Assemblea di Latina del 30 giugno 2017: attuare dal basso le parti progressiste della Costituzione, prendere possesso dei beni comuni, costruire Amministrazioni Locali d’Emergenza, creare le condizioni per costituire il Governo di Blocco Popolare!

Spezzare le catene del pareggio di bilancio e del patto di stabilità!

Superare la paura delle multe e del commissariamento!

Dopo le assemblee del 22 gennaio a Roma, del 18 marzo a Milano e del 14 maggio a Napoli, l’aggregato Attuare la costituzione, un dovere inderogabile (formatosi per il referendum del 4 dicembre 2016 che ha sepolto la riforma Renzi della Costituzione del 1948 e capeggiato da Paolo Maddalena) promuove il 30 giugno l’assemblea di Latina in collaborazione con l’Amministrazione Comunale del sindaco Damiano Coletta. Ad essa hanno già dato la loro adesione e assicurato la loro partecipazione un certo numero di sindaci, amministratori locali e consiglieri del Basso Lazio e di organizzazioni operaie e popolari della zona.

Il P.CARC è tra i promotori dell’assemblea, perché gli obiettivi dell’assemblea sono pienamente conformi alla linea che il P.CARC segue per mobilitare le masse popolari a costituire un loro governo d’emergenza e farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia. All’assemblea di Latina seguiranno assemblee analoghe in altre zone d’Italia. Le elezioni amministrative dell’11 e del 25 giugno hanno confermato l’ostilità e il disprezzo crescenti delle masse popolari di tutto il paese per i vertici della Repubblica Pontificia e i partiti delle Larghe Intese (PD di Renzi, Forza Italia di Berlusconi e partiti e gruppi satelliti e aspiranti a diventarlo) che formano il marcio, arrogante e criminale sistema politico che opprime e devasta il nostro paese agli ordini dell’Unione Europea e della NATO. Ovunque, con l’eccezione di Palermo, è aumentato il numero degli astenuti, è aumentato il numero dei voti del M5S e delle liste in rottura con le Larghe Intese, le Larghe Intese riescono a mantenere in piedi le loro clientele locali solo camuffandosi dietro liste civiche (ma quanto dureranno le illusioni che le hanno alimentate?).

Questo sistema politico svuota e strozza sempre più le Amministrazioni Locali, le priva delle risorse finanziarie necessarie per fornire i servizi sociali conquistati nei decenni successivi alla vittoria della Resistenza e sanciti dalla Costituzione del 1948, le vorrebbe indurre a privatizzare i servizi pubblici e a liquidare il patrimonio demaniale, a lasciare edifici e territorio alle libere scorrerie di banchieri e di speculatori e al degrado e alla devastazione che ne consegue, vorrebbe ridurle al ruolo di esattori per conto dei gruppi imperialisti e ad esecutori delle direttive dell’Unione Europea e della NATO.

Cresce il numero di amministratori e di consiglieri comunali che non vogliono prestarsi a questo ruolo. Essi possono trovare la forza per far fronte al sistema politico dell’UE, della NATO, del Vaticano, delle Organizzazioni Criminali e dei banchieri e speculatori appoggiandosi alle organizzazioni operaie e popolari che sempre più numerose si formano nelle aziende e nei quartieri per far fronte agli effetti della crisi economica, all’inquinamento ambientale, all’abbrutimento culturale e morale e alle altre manifestazioni del catastrofico corso delle cose che la borghesia imperialista impone anche nel nostro paese. A loro volta le amministrazioni locali possono e devono sostenere le attività delle organizzazioni operaie e popolari con il prestigio, le risorse e i mezzi di cui ancora dispongono, devono favorire la crescita del loro numero e del livello delle loro attività.

