei poteri. Una manifestazione della crisi politica in corso nel nostro paese è il continuo e reiterato tentativo da parte del governo centrale di smantellare le autonomie locali: dall’accorpamento dei piccoli Comuni alla progressiva riduzione degli enti locali al ruolo di ratifica delle decisioni governative e riscossione delle tasse. In nome del taglio agli sprechi, dell’aumento dell’efficienza e dello snellimento delle procedure burocratiche, sotto attacco c’è il diritto dei governi locali di amministrare e governare il territorio, un ruolo che per il governo centrale è sempre più scomodo a fronte della sottomissione ai circoli internazionali della finanza e della speculazione e alla Comunità Internazionale degli imperialisti UE, USA e sionisti (basti pensare alle proteste e alle opposizioni ai vari “piani” di sviluppo che passano dalla cementificazione, dalla devastazione ambientale, dalla svendita dell’apparato produttivo: TAV, TAP, trivelle, Sblocca Italia, basi NATO, ecc. ecc.). Andiamo subito al sodo: la giusta lotta per le autonomie locali (difendere quello che ne rimane ed estenderne le funzioni e gli ambiti, sviluppare la partecipazione e favorire l’autodeterminazione delle comunità) non passa e non può passare dagli strumenti propri della borghesia (elezioni, referendum): ce lo dice l’esperienza, dato che ad esempio l’esito del referendum sull’acqua pubblica è stato bellamente ignorato e i Comuni che lo mettono in pratica ne sono praticamente costretti dalla mobilitazione popolare, ma ce lo dicono anche i fatti della cronaca attuale, in particolare ce lo dimostrano le masse popolari della Catalogna che il 1° ottobre hanno dovuto letteralmente fare le barricate per difendere i seggi dalla polizia nazionale. Confondere le manovre della Lega Nord con la giusta lotta per le autonomie locali è opera dolosa dei giornali di regime, è un’ennesima operazione di intossicazione esattamente come lo spacciare la lotta per la sovranità nazionale per il nazionalismo delle organizzazioni neofasciste come Forza Nuova e CasaPound.

2. L’alternativa. Partecipare al referendum del 22 ottobre, anche votando scheda bianca o votando NO, favorisce le manovre della Lega Nord (le conferisce un’autorevolezza che non ha fra le masse popolari) e più in generale dei vertici della Repubblica Pontificia (diversione dalla lotta di classe in corso e intossicazione dell’opinione pubblica), astenersi è una posizione giusta, ma difensiva: il referendum del 22 ottobre mostra in tutta la sua evidenza che finché le questioni dirimenti sono decise dai vertici della Repubblica Pontificia a loro uso, consumo e interesse, dai loro partiti, dalle loro istituzioni e autorità, la strada per i lavoratori e per le masse popolari è un vicolo cieco. La questione dirimente per le masse popolari, oggi, non è una maggiore autonomia fiscale, ma il diritto universale a un lavoro utile e dignitoso, una gestione democratica, trasparente e popolare dei beni comuni, la difesa e l’estensione dei diritti conquistati con le lotte dei decenni passati, l’attuazione delle parti progressiste della Costituzione dal 1948 violata o elusa. Di queste questioni dirimenti non se ne occupa la Lega e nessuno dei partiti delle larghe intese, che anzi hanno un ruolo di primo piano nello smantellamento dei diritti e delle conquiste, nella violazione e nell’elusione delle parti progressiste della Costituzione e nella promozione della guerra fra poveri. Ma di questi temi non si occupano nemmeno i partiti che oggi chiamano all’astensione “contro la Lega” , anzi proprio il PD, che governa il paese, ha il ruolo di capofila della mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Le lamentele e le scuse, i mal di pancia e i distinguo di chi gli regge il sacco alla sua sinistra (da Pisapia a Bersani, da Civati agli altri) completano il quadro della situazione politica parlamentare. L’alternativa alla crisi promossa da qualunque componente dei vertici della Repubblica Pontificia finisce sempre per mettere settori delle masse popolari contro altri settori delle masse popolari, nord contro sud, italiani contro immigrati, “regolari” contro “irregolari”, ecc. L’unica alternativa alla crisi è la mobilitazione per la promozione delle organizzazioni operaie e popolari, della loro iniziativa, del loro coordinamento, del loro ruolo come nuove autorità pubbliche che dal basso, sia legale o meno – ma è sempre legittimo – prendono le iniziative necessarie a fare fronte al corso disastroso delle cose. Allora, parliamo ai compagni e alle compagne che già se ne rendono conto, qualunque sia il partito o l’organizzazione in cui militano oggi, questa alternativa la devono costruire i comunisti e la devono costruire con la classe operaia e con le masse popolari. Non è una campagna di opinione, non è una trovata propagandistica: è una politica di principio che va tradotta in pratica.

