Bisogna costruire laboratori di ricerca e scuole, e perciò il Centro di Formazione del Partito dei CARC ha avviato una campagna per il finanziamento.
La ricerca scientifica e la scuola sono elementi fondamentali della rivoluzione in corso. La ricerca serve perché dobbiamo fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista, cosa che non è mai stata fatta, e quindi dobbiamo studiare e sperimentare. La scuola serve perché le masse popolari a partire dai loro elementi più avanzati, devono imparare, devono imparare la lingua, la storia, l’economia, la politica, la filosofia e tutto quanto serve per avere una visione integrale della società in cui vivono e diventare capaci di trasformarla. Devono, infatti, diventare soggetto attivo e cosciente della storia, fare la loro storia consapevolmente.
PER FINANZIARE LA RICERCA SCIENTIFICA
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La scuola pubblica risponde poco, e sempre meno, a questa esigenza, per due motivi.
Il primo motivo sta nel fatto che è una scuola che propaganda il pensiero delle classi dominanti, la borghesia e il clero. Queste classi non hanno alcun interesse a che le masse popolari si elevino, diventino capaci di pensare in modo tale da imparare a dirigere se stesse e la società. Se lo facessero, non ci sarebbe più bisogno di classi dirigenti, quali la borghesia e il clero sono. Per questo motivo le classi dominanti non solo non si impegnano ad elevare il livello di coscienza della realtà delle masse popolari, ma fanno piuttosto il contrario: insegnano cose false e inutili. Esemplare è la falsificazione della storia dei primi paesi socialisti, presentati come dittature, mentre sono stati esempio di un balzo in avanti delle condizioni materiali e spirituali delle masse popolari mai visto nella storia dell’umanità per la sua misura e per la sua rapidità. Stalin, uno dei sommi dirigenti di questa opera, nelle scuole dello Stato viene presentato come un dittatore pari a Hitler, ad esempio.
Il secondo motivo sta nel fatto che la scuola pubblica, in Italia, è sotto attacco. Le risorse per mantenerla vengono ridotte, mentre si sostengono le scuole private, campo dove la Chiesa di Roma è padrona.
Tre tipi di scuole, quindi, sono in campo. Sono la scuola che il movimento comunista ha iniziato a organizzare, la scuola pubblica, e la scuola privata. Nelle ultime due le concezioni del mondo che vengono insegnate sono quella borghese e quella clericale. Come ho detto sopra, è la scuola privata quella che sta all’attacco, contemporaneamente alla politica aggressiva da parte della Corte Pontificia e del suo capo, Jorge Bergoglio soprattutto nel campo della propaganda.
Come segnala la rivista Left,[1]Bergoglio ai tempi in cui stava in Argentina era in uno staff che non ritenne fosse il caso di opporsi al massacro di trentamila dei suoi connazionali nemmeno con una dichiarazione, ma il suo staff odierno non perde occasione per dire la sua su varie materie che dovrebbero essere di competenza dello Stato italiano, e soprattutto non ammette che lo Stato italiano limiti i suoi privilegi e tra questi, cessi di versare sempre più fondi alle scuole private.
