Tiene banco negli ultimi giorni la narrazione di quanto accaduto a Ischia, isola campana colpita da una scossa di terremoto che ha mietuto 2 vittime, ferito oltre venti persone e prodotto un paio di migliaia di sfollati. I telegiornali e i quotidiani in edicola nell’intero paese si lanciano in analisi sismologiche, giuridiche e politiche di quanto avvenuto. In generale c’è concordanza nel definire la scossa come un sussulto lieve per cui i danni emersi a cose e persone sono spropositati. In generale, però, il dibattito pubblico intorno al Terremoto di Casamicciola si sta concentrando attorno a temi quali la speculazione edilizia, le costruzioni abusive che da anni si moltiplicano sull’isola e le accuse contro le amministrazioni comunali del territorio che fondano sull’elargizione di permessi e concessioni il proprio consenso. L’approccio è, quindi, quello tipico di piangere il morto dopo che i motivi della sua malattia sono stati nascosti per decenni sotto il tappeto.
Questo ci racconta anche il presidente di Legambiente Campania, Michele Buonomo, su Il Manifesto di questa mattina:
«Di solito è gente che ha un terreno di proprietà o lo acquista. Poi ci vuole una ditta compiacente che è in grado di offrire l’intera filiera del servizio in nero: materiale, manodopera, mezzi meccanici e trasporto. Di notte si scavano e poi si realizzano le fondamenta. In questa prima fase deve passare inosservato il camion con il materiale e l’escavatore più il gruppo di lavoro. Nessuno deve aver sentito i rumori di notte. Noi diciamo che l’autorizzazione a costruire non te la dà il comune ma il vicino di casa, che vede e sente ma non denuncia. Non si accorgono di nulla neppure i comunali e i vigili. Di solito questi abusi li scopre la capitaneria di porto o la Gdf perché li vede dal mare ma a quel punto c’è già il tetto ed è tardi, perché la copertura blocca un eventuale abbattimento».
Quanto dice Buonomo è certamente reale e sacrosanto, anche se indicare come primi estensori della concessione edilizia il vicino di casa degli speculatori significa scaricare nelle masse popolari responsabilità che non sono certo le loro. Le responsabilità e le ragioni di questo sistema vanno cercate altrove, dato che ci pensa già la borghesia a scaricare le proprie responsabilità e incapacità sulle masse popolari. È giusto però il resto del ragionamento, su cui occorre concentrarsi. Sono centinaia, infatti, le inchieste che indicano le zone di Ischia, Capri e dell’intera fascia di costa che va dal basso Lazio al nord della Calabria, come luoghi senza regole in cui è possibile costruire una casa abusiva in 48 ore e nel giro di un mese ottenere deroghe, proroghe e perfino concessioni edilizie a lavori già effettuati.
Nella democrazia borghese è questo il modo di agire. Il sistema “democratico” borghese è un sistema in cui la classe che lo dirige, la borghesia, vi mette al centro la propria concezione del mondo e il proprio modo di dirigere la società: nella società borghese a dirigere è l’economia.
Non ci sono, quindi, leggi, leggine o ricette di moralizzazione e miglior controllo nella democrazia borghese che tengano, principale è l’economia, la valorizzazione del capitale dei capitalisti. Questo perché la democrazia borghese nasce come sovrastruttura politica della produzione mercantile, che si è consolidata e generalizzata come produzione capitalista. La democrazia borghese è il sistema in cui il potere politico è riservato ai capitalisti, è la dittatura della borghesia. In questa dittatura il controllo dell’imposizione fiscale, l’amministrazione pubblica, la politica estera e l’ordine pubblico sono ingredienti e strumenti della democrazia borghese. Non è da sorprendersi, quindi, se le istituzioni, gli organi di controllo, i garanti, i pubblici uffici e tutto l’apparato dello Stato non faccia il suo dovere e al primo tremolio di terra scatti l’ennesima emergenza.
Servono a poco le parole indignate dei sinceri democratici che invocano più controlli, più fondi per la manutenzione dei territori e delle strutture pubbliche. L’emergenza è un business connaturato alla società borghese e alla sua crisi generale in corso, crisi che in tutti i modi cercano di scaricare e di far pagare alle masse popolari con morti, disoccupazione, ritiro dei servizi sociali, guerra tra poveri e guerre di aggressione dei paesi oppressi. Le leggi contro le masse popolari sono ormai promulgate a getto continuo e applicate con zelo e aggressività (basta guardare agli ultimi anni, dal Jobs Act al Decreto Minniti); al contempo la borghesia non si fa scrupoli a violare la propria legalità e la Costituzione italiana del ’48 quando c’è da guadagnare, speculare e valorizzare capitale. Non è un caso che con i crolli di Casamicciola l’acquolina in bocca sia aumentata per il governo delle larghe intese che ha già pronta la dichiarazione dello stato di emergenza, con il governatore della Campania De Luca che vi fa eco. Se c’è da abbattere c’è da costruire, se c’è da costruire c’è da guadagnare.