Dopo il referendum del 22 ottobre le famiglie proletarie di Milano, Brescia, Bergamo, Sesto San Giovanni, ecc. saranno sfrattate come oggi, le aziende saranno chiuse o delocalizzate, gli operai saranno vittime come oggi degli incidenti sul lavoro, l’eccellente sanità lombarda continuerà a ignorare i poveri, a macellare le masse popolari e a brillare per i ricchi, gli obiettori alla 194 infesteranno gli ospedali, il degrado materiale e morale avanzerà. Se le masse popolari organizzate, per come lo sono oggi, per quante ne sono oggi, non prendono nelle loro mani l’iniziativa, non è possibile parlare in alcun modo di alternativa al corso disastroso delle cose. Promuovere e sostenere quel protagonismo operaio e popolare è ciò che chiamiamo a fare ogni compagno e ogni compagna, orientarlo e permettergli di diventare quello che non è ancora, ma potenzialmente può diventare. Questo è un fronte comune di lotta che serve a liberare la spinta che preme da ogni parte e che dobbiamo favorire, abbiamo la responsabilità di curare e coltivare, farla crescere fino ad affermarsi. Con l’obiettivo immediato di imporre ai vertici della Repubblica Pontificia il governo delle masse popolari organizzate, il Governo di Blocco Popolare, strada attraverso cui avanziamo verso l’unica soluzione possibile alla crisi generale, l’unica alternativa al capitalismo, la rivoluzione socialista che instaura il socialismo.

3. Il teatrino della politica borghese e le forze a cui ci rivolgiamo. La Lega Nord chiama le masse popolari della Lombardia e del Veneto a pronunciarsi su un referendum che serve per tenere sottomesse e legate una parte delle masse popolari e per aizzarle nella guerra tra poveri. Ma più in generale le chiama a partecipare al teatrino della politica borghese sbraitando di volta in volta contro un nemico fittizio verso cui incanalare il malcontento, la frustrazione, la paura e il disagio che lei stessa ha creato, a volte come gregaria, a volte con ruolo di protagonista. Vedendo bene come stanno le cose, la Lega Nord si rivolge alle masse popolari, in particolare al proletariato, per schierare la loro forza (che in varie occasioni ha minacciato di usare per passare alle vie di fatto, senza farlo mai veramente) al servizio dei capitalisti. Ancora più precisamente: a fronte di una politica reazionaria promossa dai caporioni delle larghe intese, la Lega Nord finge di essere opposizione ancora più di destra, ma non ha per ora né il coraggio né l’autonomia, né la possibilità di andare oltre la propaganda: si tratta di una ridicola (nel senso di caricaturale) e tragica (nel senso che gli effetti di questo gioco delle parti sono tragici per le masse popolari che la seguono) messinscena che attiene a pieno titolo al teatrino della politica borghese. La Lega si rivolge agli operai per avere il loro consenso su una maggiore autonomia fiscale della Lombardia e del Veneto, ma si guarda bene dal cercare il loro consenso per liberare i territori lombardi e veneti dalle basi NATO che inquinano e devastano; dal cercare il loro consenso per rompere con “i banchieri tedeschi, l’Euro e la UE”, dal mobilitarli perché il patrimonio immobiliare della Chiesa sia assegnato ai poveri tanto amati da papa Bergoglio, dal defunto cardinale Tettamanzi e dal patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, perché le aziende non vengano chiuse o delocalizzate. La Lega è un pilastro di cartone dei vertici della Repubblica Pontificia, la forza che ostenta sul piano elettorale non ha alcun riscontro sul piano della mobilitazione pratica perché sul terreno della mobilitazione pratica non ha nessuna soluzione positiva da dare alle masse popolari, agli operai, agli studenti, alle donne e tanto meno alle centinaia di migliaia di lavoratori immigrati che sono ormai parte integrante dell’ossatura del sistema produttivo. Denunciamo il ruolo della Lega per quello che è, servilismo filo padronale, contrastiamo la Lega per quello che dice e che fa, ma soprattutto mettiamo al centro della nostra attività la classe operaia e le masse popolari. La denuncia senza prospettiva, alla lunga, fa il gioco dei vertici della Repubblica Pontificia e della mobilitazione reazionaria perché alimenta sfiducia, disfattismo, attendismo. Nello scontro fra mobilitazione reazionaria e mobilitazione rivoluzionaria, che è lo scontro di questa epoca, la mobilitazione reazionaria può essere sconfitta solo con la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari, con la loro organizzazione e la loro iniziativa. Questo è l’aspetto decisivo.