Anche per le organizzazioni operaie e popolari come per le amministrazioni locali, attuare le parti progressiste della Costituzione dal basso, nella misura in cui sono attuabili a livello locale, è la via per porre fine al catastrofico corso delle cose e guadagnare terreno, forze ed esperienza fino ad essere in grado di costituire il Governo di Blocco Popolare, un governo d’emergenza che attui le parti progressiste della Costituzione a livello dell’intero paese e faccia fronte al sabotaggio e al boicottaggio dei gruppi che queste parti progressiste dal 1948 le hanno accantonate, aggirate e violate perché contrarie ai loro interessi e ai loro privilegi.

Sindaci malcontenti del ruolo che il governo centrale li costringe a svolgere spesso alle nostre indicazioni obiettano:“Il problema di oggi è che se un sindaco fa veramente quello che ha promesso di fare per il bene comune, il governo lo manda via, viene commissariato!”

Ma i fatti raccontano un’altra storia e, soprattutto, possiamo fare andare le cose su una strada del tutto differente.

Il governo centrale minaccia multe e commissariamenti, ma quando le amministrazioni locali fanno una vasta campagna di denunce delle malefatte del governo e degli effetti che ne derivano, il governo fa marcia indietro: i partiti delle Larghe Intese non possono perdere ancora più elettori e non hanno la forza per abolire del tutto le elezioni. Commissariare alcuni comuni il governo lo fa, ma più aumenta il loro numero e più commissariare comporta più guai che vantaggi per il governo. Contro i Commissari, proprio i sindaci e i consiglieri comunali possono mobilitare la popolazione e rendere difficile la vita ai Commissari.

De Magistris, esautorato dal sistema politico centrale, si è messo a fare il “sindaco di strada” e il governo ha fatto marcia indietro. Nel 2012, Roberto Invernizzi, sindaco di Bellusco in Brianza (“comune virtuoso”) è stato multato per aver utilizzato i fondi bloccati per pagare le 70 aziende che hanno lavorato per la pubblica amministrazione (idraulici, falegnami, ditte di manutenzione stradale, ecc.). Per questo il comune è andato a finire nella lista nera del governo. “Non mi pento. Non rispettare il patto ci ha permesso di pagare tutti i fornitori ed è per questo che lo abbiamo fatto”. La maggior parte dei creditori erano aziende locali già messe in ginocchio dalla crisi. “Non volevo contribuire ad aggravare una situazione che diventa ogni giorno più insostenibile per il nostro sistema produttivo. Abbiamo attuato un piano di rientro, ma nessun servizio è stato cancellato”.

Il governo centrale già consente lo sforamento del patto di stabilità dove esso favorisce gli interessi degli speculatori e in pratica già lo ingoia dove non può fare diversamente. Quanti più sono numerosi i comuni che lo sforano, tanto più il governo centrale sarà costretto a ingoiare.

Nel 2015, sono 60 i Comuni “multati” per aver sforato il patto di stabilità interno nel 2014 e il totale delle sanzioni ha sfiorato i 12.6 milioni di euro: tra questi, troviamo Venezia, Potenza e Brindisi e 14 province e città metropolitane (tra queste Milano, con una sanzione di 2,3 milioni e Torino con la sanzione più alta pari a oltre 3,6 milioni di euro, seguite a ruota da Catania per 2 milioni, Bergamo 1,99 milioni e Siracusa oltre 0,95 milioni). Nel 2016, il governo ha annunciato un “colpo di spugna” da circa 1 miliardo sulle sanzioni per la violazione del patto di stabilità del 2015 a carico delle città metropolitane e delle vecchie province, il cui quadro è di grande difficoltà: oltre a prevedere i tagli alle risorse (nel 2016 di circa 1 miliardo), questi enti locali hanno dovuto far fronte ad una pesante riorganizzazione con il passaggio delle funzioni alle Regioni previsto dalla legge Delrio e il trasferimento di circa 20 mila dipendenti ad altre amministrazioni dello Stato. La boccata d’ossigeno di circa 500 milioni punta a sanare le sanzioni comminate a otto città metropolitane su dieci per lo sforamento del patto interno: tra queste, Roma, Milano Torino e Napoli, Genova, Reggio Calabria, Bari e Venezia.

