I sindacati che hanno indetto lo sciopero generale per il 27 ottobre (Si Cobas, CUB, SGB, USI-ait, Slai Cobas) hanno promosso un’assemblea per definire modalità e contenuti della mobilitazione. Nelle settimane precedenti, la spinta di alcuni gruppi di lavoratori avanzati e delegati combattivi all’unità d’azione (che è un fattore di forza delle lotte rivendicative), a una condotta sindacale più combattiva, a nuove e più efficaci forme di lotta aveva aperto la possibilità che anche l’USB, la Confederazione Cobas e ADL Cobas aderissero allo sciopero, arrivando a una mobilitazione unitaria di tutto il sindacalismo di base.
La discussione tra le diverse organizzazioni sindacali tramite comunicati e note stampa ha preso la forma di un disaccordo sulla data (in particolare l’USB proponeva di posticipare lo sciopero alle prime settimane di novembre), ma la contraddizione ha radici più profonde.
L’assemblea di Milano ha ratificato la data dello sciopero generale per il 27 ottobre (e di fatto non è mai stata realmente messa in discussione) e pochi giorni dopo, fra accuse reciproche di settarismo e di condotte che perseguono la disgregazione della classe operaia, l’USB ha indetto, congiuntamente con la Confederazione Cobas, un altro sciopero generale per il 10 novembre: a fronte dei proclami di unità che si susseguono e di analisi sulla “impellente necessità di bloccare il paese”, hanno “partorito” due scioperi generali diversi, contrapponendoli e mettendoli in concorrenza, pretendendo che ognuno dei due sia “lo sciopero generale di cui la classe operaia ha bisogno”.
Di altro genere gli interventi dei lavoratori, della base, prima dell’assemblea, durante e nei commenti successivi. Molti i lavoratori che, pur tenendo la posizione delle dirigenze, hanno affrontato e approfondito il carattere politico dello sciopero generale e la necessità di una mobilitazione unitaria per la sua riuscita. Alcuni, sia iscritti ai sindacati firmatari del Testo Unico sulla Rappresentanza sia iscritti ai sindacati promotori dell’assemblea, hanno portato le esperienze di mobilitazione unitaria sui loro posti di lavoro e indicato i passi da compiere per estenderla a livello nazionale, usando lo sciopero come strumento per un processo più ampio e di maggiore prospettiva.
Riportiamo di seguito una breve intervista che abbiamo raccolto dopo l’assemblea da uno dei promotori dell’appello per la formazione di un fronte unico sindacale di classe per un’azione generale di lotta di tutta la classe lavoratrice in difesa della libertà di sciopero, Mario Paolo (delegato USB dei vigili del fuoco di Genova). Ha risposto alle domande specificando che si è consultato con la rete di lavoratori che ha promosso l’appello. Le sue parole rappresentano bene le tendenze avanzate emerse dall’assemblea di Milano e che noi comunisti dobbiamo rafforzare e sviluppare, sia nella mobilitazione per lo sciopero generale del 27 ottobre che in quella per lo sciopero del 10 novembre.
Come nasce e come state promuovendo nelle aziende la parola d’ordine dell’unità dei lavoratori al di là delle sigle sindacali?
L’appello è nato attraverso le conoscenze, maturate nel tempo all’interno del corpo militante del sindacalismo di base e di classe.
Si è palesata fin da luglio, dopo la proclamazione il giorno 8 di quel mese dello sciopero generale da parte di Cub, SI Cobas, Sgb, Slai Cobas ed Usi Ait, la volontà comune di evitare l’ipotesi di una ennesima riedizione di due scioperi generali separati e in concorrenza promossi dal sindacalismo di base.
È stato così redatto l’appello da compagni militanti di varie realtà del sindacalismo di base che poi è stato diffuso e spiegato nei posti di lavoro, via mail nella nostra rete di contatti, attraverso una pagina facebook che abbiamo appositamente creato col nome “Per un fronte unico sindacale di classe”. Ad oggi siamo giunti a circa 200 adesioni.