La sinistra borghese, benché malcontenta del corso delle cose, è succube dei pregiudizi della borghesia. I suoi esponenti nella loro attività teoretica sono empiristi. Invece di analizzare scientificamente il corso delle cose, ognuno di essi si limita a descrivere quello che vede, sente e immagina. Scambiano la sostanza della lotta di classe (la direzione della produzione della ricchezza) con quello che appare in superficie (la distribuzione della ricchezza). La sinistra borghese è al rimorchio degli avvenimenti, reagisce alle mosse della borghesia invece di prevenirle, analizza le cose giorno per giorno, senza ricostruirne la storia, senza cercare il perché delle cose, senza capire le relazioni di causa ed effetto. Non ha un progetto di società, tanto meno un progetto frutto della comprensione delle premesse del futuro che sono nella società attuale, della comprensione di quello che nella società attuale preme per nascere ma che per nascere ha bisogno dell’attività cosciente e organizzata degli sfruttati” (…) “La borghesia imperialista e il suo clero distolgono con mille mezzi e arti le masse popolari dalla rivoluzione socialista e impediscono loro di assimilare la scienza della rivoluzione socialista. Ma non sono in grado di impedire a noi comunisti di assimilarla e di darci i mezzi per mobilitare le masse popolari a partire dallo stesso senso comune che per forza di cose le permea. Per valorizzare il loro capitale e prolungare la vita del loro sistema sociale la borghesia e il clero devono opprimere le masse popolari e saccheggiare la Terra: non sono in grado di impedire che l’esperienza di oppressione renda le masse popolari disponibili a seguire la nostra direzione, se noi comunisti la portiamo nella maniera giusta e quindi le masse popolari per loro propria esperienza constatano che è giusta”- da “A quelli che si dichiarano comunisti, a quelli che vogliono cambiare il mondo, a quelli che vogliono porre fine al catastrofico corso delle cose che la borghesia imperialista impone all’umanità” – Comunicato del (nuovo)PCI del 27 settembre 2017.

4. Da dove partire. Da chi si ostina a tenere come unico metro di paragone il teatrino della politica borghese, i partiti delle larghe intese e i loro accoliti di destra (Lega, Fratelli di Italia, Forza Nuova, ecc.) e di sinistra (MdP, SI, ecc.) non possiamo che sentirci dire che “la situazione è pessima”. Ci sono invece mille focolai di organizzazione e mobilitazione popolare che agiscono in ordine sparso e la cui principale difficoltà a imboccare la via unitaria, del coordinamento, dell’unità d’azione è la mancanza di un obiettivo chiaro: la possibilità di imporre ai vertici della Repubblica Pontificia un loro governo delle città, delle regioni e del paese. Superando le inadeguatezze e le arretratezze dei gruppi dirigenti dei sindacati di base, lo sciopero generale del 27 ottobre e quello del 10 novembre sono un’occasione per promuovere la costituzione di organizzazioni operaie e popolari e per promuovere il coordinamento di quelle già esistenti, per parlare direttamente ai lavoratori e agli studenti, ai movimenti, ai comitati territoriali, per superare la concorrenza fra organizzazioni sindacali e promuovere l’unità d’azione azienda per azienda (sia quelle pubbliche che quelle private) scuola per scuola, zona per zona. C’è un nesso fra gli scioperi e il referendum del 22 ottobre? Certo. La più ampia partecipazione agli scioperi, ai blocchi, alle manifestazioni, la più ampia e fitta tessitura della rete fra organizzazioni operaie e popolari è il terreno dello scontro reale fra il campo delle masse popolari e quello dei vertici della Repubblica Pontificia.

Disertare il referendum farsa del 22 ottobre in Lombardia e in Veneto!

Promuovere la più ampia partecipazione operaia e popolare allo sciopero del 27 ottobre e del 10 novembre!

Costruire in ogni azienda pubblica e provata, in ogni scuola, in ogni quartiere organizzazioni operaie e popolari che iniziano da subito a prendere le misure necessarie per fare fonte agli effetti della crisi, che siano legali o meno, sono comunque e sempre legittime!

Avanziamo nella rivoluzione socialista! Facciamo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia il Governo di Blocco Popolare!

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