Bergoglio ha molti ammiratori a sinistra, che danno grande peso a quello che dice. Non tengono conto che, al di sotto delle parole, ha una organizzazione che da secoli esercita una influenza pesante nel mondo, e particolarmente su questa penisola e sulle masse popolari che la abitano, e che sono obbligati a mantenerla. È una organizzazione che continua a macchiarsi dei crimini peggiori, uno dei quali è la pedofilia.
In un suo libro uscito ultimamente, dove parla della sua esperienza nei Nuclei Armati Proletari e nelle Brigate Rosse, Pasquale Abatangelo ricorda gli abusi sessuali nei suoi confronti, quando era bambino, nato da profughi italo-greci, da parte del prete di Montedomini, centro di raccolta e contenzione per i giovani e primo ospizio fiorentino per i vecchi senza risorse. Il suo è uno dei casi che vengono alla luce, segno di un male esteso a livello nazionale e internazionale, che tocca i vertici dell’organizzazione, e che in Italia non può essere trattato come un crimine perché la Chiesa non è obbligata a denunciarlo, così come non è obbligata a denunciare alcun crimine commesso dai suoi funzionari.
Questo è un altro risultato del mantenimento nella Costituzione dei Patti Lateranensi firmati nel 1929 tra il governo fascista e il Vaticano, mantenimento che Togliatti ordinò al PCI di approvare, rendendo così il Partito complice di tutto quanto accadde nel corso dei decenni fino a oggi, anche di queste omissioni di denunce che vengono citate oggi. Oggi il gesuita che Bergoglio ha posto ai vertici della Congregazione della Fede dà chiaro esempio di gesuitismo, cioè del tenere nascosta la verità, per non “creare scandalo tra i fedeli” e così consentendo la continuazione del crimine. Fosse un modo di fare efficace, a uno ammalato di tumore basterebbe dichiararlo e dichiararsi sano.
Se Bergoglio con questa politica crede di poter sopravvivere alla rinascita del movimento comunista si sbaglia. Ha poco da scherzare, quando dice che il comunismo non fa altro che proclamare principi che sono quelli che il cristianesimo proclama da sempre. La differenza sta nel fatto che la Chiesa li proclama, ma non li segue, e non attua quello che dice. Il movimento comunista dichiara principi e linee, e li attua. Se sbaglia, lo ammette e riprende il cammino. Condanna ed espelle quelli che stanno tra le sue file e fanno i propri interessi, invece di impegnarsi per l’elevazione e la liberazione delle masse popolari dall’oppressione, inclusa l’oppressione che la Chiesa esercita. Bergoglio consola i poveri e gli afflitti dall’oppressione e dallo sfruttamento, come un cappellano che consola il condannato. Il movimento comunista abolisce lo sfruttamento e l’oppressione. Non è chiara la differenza?
***
Non denunciò il prete pedofilo quell’ombra nel passato del nuovo capo del Sant’Uffizio
Foggia, nel 2012 don Gianni fu cacciato per abusi ma nessuno lo seppe Perché l’arcivescovo Ladaria ordinò il silenzio. E le molestie proseguirono
EMILIANO FITTIPALDI GIULIANO FOSCHINI
ROMA.
Nel marzo del 2012 l’arcivescovo Luis LadariaFerrer, che sabato è stato promosso da Papa Francesco nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha coperto, senza denunciarlo, un prete pedofilo che era stato ridotto allo stato laicale per abusi sessuali. Di più. Ha ordinato, nero su bianco, che la condanna canonica passasse sotto silenzio. Don Gianni Trotta, grazie all’acquiescenza del Vaticano e della curia locale, ha così potuto continuare indisturbato a violentare minorenni: dopo essere stato costretto a lasciare la tonaca è infatti diventato allenatore di una squadra di calcio giovanile, e in due anni ha molestato una decina di bambini vicino a Foggia.
La storia di Trotta è stata raccontata lo scorso febbraio da
Repubblica che oggi, insieme a L’Espresso, è in grado di ricostruire le responsabilità dirette di Ladaria. È lui che il 16 marzo 2016 firma il decreto in latino, nel quale invitava i superiori del pedofilo a stare zitti e muti per non «generare scandalo tra i fedeli». Una nuova spina per Papa Francesco, che — dopo l’incriminazione formale del suo (ormai ex) braccio destro George Pell per presunti abusi su alcuni adolescenti australiani — ha deciso di nominare Ladaria come successore di Gerhard Ludwig Müller, il cardinale tedesco licenziato in tronco anche perché giudicato poco incisivo nella lotta alla pedofilia. Un paradosso.