Le contraddizioni e i problemi emersi nel percorso di costruzione dello sciopero generale sono la manifestazione dei limiti con cui le dirigenze sindacali si approcciano alla necessità del rinnovamento del movimento sindacale. Qual è (o può essere) secondo te il ruolo della base, dei lavoratori, in questo sommovimento?
Nel sindacalismo di base è predominante una condotta “autoreferenziale”, (le dirigenze – ndr) credono che il sindacato di classe necessario ai lavoratori nascerà dallo sviluppo delle loro organizzazioni e ciò si riflette anche nella pratica degli scioperi separati e concorrenti tra loro. Ciò indebolisce gli scioperi e i lavoratori allontanandoli anche dalla lotta sindacale, invece un sindacato di classe dovrebbe favorire la partecipazione dei lavoratori e sviluppare dinamiche organizzative dal basso verso l’alto.
Il ruolo della massa dei lavoratori e della base degli iscritti delle organizzazioni sindacali conflittuali è fondamentale, i lavoratori infatti dovranno tornare a lottare, non solo perché ci mobiliteremo per costruire la coscienza di classe, ma anche perché lo sfruttamento capitalista continuerà a peggiorare le condizioni di vita e di lavoro dei salariati, obbligandoli a mobilitarsi.
Più le lotte dei lavoratori saranno ampie e determinate, più i percorsi sindacali saranno efficaci e fedeli ai bisogni del movimento operaio.
All’assemblea del 23 settembre a Milano si sono espresse due tendenze in modo chiaro: quella dell’apertura e dell’unità fra i lavoratori, a lavorare per la costruzione di un fronte della classe operaia contro i padroni, e quella, che si è affermata, a mantenere la data del 27 ottobre e a non dare spazio ai sindacati che hanno firmato il Testo Unico sulla rappresentanza. Cosa ne pensi? Come si può lavorare nei territori per affermare la linea di fare dello sciopero generale uno strumento per la costruzione di un fronte unico dei lavoratori?
Il Testo Unico sulla Rappresentanza è un accordo per difendere il sindacalismo di regime di Cgil, Cisl e Uil e ostacolare la rinascita del sindacalismo di classe. L’adesione ad esso di gran parte del sindacalismo di base (Confederazione Cobas, Usb, Adl Cobas) è un fatto grave. Tuttavia questa adesione, nella misura in cui è impugnata per ostracizzare azioni di sciopero generale unitarie, diviene un pretesto, una bandiera degli uni sotto cui condurre una guerra santa sindacale contro gli altri, a danno di tutto il movimento operaio.
Gli iscritti e i militanti sindacali che condividono l’indirizzo dell’unità d’azione dei lavoratori devono battersi affinché esso si affermi nelle loro organizzazioni di appartenenza. L’appello è anche servito a unire e coordinare questi sforzi, a mettere in contatto questi militanti sindacali.
Del resto il nostro appello non è rivolto alle burocrazie sindacali ma ai lavoratori, ai colleghi di lavoro, che condividono quotidianamente il problema della repressione padronale e quindi trovano sbagliato, oltre che inspiegabile, scendere in piazza in date diverse, ravvicinate e contrapposte.
Questo indirizzo andrà ribadito per il futuro e portato avanti sul piano territoriale e categoriale in ogni vertenza laddove se ne presenti l’occasione. Si possono fare alcuni esempi in cui l’unità d’azione è stata messa in pratica negli ultimi anni: nel Trasporto Aereo, nel Trasporto Pubblico Locale, fra i ferrovieri, alla Marcegaglia di Ravenna (dove Usb ha proclamato lo sciopero a sostegno dei lavoratori del reparto logistico organizzati da Sgb), all’Ospedale Galliera di Genova dove Usb e SI Cobas hanno manifestato insieme a difesa della rappresaglia aziendale contro un delegato Usb. Spesso ciò avviene con grande fatica, ma va fatto.