Nel 2014, Ignazio Marino, sindaco di Roma, minacciò di bloccare la macchina amministrativa del Comune di Roma, di interrompere le attività che svolgeva al servizio del Vaticano e della Corte Pontificia e di dimettersi: “A marzo non ci saranno più i soldi per pagare i dipendenti, per il gasolio dei bus, per gli asili nido, per i rifiuti e nemmeno per le santificazioni dei due Papi. Se si dovessero licenziare 4 mila dipendenti, privatizzare trasporti e rifiuti, se ne occuperebbe un commissario liquidatore, non io”. Il governo Renzi ha fatto marcia indietro, promettendogli i soldi che voleva.

Lasciando stare per ora la parabola della giunta Marino (dimissionato, infine, dai vertici della Repubblica Pontificia), questa vicenda indica una via di cui ogni amministrazione comunale può approfittare. I fatti parlano chiaro e oggi illuminano la strada alla cordata di amministrazioni e amministratori che si dichiarano pronti a rompere l’asservimento degli enti locali ai poteri forti, a prendersi i beni comuni e a mettere fondi, mezzi e risorse delle amministrazioni locali al servizio delle comunità locali.

Di anno in anno centinaia di Comuni vengono multati per sforamento del patto di stabilità, ma nessuno di questi è stato commissariato. Questi sono i fatti. Gli enti locali sono al centro del conflitto, in quanto ancora detentori di una quantità di beni-territorio, patrimonio immobiliare e servizi pubblici valutabili per miliardi di euro e per questo entrati nel mirino dei grandi capitali finanziari.

Il commissariamento è un problema più per il governo che per i sindaci: basta guardare i condoni, la riduzione delle sanzioni e gli escamotage che il governo è costretto a trovare per mantenere “stabile” il governo del territorio. Come si potrebbe governare un paese “commissariato” da agenti del fisco?

Che il pareggio di bilancio e il patto di stabilità siano i principali cappi al collo delle amministrazioni locali, oggi è un fatto assodato. Sono infatti due strumenti con cui i governi della Repubblica Pontificia opprimono le masse popolari del paese, prendono per il collo le amministrazioni locali impedendo nei fatti il governo del territorio e riducendo sempre più le funzioni e il ruolo degli amministratori a vessatori ed esattori delle tasse, esecutori (convinti o scontenti) delle decisioni centrali, anche quando sono apertamente antipopopolari e anticostituzionali.

Per quanto i governi borghesi e i mezzi di informazione asserviti tendano a mostrarli come il frutto “inevitabile” della crisi economica del 2008 (e per la sopravvivenza della classe dominante sulla pelle delle masse popolari lo sono), queste misure vessatorie sono in realtà la sintesi di un processo di anni che si riassume nell’attuazione del programma comune della borghesia nel nostro paese portata avanti dai partiti delle Larghe Intese.

Due considerazioni mostrano bene le particolarità della Repubblica Pontificia e del suo regime “anomalo”.

– La violazione aperta della Costituzione del 1948. Che l’introduzione del pareggio di bilancio nel 2012 è uno stravolgimento dell’articolo 81 della Costituzione, è stato anche ufficialmente riconosciuto dalla sentenza 275/2016 della Corte Costituzionale, che ha ritenuto illegittima la legge della Regione Abruzzo in base alla quale questa aveva negato il finanziamento del servizio di trasporto scolastico per studenti disabili, chiarendo che “è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.

– La riduzione crescente della sovranità nazionale pur scritta nella Costituzione, frutto della sottomissione ai vari centri di potere a cui i vertici della Repubblica Pontificia sono legati. Al patto di stabilità (e al connesso pareggio di bilancio) imposto dai gruppi imperialisti europei tramite la UE, si aggiungono i diktat dei gruppi imperialisti USA (basta pensare alle centinaia di basi Nato che a partire dal 1949 gli imperialisti USA hanno sparso da un capo all’altro dell’Italia) e del Vaticano (il più grosso parassita delle risorse economiche dello Stato italiano, che dall’inizio della Repubblica Pontificia ha fatto il bello e cattivo tempo sui piani di urbanizzazione, in base ai Patti Lateranensi fatti da Mussolini e alle successive concessioni fatte con leggi o di soppiatto dalle autorità della Repubblica Pontificia).