Andiamo con ordine. Sappiamo che don Trotta viene messo sotto processo in Vaticano nel 2009. Sappiamo anche che della vicenda non trapelò nulla e che Ladaria, segretario della Congregazione dal 2008 fino alla promozione di queste ore, e il suo superiore di allora, il prefetto William Levada, firmarono il decreto che condannò don Trotta alla pena massima, cioè la messa in stato laicale, per abusi sessuali su minori. Il documento venne inviato, presumibilmente, ai superiori dell’orco, che apparteneva alla congregazione della Piccola Opera della divina provvidenza, e risiedeva nel vescovato di Lucera, vicino a Foggia.
Per il Vaticano Trotta è ufficialmente un pedofilo, ma nessuno si prende la briga di denunciarlo alle autorità italiane. Ladaria e Levada scelgono un’altra strada. Nel documento, dopo aver comunicato che «don Gianni Trotta è colpevole di delitti con minori contro il sesto comandamento » e che «il Sommo Pontefice Papa Benedetto XVI ha deciso con suprema e inappellabile sentenza che per il bene della Chiesa sia da irrogare la dimissione dallo stato clericale e dalla Piccola Opera della divina provvidenza», dispongono che «l’ordinario faccia in modo per quanto possa, che la nuova condizione del sacerdote dimesso non dia scandalo ai fedeli». Un invito, in pratica, all’omertà. Vero che nella missiva Ladaria e il suo capo di allora aggiungono che «l’ordinario», ossia coloro che avevano potestà diretta su don Trotta, avrebbe potuto rompere il patto dell’acquiescenza davanti a un nuovo «pericolo di abusi su minori», e che in quel caso si poteva «divulgare la notizia della dimissione, nonché il motivo canonico sotteso». Ma si tratta di una postilla pilatesca: invece di denunciare il pedofilo alla magistratura, il nuovo capo della Congregazione per la Dottrina della Fede spostava infatti ogni responsabilità di vigilanza sull’istituto di appartenenza del maniaco. Un controsenso, visto che il vescovo, il parroco e il superiore dell’Ordine non hanno più alcuna influenza su un sacerdote ormai spretato.
Trotta decide di restare nel paesino, riciclandosi come allenatore di piccoli calciatori. Nessuna delle famiglie sa della sentenza, perché la curia e l’istituto tacciono. Dal 2012 al 2014 oltraggia così (almeno secondo le accuse) una decina di ragazzini, tra pulcini delle giovanili e bimbe perseguitate in chat. Gianni distrugge in pratica la vita di un’intera generazione del borgo. Solo nell’aprile del 2015, grazie alla denuncia dei genitori di un bimbo di prima media che aveva trovato finalmente il coraggio di parlare, l’ex don viene arrestato per ordine di un pm di Bari, Simona Filoni. A luglio del 2016 Trotta è stato condannato in primo grado a otto anni di carcere per la violenza sul dodicenne, e tra qualche giorno inizierà un nuovo processo per gli abusi sugli altri bambini. «Se la Congregazione e la curia locale avessero denunciato alle autorità il sacerdote invece di scegliere la strada del silenzio, i piccoli sarebbero stati salvati dall’orrore: noi l’avremmo fermato», chiosa un investigatore che segue il caso.
Una scelta, quella di Ladaria e Levada, che è discutibile sotto il profilo etico, ma che resta impeccabile sotto il profilo canonico. La decisione inoltre è permessa dalla legge: grazie ai Trattati lateranensi in Italia gli ecclesiastici non hanno l’obbligo di denunciare le condotte dei loro sottoposti, anche se queste hanno rilevanza penale. L’opzione del silenzio, infine, permette oggi il solito scaricabarile. «Io non sapevo nulla di Trotta» ha spiegato il vescovo dell’epoca Domenico Cornacchia. Di certo c’è il dolore dei sopravvissuti, e il fatto che il nuovo prefetto voluto da Francesco forse avrebbe potuto salvare qualche bimbo, se solo avesse anteposto gli interessi dei più deboli a quelli della Chiesa.