[Italia] Intervista a Manuel: molto più di una testimonianza sulla Buona Scuola

L’intensa chiacchierata che segue è un piccolo spaccato di quel lavoro di educazione alla partecipazione alla lotta di classe della gioventù del nostro Paese, su cui come Carovana del (n) PCI, da qualche anno, ci stiamo cimentando e sperimentando. Un’educazione che ha al centro, innanzitutto, la diffusione della concezione comunista del mondo e la partecipazione a esperienze pratiche ed educative.

Ringraziamo Manuel che ci ha raccontato la sua esperienza e i tanti giovani compagni del Partito, candidati, simpatizzanti e collaboratori che hanno partecipato alla Festa di Riscossa Popolare di Massa; che collaborano alle iniziative del Partito nel corso dell’anno; che portano le sue parole d’ordine nelle scuole, università, nei luoghi di lavoro e nei quartieri, contribuendo, così facendo, alla rinascita del movimento comunista nel nostro Paese.

 

Ciao Manuel, puoi parlarci degli effetti che ha avuto la Buona Scuola nella tua realtà scolastica in particolare dell’alternanza scuola-lavoro?

La mia scuola è un istituto tecnico di elettronica ed elettrotecnica; col diploma viene conseguito il titolo di perito elettronico ma gli sbocchi che può dare sono diversi: per tanto gli studenti vengono formati anche per proseguire gli studi con l’università. Rispetto all’alternanza scuola-lavoro un primo problema che abbiamo incontrato nello svolgimento di queste ore, è stato la mancanza di posti fisici in cui andare sul mio territorio [Abbadia S. Salvatore in provincia di Siena, ndr] e questo dimostra come sia stata imposta a tavolino senza tenere di conto delle differenze tra i territori [nord-sud, città-campagna, ecc. ndr]. Siccome le ore sono obbligatorie ci hanno mandato in luoghi di lavoro che non avevano nulla a che vedere con quello che richiedeva la nostra formazione. Nel mio caso sono stato mandato a lavorare alla Misericordia (serie di confraternite e arciconfraternite cattoliche dedite all’assistenza dei “bisognosi”). Anche se è stata un’esperienza “piacevole”, perché aiutavo le persone, non è stata formativa né rispetto alla scuola che io ho scelto (perché ben poco aveva a che fare con quello che mi fanno studiare) né per quel lavoro in particolare (cioè per lavorare effettivamente nell’ ambito dell’assistenza) dato che la maggior parte delle procedure non potevamo farle, quindi siamo stati molte ore “a guardare” quello che facevano altri oppure, nella peggiore delle ipotesi, a non fare proprio niente! Posso dire che sia stata una perdita di tempo vera e propria, soprattutto dal momento in cui in classe le ore non ci avanzano anzi, i professori devono svolgere già di per sé i programmi in fretta e furia. Altri studenti che conosco sono andati molto lontano rispetto a dove abitano per svolgere le ore di alternanza. Anche a me lo hanno proposto ma io ero impossibilitato per via dei mezzi di trasporto e comunque non avrei accettato perché i viaggi non vengono rimborsati e non ritengo giusto che debba essere una spesa a carico degli studenti. Conosco studenti più grandi che son stati richiamati a lavorare nei posti in cui hanno svolto gli stage. In particolare uno a cui è stato proposto di lavorare tutta l’estate ma di fatto viene sfruttato: ha una bassissima retribuzione, non ha giorni di riposo e lavora molte ore al giorno. Questo avviene nella “migliore delle ipotesi” ossia quella per cui se vedono che sei bravo in un determinato mestiere poi ti assumono realmente, e diversi ragazzi cascano in questo tranello, visto che oggigiorno per i giovani è così difficile trovare lavoro e avere anche l’opportunità che qualcuno te lo insegni.

Riassumendo, per quanto riguarda la mia esperienza e quella degli studenti del mio istituto, è risultata essere una perdita di tempo. Nonostante questo, ritengo mi sia andata meglio di altri che sono stati mandati nei fast-food, dove non solo non sono stati formati ma sono stati anche sfruttati! Per quanto riguarda i professori, immagino che lo svolgimento di queste ore sia stato un bell’ ostacolo alla didattica che già da qualche anno risente di un grosso peggioramento a causa delle politiche dei governi.

Quello che dici è veramente interessante e rispecchia bene quelle che sono le esperienze che tanti giovani del nostro paese vivono sulla propria pelle. In base a questa esperienza credi siano possibili dei miglioramenti nella gestione e organizzazione di queste ore? Hai delle proposte in merito?

Allora, il problema dell’alternanza scuola-lavoro non è il fatto che gli studenti siccome studiano non devono lavorare. È giusto dare una formazione ai giovani che sia teorica e pratica. Anzi, spesso, soprattutto nei licei la differenza tra studio teorico e formazione pratica si fa troppo sentire, tant’è che è difficile trovare giovani che siano bravi sia a studiare che a fare qualcosa di pratico. Questo è il riflesso, nel mondo della scuola, del divario che esiste nella nostra società tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. In questo modo la tendenza è quella ad avere studenti dei licei che escono dalle scuole senza avere la minima idea di cosa sia il lavoro e studenti delle scuole professionali che incontrano troppe difficoltà per proseguire gli studi (da questo punto di vista la mia scuola mi piace perché tiene aperte entrambe le strade). Per questo credo che impegnare tutti gli studenti, anche dei licei, in esperienze lavorative sia giusto. Ovviamente, però, dovrebbero essere esperienze davvero formative, cioè che richiedono del personale specializzato nel seguire gli studenti per far imparare loro qualcosa, che abbiano un legame con quello che studiano e con le necessità dei territori e del paese (lavori utili per intenderci). Inquadrata in questo modo la soluzione definitiva per migliorare non solo la questione di queste ore ma il sistema scolastico tutto, è cambiare la società. All’interno di questa società una manovra come questa sarà sempre subordinata alle esigenze della classe dominante e quindi equivarrà all’ utilizzo di forza lavoro a costo zero; al peggioramento della didattica nelle scuole pubbliche; alla propaganda verso i giovani del lavoro visto come un lusso per pochi, abituandoci a non avere più diritti e creando contraddizioni con chi già lavora. Attualmente si possono fare dei miglioramenti andando a valorizzare quelle che sono le potenzialità delle varie scuole. Per esempio accanto alla mia scuola c’ è il liceo scientifico e sarebbe stato positivo potenziare i molti laboratori che già possiedono e collaborare per la ricerca.