Attuare la Costituzione, rompere con leggi, regole e prassi che violano lo spirito e la lettera della Costituzione. Per le amministrazioni locali, pareggio di bilancio e patto di stabilità comportano avere fondi bloccati in cassa e non poterli utilizzare per l’amministrazione del territorio: non poter assumere personale né stabilizzare i precari, ridurre le spese per la manutenzione (stradale, idrica, sicurezza, ecc.), per i servizi e in definitiva spianare la strada alle privatizzazioni. Questa situazione mette tutte le amministrazioni e gli amministratori locali di fronte ad un bivio. Agire nell’interesse di chi? Servire il governo e sottostare alle sue leggi antipopolari o schierarsi dalla parte delle masse popolari?

Oggi cresce il numero delle amministrazioni che si pone questa domanda e che cerca di dare una risposta. Dopo la vittoria schiacciante del referendum del 4 dicembre contro lo smantellamento della Costituzione, si sta allargando e rafforzando una cordata di amministratori non asserviti alle Larghe Intese e disposti a rompere con queste, ad affermare il principio della legittimità su quello della legalità, disposte ad operare in coerenza con i principi costituzionali in particolare per ciò che concerne lavoro, sanità, istruzione, beni e diritti inalienabili.

Da Napoli a Latina, passando per decine e decine di piccoli Comuni, il terreno in cui le masse popolari e le amministrazioni locali possono far valere la forza e la ragione della difesa dei beni comuni e della costruzione di una nuova governabilità che mette al centro gli interessi collettivi e li difende, è l’attuazione delle parti progressiste della Costituzione.

Molti amministratori ad oggi esitano a disobbedire al governo centrale e alle sue leggi, a violare apertamente il patto di stabilità. Superare la paura del commissariamento è forse l’ostacolo più grande per passare “dalle parole ai fatti”. Per le amministrazioni e gli amministratori decisi ad attuare la Costituzione farsi legare le mani dal timore di essere commissariati significa nei fatti restare asserviti al sistema della classe dominante e del governo centrale, quindi mantenere sottomettesse le comunità locali. La vera posta in gioco è proprio questa.

Le organizzazioni operaie e popolari possono spingere sindaci e amministratori locali a superare questa linea di demarcazione. Lo faranno se sindaci e amministratori locali appoggeranno a loro volta le organizzazioni operaie e popolari. Oserebbe un governo della Repubblica Pontificia nominare tanti podestà quanti ne nominava il governo fascista? Sopporterebbero le masse popolari italiane i nuovi podestà tanto a lungo quanto hanno sopportato i vecchi prima che la vittoria della Resistenza li spazzasse via?

Questa è la posta di iniziative come quella del prossimo venerdì 30 giugno a Latina. Il P.CARC fa appello a sindaci e amministratori locali e a tutti gli elementi avanzati delle masse popolari perché moltiplichino le iniziative come quella di Latina, fa appello a quelli delle province di Frosinone, di Latina e di Roma perché diano la loro adesione all’iniziativa inviando una mail a attuarecostituzione@gmail.com (con nome e cognome, organizzazione di riferimento e recapito telefonico) e intervengano all’assemblea che si terrà dalle ore 15 alle ore 21 presso l’Aula Magna del Liceo Scientifico G.B. Grassi – Via Sant’Agostino, 8, Latina.

Uniti vinceremo!

Non sono i vertici della Repubblica Pontificia che sono forti, sono le masse popolari che devono ancora dispiegare la loro forza!

Il Partito dei CARC mette a disposizione la sua esperienza di lotta e di resistenza ed è pronto ad accogliere nelle sue file tutti quelli che vogliono imparare a battersi per costituire un governo di emergenza popolare!

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