L’unica risposta concreta a questo marasma è quella che parte dal basso: dagli amministratori di rottura, dagli esponenti di richiamo del mondo sindacale, dalla società civile e dalle masse popolari che si organizzano sui territori per costruire una governabilità alternativa allo sfacelo in cui la crisi della borghesia le trascina. Sono tanti gli esempi di organismi che oggi sempre più si pongono nell’ottica di agire come Nuove Autorità Pubbliche, senza più delegare alle istituzioni la soluzione dei problemi grandi e piccoli che quotidianamente si trovano a vivere ma trovando soluzioni, stendendo piani e applicando il Controllo Popolare alla loro esecuzione, sviluppo o imposizione. Sempre più si fa strada l’idea di costruire nuova governabilità dei territori, di rompere con la delega e di uscire dalla crisi a partire dal protagonismo delle masse popolari senza più chiedere, lamentarsi o delegare.
Le vittime del terremoto di Ischia sono vittime che appartengono alle masse popolari, così come le tragedie esistenziali che questa calamità ha prodotto e che in generale la guerra di sterminio non dichiarata produce giorno dopo giorno sulle nostre spalle. Le masse popolari di tutto il paese devono sostenere con forza le masse popolari ischitane colpite dal sisma e incoraggiarle a organizzarsi, presidiare i luoghi in ricostruzione, costruire comitati di controllo e di decisione popolare senza lasciare in mano alle istituzioni della borghesia e ai padroni la ricostruzione e la messa in sicurezza del territorio. Il salto di qualità necessario anche sul territorio ischitano starà proprio nella capacità da parte delle masse popolari di sviluppare un processo partecipativo di cura, tutela e rinascita di queste aree, su modello delle Brigate di Solidarietà Attiva che nel centro Italia si sono costituite contro gli effetti, certamente più disastrosi, dei terremoti che l’hanno colpita a partire dalla scorsa estate.
L’unica strada per uscire da questa crisi sta nella mobilitazione, organizzazione e protagonismo crescenti delle masse popolari. Sono solo le masse popolari organizzate che possono costruire un modello sociale differente ed è nel loro protagonismo che deve fondarsi qualsiasi proposta di alternativa al procedere della crisi. L’unica alternativa concreta per farla finita con la borghesia e lo stato di cose che essa promuove è la costruzione della rivoluzione socialista, una società delle masse popolari e per le masse popolari, una società realmente partecipativa fondata sulla democrazia proletaria: il socialismo.
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Di seguito l’articolo de Il Manifesto del 24.08.2017
Ditte compiacenti offrono l’intera filiera del servizio in nero
Cemento selvaggio. Il meccanismo collaudato della casa abusiva
Come si costruisce una casa abusiva e poi un’altra e un’altra: è un meccanismo collaudato, che in Italia hanno utilizzato in molti.
Il presidente di Legambiente Campania, Michele Buonomo, spiega le fasi del processo: «Di solito è gente che ha un terreno di proprietà o lo acquista. Poi ci vuole una ditta compiacente che è in grado di offrire l’intera filiera del servizio in nero: materiale, manodopera, mezzi meccanici e trasporto. Di notte si scavano e poi si realizzano le fondamenta. In questa prima fase deve passare inosservato il camion con il materiale e l’escavatore più il gruppo di lavoro. Nessuno deve aver sentito i rumori di notte. Noi diciamo che l’autorizzazione a costruire non te la dà il comune ma il vicino di casa, che vede e sente ma non denuncia. Non si accorgono di nulla neppure i comunali e i vigili. Di solito questi abusi li scopre la capitaneria di porto o la Gdf perché li vede dal mare ma a quel punto c’è già il tetto ed è tardi, perché la copertura blocca un eventuale abbattimento».
In totale ci vogliono circa tre giorni per completare l’opera, dipende da quanto è grande l’abuso: «Il tetto viene sistemato in fretta e spesso è la prima causa di instabilità strutturale. È ancora più grave quando copre una sopraelevazione perché può provocare danni maggiori alla struttura sottostante, magari realizzata con un differente materiale. Come è capitato ad esempio ad Amatrice l’anno scorso, con i tetti di cemento armato crollati sulle case in muratura». Gli abusi possono avvenire anche sul terreno demaniale, come a Paestum: «Negli anni ’70 e ’80 è sorto un intero villaggio. Si comincia con uno del posto che costruisce una baracca, poi la vende a qualcuno che la trasforma in una casa e così via, fino a creare un conglomerato urbano abusivo su terreno demaniale. A Casalnuovo, invece, sono stati realizzati 12 condomini e decine di villette, venduti a ignari acquirenti: avevano fatto il mutuo, erano andati dal notaio e poi hanno perso la casa perché era tutto abusivo, sequestrato dalla magistratura. Immobiliare, banca e notaio erano tutti d’accordo con il clan che gestiva l’affare. Al comune non hanno notato i palazzi che spuntavano, hanno detto, perché gli alberi ostruivano la visuale».
Anche gli allacci sono tutti abusivi: «Si attaccano a utenze compiacenti – conclude Buonomo -, a volte usano identità fasulle. Per le fogne è più complicato: ci possono essere fosse settiche o si allacciano abusivamente ad altri. Molti scaricano nei fiumi senza passare dai collettori che portano ai depuratori oppure direttamente nel terreno. Il risultato è che, in molti casi, il tutto scorre verso il mare inquinando e deturpando le coste. I gestori di servizi come elettricità, acqua o gas possono anche rilevare gli scostamenti sospetti ma, fin quando in qualche modo sono pagati, rispondono che non tocca a loro fare i controlli». I sindaci che combattono il fenomeno, come a Licata, vengono lasciati soli e sfiduciati.