Parlavi di trasformazione della società: da dove cominciare per coinvolgere i giovani, gli studenti?

Possiamo iniziare ad organizzarci già adesso mettendo a confronto le nostre esperienze per capire, insieme, quali sono le nostre esigenze e facendo delle richieste. Possiamo partire da piccole cose: nella mia scuola, ad esempio, si fa fatica ad ottenere le ore per le assemblee d’istituto: possiamo iniziare con questa battaglia. Infatti, organizzare momenti di confronto tra noi studenti potrebbe contribuire a costruire un certo grado di coscienza come giovani delle masse popolari, perché il problema più grande che individuo sta proprio nel fatto di non essere abituati a fare certe cose: ragionare, confrontarci e organizzarci. Iniziare a discutere di politica non è scontato, perché tutti “odiano la politica”, anche io, perché in tanti pensano che la politica sia quella che guardiamo alla televisione! Iniziare a discutere di politica, invece, significa discutere delle cose che ci appartengono, come il nostro futuro. Gli studenti vorrebbero farlo: spesso sono loro a chiedere in classe di parlare di certi argomenti ma i professori o non ne hanno la volontà oppure hanno paura di esporsi troppo, perché non si sentono più liberi di dire quello che vogliono nelle loro lezioni (adesso devono rendere conto di tutto al dirigente scolastico). Questo lavoro, credo, sia possibile farlo nella mia scuola che non è mai stata attiva, non ci sono mai stati collettivi e io stesso non ho alcuna esperienza in merito, se non quel poco che assimilo simpatizzando per il Partito dei CARC. Credo sia necessario farlo indipendentemente dai risultati che possiamo ottenere nell’immediato.

Tu hai conosciuto il Partito dei CARC grazie ai tuoi genitori ma da qualche anno, di tua volontà, partecipi con entusiasmo e in modo attivo alle sue iniziative; in particolare alle Feste di Riscossa Popolare che si svolgono ogni anno a Napoli e a Massa. Cosa ti spinge verso il movimento comunista? Inoltre, credi che si possa parlare di socialismo ai giovani?

Partecipare alle attività del Partito mi piace perché è l’unico contesto in cui so di ricevere risposte alle domande che ogni giorno mi faccio. Le risposte che dà la borghesia, e con cui vuole influenzare tutta la popolazione attraverso la televisione, i giornali, la sua cultura, anche attraverso la scuola, non sono scientifiche, ma anzi fumose, molte discordanti tra loro. Il Partito mi dà un metodo per analizzare quello che mi sta attorno e mi ha anche evitato di prendere determinate strade; per esempio mi ha educato molto alla cultura del sano divertimento contro la cultura borghese dello sballo, della diversione, ecc. Gli altri ragazzi dovrebbero legarsi al movimento comunista perché è qui che trovano le risposte alle domande che, come me, si pongono anche loro. La differenza tra me e loro sta nel fatto che questi giovani non trovando risposte e soluzioni si danno allo sconforto e al disfattismo. Immagino che di alcune cose ne parlino in famiglia ma qui non possono che trovare risposte sbrigative, dettate dal senso comune, da quello che vuol far credere la classe dominante; quindi vedono nella rassegnazione l’unica via. Io sono fortunato perché sono figlio di due compagni e quindi con loro ho sempre avuto l’opportunità di trattare tutto in modo diverso. Purtroppo la famiglia, o comunque il contesto in cui vivi, determina moltissimo il modo di pensare e di agire o non agire dei ragazzi, perché in questa società si vive molto tra le mura di casa. Se le generazioni dei nostri genitori, a 20 anni potevano andare a vivere da soli ed essere indipendenti, per noi è molto più difficile.

Certo che è possibile parlare di socialismo ai giovani perché si tratta di qualcosa che ci riguarda in prima persona: è la soluzione ai nostri problemi! Credo si possa fare principalmente in due modi:

– attraverso lo studio teorico, in particolare alimentando la conoscenza storica dei primi paesi socialisti. Io stesso non la conosco ma averla iniziata a studiare, grazie al partito, mi ha permesso di valutare le cose che mi circondano in un altro modo e soprattutto mi ha fatto capire che è possibile vivere in modo diverso;

– attraverso esperienze pratiche, cioè “facendo vivere il socialismo”; per esempio come fa il Partito all’ interno delle Feste di Riscossa Popolare in cui viene dato spazio agli Organismi Operai e Popolari che si organizzano per il lavoro, per la scuola, per l’ambiente ecc. In cui ognuno di noi a livelli diversi dà qualcosa e si sente importante e utile; in cui lavoriamo e impariamo a fare cose non come vogliono (e per gli interessi de) i padroni ma per far star bene tutti; in cui allo stesso tempo studiamo e “facciamo”. In sintesi questo è il modo per far vedere come potrebbero funzionare le cose se il potere fosse nelle mani della classe operaia e del resto delle masse popolari, guidate dal loro partito comunista.

Intervista Manuel, 16 anni, simpatizzante del Partito dei Carc

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