Molti interventi in quella assemblea hanno insistito sul percorso di costruzione dello sciopero e sulla necessità di “andare oltre” la scadenza, impostando una lotta di lungo corso e di ampio respiro. Quali possono essere i passi da fare, in particolare per continuare a sostenere un percorso unitario oltre la data del 27 ottobre?
Intanto va detto per correttezza che le date di sciopero generale del sindacalismo di base saranno due (l’USB ha in effetti convocato lo sciopero generale, congiuntamente con la Confederazione Cobas, per il 10 novembre – ndr). Seppur con piattaforme e impostazioni diverse, proveremo a collegarle quantomeno come iniziative di lotta contro lo sfruttamento capitalista e i sindacati maggioritari alleati dei padroni ed ormai essi stessi parte integrante della classe padronale, questo perché lo sciopero comunque è dei lavoratori, anche al di là delle sigle che lo convocano.
Infatti intendiamo continuare in questa azione unificante, tenendo viva la discussione sulla necessaria omogeneità d’azione dei lavoratori, nella lotta quotidiana sui posti di lavoro, nelle vertenze territoriali, di categoria e generali.
***
Contro il successo di partecipazione dello sciopero dello scorso 16 giugno, che ha largamente paralizzato il trasporto pubblico e privato e messo in allarme il governo e i suoi mandanti, il governo Renzi-Gentiloni sta mettendo a punto con i gruppi dirigenti dei sindacati di regime misure che restringono ulteriormente il diritto di sciopero. Ma hanno bisogno di creare tra le masse popolari una diffusa convinzione che limitare il diritto di sciopero è giusto. La motivazione con cui questi loschi figuri cercano di convincere le masse popolari la possiamo e dobbiamo ritorcere contro di loro. Noi comunisti dobbiamo usare a fondo ogni spunto che il contesto presenta per elevare la coscienza dei lavoratori (oltre che la loro organizzazione), in particolare per rafforzare tra di essi la convinzione e l’adesione alla causa del comunismo e alla lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista: l’ulteriore limitazione del diritto di sciopero è uno di questi spunti. Il governo Renzi-Gentiloni, con la collaborazione dei sindacati di regime, punta a dare un ulteriore giro di vite al diritto di sciopero (cosa che le autorità e i padroni aspirano e cercano di fare in tutti i paesi dove il diritto di sciopero è oltre che sancito anche praticato dai lavoratori). La motivazione con cui cerca di creare consenso a questo ulteriore giro di vite è il “diritto degli utenti”. È la stessa motivazione usata nel 2008 dal governo Berlusconi, e in particolare dall’allora Ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, il socio dell’attuale segretaria generale della CGIL, Susanna Camusso. Rispetto a questa motivazione è utile diffondere ancora oggi il ragionamento che propagandammo in quell’occasione. Dicevano allora Sacconi e i suoi complici e ripetono i loro imitatori oggi: “Il servizio prodotto da un’azienda non è questione che riguarda solo i lavoratori dell’azienda e il suo padrone, il titolare pubblico o privato dell’azienda. Riguarda centinaia, migliaia di altre persone. Il venir meno di un servizio le danneggia o addirittura paralizza la loro attività. Quindi si ripercuote negativamente su tutta la società. Il diritto di sciopero non può essere trattato come un diritto di cui i lavoratori addetti a un’azienda dispongono a loro volontà, considerando solo i loro interessi e ancora meno come un diritto individuale (anche se come tale è sancito dalla Costituzione italiana in vigore dal 1948), che ogni singolo lavoratore esercita a suo giudizio e secondo il suo personale interesse”.
Ben detto! È una motivazione indubbiamente consistente, di comune buon senso. Ognuno di noi si è trovato una volta o l’altra a dover fare i conti con lo sciopero di qualcun altro e solo la comprensione dei giusti motivi per cui i lavoratori ricorrono allo sciopero ci ha indotto a solidarizzare o almeno a non imprecare e protestare contro gli scioperanti.