Il sito Infovaticanadice: “la Chiesa italiana ha dichiarato che la recente sentenza della Cassazione, che stabilisce che le scuole paritarie della Chiesa cattolica devono pagare la tassa sui beni immobili, è “una sentenza pericolosa”. Nunzio Galantino, segretario della conferenza Episcopale italiana, ha dichiarato che la decisione della Cassazione, resa nota il 24 luglio, è chiaramente ideologica ed ha chiesto che “chi prende le decisioni lo faccia con meno ideologia”.”[2]
Leggiamodella benedizione di Galantino per Matteo Renzi, nel 2015. Il Manifesto scrive: “Renzi vince in parlamento, ma si ritrova da solo nelle piazze. E nelle sezioni del suo partito. Ieri però ha incassato il favore della Conferenza Episcopale Italiana. Il segretario generale monsignor Nunzio Galantino si è scoperto più renziano dei renziani quando ha detto che la riforma della scuola «è un passo in avanti in un Paese troppo abituato alla stagnazione». Le critiche al governo, e la spaccatura nel Pd, non turbano il monsignore: «Appena si intravede qualcosa di nuovo scatta subito il virus della conflittualità». Segue il sollievo per la bocciatura della presunta norma sul «gender» e l’invito a «investire di più sulla formazione». Probabilmente alludeva alle scuole paritarie cattoliche che hanno ricevuto in regalo dal governo le facilitazioni fiscali contenute nello School Bonus.”[3]
Queste considerazioni riguardano il piano politico e il piano economico. Sono piani considerati “bassi”, perché si tende a collegarli agli interessi immediati e materiali dei membri di una società, e dove comunque constatiamo che anche lo staff di Bergoglio si comporta in modo basso. Piano alto è quello dello “spirito”, dove stanno i santi e gli eroi. Don Lorenzo Milani è presentato come uno di questi. Left interviene anche su di lui, con un articolo di Giuseppe Benedetti intitolato Don Milani falso ribelle che odiava la scuola pubblica.[4]
Don Milani falso ribelle che odiava la scuola pubblica.
Si prepara un evento mediatico assimilabile alle fiction televisive che propinano preti detective e suore psicologhe. Stavolta il soggetto, incredibile a dirsi, è un don Milani misconosciuto, protagonista di un racconto che, fin dalle anticipazioni, promette acrobazie dialettiche e funambolismi narrativi da scuola Holden. Tanto per cominciare, il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli propone che le scuole pubbliche italiane dedichino almeno una giornata al ricordo di don Lorenzo Milani, che come dovrebbe esser noto, si augurava il fallimento della scuola pubblica e la propagazione dell’istruzione privata cattolica. Per dare l’esempio, il ministro si recherà in pellegrinaggio a Barbianail 20 giugno, in occasione dei 50 anni dalla morte dell’autore della famosa Lettera a una professoressa. La storia del don Milani misconosciuto rimbalza sui giornali e ne dà una lettura esemplare lo storico cattolico Alberto Melloni (la Repubblica, 5/6/17), secondo il quale la democrazia e il cattolicesimo si sarebbero accaniti contro il priore di Barbiana, colpevole di aver perseguito strenuamente la realizzazione dell’art. 3 della Costituzione, quello sull’uguaglianza sostanziale tra gli esseri umani. Come narrano i biografi, all’inizio degli anni 50 don Milani cadde in disgrazia presso la gerarchia ecclesiastica toscana, per un conflitto politico interno alla Chiesa. La tensione diventò scontro aperto nel 1965, quando la sua lettera contro alcuni cappellani militari che avevano condannato l’obiezione di coscienza alla guerra fu pubblicata da Rinascita. Dunque, il priore di Barbiana fu isolato e dileggiato, per imperscrutabili e infallibili motivi, dalle alte sfere ecclesiastiche. Che cosa c’entrano la scuola pubblica e la democrazia con questa faida interna alla Chiesa? A meno che non si voglia insinuare che la legge non è uguale per tutti e che hanno sbagliato i giudici che l’hanno applicata in seguito alla denuncia per apologia di reato da parte di alcuni ex combattenti. Eppure si sa che il processo di beatificazione di don Milani è iniziato al di fuori della Chiesa, in quel comunismo italiano che, per motivi imperscrutabili e fallibili, l’ha eletto a eroe popolare che lottava contro il sapere in mano alle élites. La Lettera a una professoressa è stata assunta come il vangelo della pedagogia moderna e futuribile ed è stata usata come una clava per tacitare ogni tentativo di opposizione alle cosiddette riforme che hanno demolito la scuola pubblica e l’università da Luigi Berlinguer ad oggi. Nonostante questi danni, tra i docenti di scuola, isolati e rancorosi come il priore nel Mugello, non sono pochi quelli ammaliati dalla prosa violenta e ultimativa di don Milani, pronti a identificare il bersaglio polemico della Lettera con il collega della classe accanto. Ma in quanti hanno letto davvero quel libro pieno di odio contro la scuola pubblica? Quanti si sono accontentati di qualche citazione sull’uguaglianza e sulla giustizia? Finalmente papa Bergoglio (anche lui a Barbiana il 20 giugno) ha fatto chiarezza, riportando don Milani tra le icone del movimento cattolico. Intervenendo, lo scorso aprile, in collegamento esterno con la Fiera dell’editoria a Milano, in occasione della presentazione dell’opera omnia di don Milani, ha citato alcune sue proposizioni per ricordare che non fu mai un ribelle nei confronti dei dettami della Chiesa, ai quali si piegò sempre, né un comunista mascherato, perché la sua idea di uguaglianza non era per questo mondo.
