Il G7 a Bergamo presenta da un lato la mistificazione del ruolo imperialista delle economie occidentali e dall’altro la rappresentazione della guerra delle lobby e delle potenze produttive del comparto per accaparrarsi il posto al sole, con varie proposte ovvie, tipo: produrre e non sprecare e robe simili.
Nel campo agricolo e alimentare si giocano guerre accanite tra le multinazionali per rapinare interi popoli e paesi delle loro risorse e terre coltivabili, costringendo a esodi epocali intere popolazioni (come sta avvenendo in Africa) per installarvi le produzioni agricole industriali per soddisfare la loro sete di profitti e imponendo all’agricoltura regimi che distruggono l’ambiente e provocano cambiamenti climatici; basti sapere che il 90% del mais e della soia coltivati sono al servizio della trasformazione in combustibili; e ancora, che la funzione principale delle produzioni agricole in pieno campo è oggi finalizzata all’alimentazione animale e non umana, laddove ciò rappresenta un fattore importante della produzione di Gas-serra (50%).
L’asservimento dell’industria alimentare alla logica del profitto non risolve i problemi di malnutrizione e di carenze alimentari esistenti (che anzi sono in aumento) mentre determina l’insorgenza dell’85% delle malattie del genere umano; l’educazione alimentare della popolazione è “demandata” alle società pubblicitarie e di marketing dei prodotti alimentari.
Questo nonostante che le conoscenze scientifiche, le capacità tecnologiche e organizzative raggiunte consentano oggi la soluzione della generalità dei problemi dell’umanità.
Tutto ciò mentre i governi dei cosiddetti G…x investono enormi capitali nelle spese militari, di oppressione e di dominio sia all’esterno che all’interno dei loro paesi. Progressive distruzioni e saccheggio dell’ambiente e delle popolazioni sono quindi gli effetti delle decisioni politiche dei governi di questi paesi per garantire i profitti del grande capitale. Anche da noi non si contano le aziende agricole che chiudono perché non reggono le logiche di mercato, sono epocali le migrazioni dai territori agricoli più svantaggiati (secondo il mercato) e l’abbandono delle produzioni locali a favore delle grandi multinazionali capitaliste; e la distruzione dell’ambiente è evidente.
Mossi dallo sdegno verso il modo di produzione distruttivo per le masse popolari e per l’ambiente, ma anche da condizioni oggettive per cui se il lavoro non c’è “te lo devi inventare”, un numero crescente di elementi delle masse popolari sceglie di percorrere strade alternative alle condizioni di vita e di lavoro precarie, alla disoccupazione e allo sfruttamento dell’azienda capitalista (“il ritorno all’agricoltura” lo chiama la stampa borghese). Piccoli produttori, che si trovano ben presto a dover fare i conti con le difficoltà della società contro cui combattono (impossibile costruirsi un’isola felice!): nonostante producano beni di qualità e servizi utili alla collettività (a partire dal fatto che preservano e curano il territorio in cui lavorano, spesso lo recuperano dallo stato di abbandono) vengono vessati dalle istituzioni locali e dal governo nazionale con tasse e vincoli penalizzanti (lunghe attese di permessi per fabbricare strutture necessarie al loro lavoro, espropri o devastazione dell’ambiente circostante a favore delle grandi opere inutili, ma che gonfiano di profitto i portafogli dei padroni e delle organizzazioni criminali), vengono schiacciati dalla grande distribuzione e dai debiti con i pescecani delle banche e della finanza. Queste esperienze sono la dimostrazione che l’idea di uscire dalla crisi del capitalismo attraverso la promozione di un “socialismo come nicchia o insieme di comunità alternative” non è possibile, cozza con la realtà oggettiva. Da qui la necessità di organizzarsi, di aprirsi all’esterno, oltre il proprio orticello, l’ambito militante e di volontariato; la ricerca di collaborazione e la costruzione di reti che si sostengano secondo relazioni basate su principi solidali, mutualistici, soprattutto allargate ad altri settori delle masse popolari che vivono e lavorano nel territorio e al movimento popolare; da qui anche la necessità di promuovere un modo di produzione che combini la tradizione e la scienza con l‘obiettivo di migliorare la qualità di vita e di lavoro dei produttori.
Se queste rappresentano tendenze positive nelle risposte delle masse popolari alla crisi in corso, per svilupparsi devono mettersi sul terreno del cambiamento della società in senso socialista; quindi porsi da subito, insieme alle organizzazioni operaie e popolari dei territori, attraverso la promozione dell’ingovernabilità del paese da parte dei governi della Pontificia Repubblica Italiana, sul terreno della costruzione di un governo di emergenza, espressione delle masse popolari organizzate. Governo che si ponga come obiettivi la gestione della produzione agricola, industriale e dei servizi al fine del soddisfacimento degli interessi delle masse popolari e della tutela dell’ambiente anche contro gli interessi delle banche, del grande capitale, degli speculatori e dei finanzieri, del Vaticano e del clero.
Così come fecero in Russia gli operai e i contadini diretti dal partito comunista di Lenin e Stalin con il governo dei Soviet, che aprì la strada alla presa del potere nell’ottobre del 1917.