Ma la motivazione è vera, proprio perché è vero che oggi i beni e i servizi prodotti da un’azienda (quantità, qualità, caratteristiche, risorse usate e conseguenze della lavorazione) sono questione che riguarda tutta la società e non solo i lavoratori di quell’azienda, e tanto meno riguarda solo il padrone di quell’azienda. La proprietà privata dell’azienda è il residuo, nel presente, di un passato in cui la società era diversa dall’attuale, di quando la produzione e riproduzione della società era per l’essenziale assicurata dalla piccola produzione familiare e le aziende capitaliste erano un’aggiunta. Un passato che è quello in cui il capitalismo è sorto e si è sviluppato. Effettivamente allora aprire e chiudere un’azienda, il suo funzionamento, perfino l’inquinamento che eventualmente produceva, erano questioni che per l’essenziale restavano tra il proprietario e i lavoratori di ogni azienda. La ragionevole motivazione che i Sacconi di ieri e di oggi adducono per giustificare la limitazione e la soppressione del diritto di sciopero, tanto più vale contro la privatizzazione di servizi pubblici, contro la proprietà privata di reti di servizi, di scuole, di ospedali, ecc., contro la proprietà privata di reti di distribuzione, contro la proprietà privata di ogni grande azienda che opera in condizioni più o meno monopolistiche. Provate a immaginare cosa succederebbe se per alcuni giorni o settimane mancasse la produzione di latte, di farina, di scarpe, di cemento, di acciaio, di medicine, ecc. In una società come l’attuale, la produzione e la distribuzione di quasi ogni bene e di quasi ogni servizio sono questioni di pubblica utilità e di ordine pubblico. La “guerra economica” e le sanzioni con cui i padroni del mercato mondiale (di fatto la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, statunitensi e sionisti) cercano di strozzare i regimi ostili che non osano apertamente aggredire (ieri il Cile, Cuba e altri, oggi la Repubblica Bolivariana del Venezuela, la Repubblica Popolare Democratica di Corea, l’Iran e altri) si basa su questo carattere dell’economia moderna. Ma da noi oggi il carattere collettivo delle forze produttive i padroni e le loro autorità lo fanno valere solo contro i lavoratori, contro il loro diritto di sciopero, contro le “pretese” dei lavoratori a un lavoro dignitoso, a condizioni di lavoro sicure e igieniche, a un salario decente, ecc. Lo fanno valere solo contro le “pretese” degli abitanti della Val di Susa, contro chi non vuole una discarica di rifiuti vicino a casa sua o in altre situazioni analoghe. Ma in realtà esso vale innanzitutto contro i padroni: non è compatibile con la vita della società attuale che i rifornimenti di beni e servizi correnti e comunque necessari, che la produzione e distribuzione di beni e servizi dipendano dalla convenienza e dalla volontà di un individuo che ci guadagna o no. Sono tutte questioni di interesse sociale, di interesse pubblico. Per loro natura devono quindi essere gestite pubblicamente, secondo criteri pubblicamente condivisi e sostenuti: ci vuole la gestione pubblica e pianificata dell’economia che è uno degli aspetti essenziali del socialismo e del comunismo.
Quali sono le discriminanti oggi decisive nel campo dell’azione sindacale?
- Essere per strappare al padrone quanto più si ha la forza di strappargli (conflittualità) oppure essere per la compatibilità con gli interessi del padrone (complicità con padronato e governo): questa discriminante non divide solo i sindacati di regime da una parte e quelli alternativi e di base dall’altra, ma attraversa anche i sindacati di regime stessi (divide al loro interno la destra dalla sinistra);
- tra i sindacati che sono per strappare al padrone tutto quello che si ha la forza di strappare, la discriminante decisiva è tra promuovere e sostenere la formazione di organizzazioni operaie e popolari per la costituzione per la costituzione di un loro governo d’emergenza (far svolgere al sindacato il compito di “comitato di salvezza nazionale”) oppure restare chiusi nel terreno sindacale;
- per quanto riguarda nello specifico i sindacati alternativi e di base, la discriminante è fare la “sinistra” dei sindacati di regime (inseguire i sindacati complici sul loro terreno), che significa andare con loro sempre più a destra, al guinzaglio dei padroni oppure porsi come sindacati di classe (darsi un piano di guerra contro i padroni e le loro autorità e funzionare da scuola di organizzazione, di solidarietà, coscienza e lotta di classe), che significa partecipare, con il loro ruolo specifico, alla lotta generale per porre fine al catastrofico corso delle cose che la borghesia imperialista impone a tutto il mondo.