Benedetti parla di come don Milani è diventato una icona in larga parte della sinistra borghese e di tanti che si sono sentiti e si sentono comunisti, che si sono dichiarati e si dichiarano tali. In realtà don Milani non ha niente a che fare con il movimento comunista, a fronte del quale è un surrogato. La Chiesa lo usò, fingendo di combatterlo, proprio per contrastare il movimento comunista. Non a caso operava in Toscana, uno de luoghi dove la Resistenza nazifascista guidata dal primo PCI ha scritto alcune delle sue pagine più gloriose.Don Milaniall’operaio comunista diceva: “Quando prenderete il potere io sarò sempre dalla parte degli ultimi”[5] con il che spacciava la rivoluzione comunista come una ripetizione della divisione in classi e dichiarava eterna l’esistenza dei poveri. Ai poveri interessa smettere di esserlo, e non che un ricco o un prete stiano dalla sua parte (Don Milani era tutte e due le cose). La rivoluzione comunista implica che non ci saranno più poveri, che non ci saranno più gli ultimi di cui Milani e Bergoglio parlano.
Quanto ai principi fondamentali, Don Milani ha più a che fare con Giovanni Gentile, che fu ministro dell’educazione durante il fascismo.
Gentile fu uno dei principali sostenitori del concetto che “per le masse popolari non serve la filosofia”, e che per loro va bene insegnare la religione, nonostante lui fosse ateo. Un caposaldo della sua filosofia è che l’elevazione dell’individuo poteva darsi solo per autoeducazione. Gentile non credeva possibile trasmettere la scienza tramite l’insegnamento, o almeno che questo non era possibile per la conoscenza più elevata, quella filosofica. La sua posizione era quindi opposta a quella della concezione comunista del mondo, secondo la quale la verità di una teoria è confermata da quanto le masse popolari la comprendono e la fanno propria, secondo la quale quindi la scienza si può insegnare e anzi insegnarla è un suo aspetto costituente
E’ qui che don Milani incontra Giovanni Gentile. Anche don Milani pensava che “con la parola alla gente non gli si fa nulla. Sul piano divino ci vuole la grazia e sul piano umano ci vuole l’esempio.”[6]
La verità si sa per illuminazione, genio o fede, dicono personaggi tra loro molto diversi come il fascista Giovanni Gentile e il prete Lorenzo Milani. La verità invece è nel costruire insieme una nuova società, e nel caso nostro fare dell’Italia un nuovo paese socialista. In questo processo di costruzione la verità elaborata, cioè la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, si può trasmettere, si può insegnare, si può farlo oggi e già abbiamo cominciato a farlo. Lo faremo sempre meglio nei laboratori e nelle scuole che stiamo costruendo, per le quali invitiamo a contribuire tutti quelli che hanno a cuore la causa del comunismo e del progresso dell’umanità.
[1]Left, 8 luglio 2017 – 14 luglio 2017 numero 27.
[2] http://it.infovaticana.com/2015/07/29/la-chiesa-italiana-si-oppone-allo-stato-per-non-pagare-lici/
[3]Il Manifesto, 10 luglio 2015.
[4] https://left.it/2017/06/20/don-milani-un-falso-ribelle-che-odiava-la-scuola-pubblica/
[5]« Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso.” Lettera di don Lorenzo Milani , San Donato 1950, in http://www.barbiana.it/Lettera%20a%20Pipetta.html.
[6]Lorenzo Milani, Esperienze pastorali.