Sono queste le discriminanti su cui in campo sindacale individuiamo la sinistra e la mobilitiamo a fare unità d’azione (unire a sé il centro e isolare la destra). Ognuna di queste discriminanti generali ha delle traduzioni e dei corollari particolari e concreti. Alcuni esempi:
– per quanto riguarda la rappresentanza in azienda, fondarsi sul seguito tra i lavoratori oppure sul riconoscimento dei padroni, cioè adattarsi alle regole che i padroni impongono (vedasi il Testo Unico sulla Rappresentanza-TUR) per condividere i poteri e le funzioni che i padroni ancora riconoscono ai loro sindacati e usufruire dei servizi che le aziende fanno ai sindacati di regime;
– per quanto riguarda l’allargamento organizzativo, mobilitare su una linea efficace i lavoratori indipendentemente dal sindacato di appartenenza e dall’appartenenza o meno a un sindacato oppure puntare sulla “campagna acquisti” nei sindacati di regime;
– per quanto riguarda le lotte, lottare per vincere oppure rintuzzare di volta in volta gli attacchi dei padroni cedendo il meno possibile (il “meno peggio” che apre le porte al peggio);
– per quanto riguarda le forme di lotta, applicare il criterio che “è legittimo tutto quello che è conforme agli interessi dei lavoratori e delle masse popolari” oppure attenersi alle leggi e regole dei padroni e delle loro autorità;
– per quanto riguarda i rapporti tra sindacati conflittuali, concorrenza oppure collaborazione;
– per quanto riguarda il rapporto tra lavoratori e le altre categorie delle masse popolari, giovarsi della forza degli operai delle fabbriche e dei lavoratori delle aziende pubbliche per sviluppare la mobilitazione e l’organizzazione delle categorie non aggregate in aziende (disoccupati, precari, immigrati, studenti, casalinghe, pensionati, ecc.) e su terreni non aziendali (la mobilitazione contro la guerra, la casa, la salute, i servizi pubblici, la salvaguardia dell’ambiente e del territorio) oppure il corporativismo.
Oggi il corso delle cose pone ogni sindacato di fronte al fatto irreversibile che l’epoca del “capitalismo dal volto umano” è finita: per alcuni decenni le masse popolari hanno strappato alla borghesia grandi conquiste in ogni terreno, ma esse erano frutto dell’avanzata della prima ondata delle rivoluzione proletaria. Ora i sindacati o contribuiscono alla mobilitazione dei lavoratori, alla loro organizzazione e alla costituzione del loro governo d’emergenza, oppure si riducono sempre più a succursali e appendici degli uffici personale dei padroni, del loro settore “risorse umane” (i sindacati di servizio promossi dalla CISL e dagli altri sindacati gialli). Chi oggi è ancora in mezzo, sempre più è costretto a scegliere tra le due vie.
L’unico rinnovamento efficace e importante del movimento sindacale stante l’attuale corso delle cose è l’impegno delle sue relazioni e funzioni per promuovere la mobilitazione dei lavoratori a occuparsi della salvaguardia delle aziende, l’organizzazione dei precari, dei cassintegrati, dei disoccupati, la mobilitazione comune per dare al paese un governo deciso e in grado di attuare le misure d’emergenza che le organizzazioni sindacali stesse già indicano come necessarie; è lavorare in questa direzione sfruttando tutte le situazioni.
Noi comunisti dobbiamo quindi in tutto il movimento sindacale, in ogni sindacato in cui riusciamo a operare, tradurre nel particolare dell’organizzazione, dell’azienda e del momento la linea della partecipazione del sindacato al movimento per la costituzione del Governo di Blocco Popolare.