[Italia] L’Espresso e il dizionario della Sinistra da non prendere alla lettera

Il 13 giugno su l’Espresso, a firma di Wlodek Goldkorn, è comparso un articolo dal titolo “Il dizionario della sinistra, per ritrovare l’identità perduta”. Nel pezzo si cerca di ricostruire quelli che sono i “valori” della sinistra, persi, da rinnovare, rinnovati, rinnovabili o da recuperare. Il tentativo di ricostruire un sistema di valori non è un’operazione facile ma soprattutto non è un’operazione perseguibile se la si lascia all’iniziativa di singoli individui e “intellettuali” lasciati a ragionare nel cosmo delle loro idee.

 

L’esordio di questo articolo non è dei più felici:

«D’accordo, il sol dell’avvenire non riscalda più gli animi; la falce e il martello sono strumenti obsoleti nell’epoca delle stampanti in 3D, se non per i bricoleur o i nostalgici; e il rosso è un colore che appare e scompare a seconda dei gusti delle maison della moda e non il segno di riconoscimento di classe. Anche le icone (di maschi barbuti e baffuti) mancano, nonostante viviamo in un’epoca pregna di immagini. E ancora: qualcuno se la ricorda la discussione lanciata da questo settimanale in cui Bettino Craxi contrapponeva l’anarchico ed eclettico Proudhon al sistematico e scientifico Marx? Oggi, farebbe sorridere per il suo melanconico anacronismo. E allora, il destino inevitabile, ineluttabile, fatale della sinistra è non avere né idee, né identità e impugnare per vessillo una bandiera che cambia forma e colore a seconda del vento che soffia? Non necessariamente. Quanto segue è un alfabeto, un po’ ambizioso e molto temerario, per una sinistra che dovrebbe far fronte a Berlusconi e Grillo, ma anche ad alcune sfide del mondo globalizzato in crisi. O se vogliamo: una sinistra che pensa di vincere perché è convinta di essere soggetto della storia».

 

Quanto si legge in queste prime parole è esattamente ciò che possiamo definire disfattismo. Quando si dice che il sol dell’avvenire non riscalda più gli animi, si parte dalla concezione che il comunismo e la rivoluzione socialista siano delle idee. Questo è elemento errato perché non tiene contro del fatto che il comunismo non è un ideale, un’utopia o un progetto formulato da qualcuno, il comunismo è innanzitutto un moto oggettivo verso cui si muove l’umanità. La lotta tra le classi e l’avanzamento verso il comunismo sono processi che fanno parte del percorso inevitabile della storia dell’umanità, di questi la rivoluzione socialista e il comunismo sono il salto qualitativo, il momento di maturità, lo scatto soggettivo.

Protagoniste di questo percorso sono necessariamente le masse popolari, sono loro a fare la rivoluzione socialista, rivoluzione di cui gli intellettuali della borghesia, di destra o di sinistra, hanno paura, per cui partecipano a un sistema (il regime di controrivoluzione preventiva) fatto di diversione, intossicazione e di promozione di idee sbagliate, disfattiste e attendiste. Questo primo passaggio dell’articolo de l’Espresso ne è un esempio. L’articolo, dopo questa premessa, si compone di una mappa interattiva fatta di lettere dell’alfabeto cliccabili, a ognuna delle quali vengono associate delle “parole d’ordine” della sinistra. Ne analizzeremo solamente alcune.

 

Buonista

Nell’articolo a questa voce si scrive: «parola da rivendicare. La sinistra porta nel suo bagaglio culturale la convinzione che l’essere umano è buono, generoso, capace di empatia, bisognoso di solidarietà. L’opposto del buonismo è cattivismo: lasciamolo ai razzisti e xenofobi (vedi alla voce), ossia a coloro che trasformano il rancore in un progetto (meta) politico, da far paura». L’aspetto positivo di questa affermazione è il contrasto all’idea tipica della classe dominante che l’uomo è insitamente malvagio. L’aspetto negativo è il finire a dividere il mondo in buoni e cattivi, elemento tipico della concezione clericale del mondo. La distinzione fondamentale è la distinzione di classe. Non esistono i buoni o i cattivi, esistono le classi sociali, la borghesia e il proletariato e da lì non si può prescindere. L’operaio non è uguale al padrone, l’operaio lotta, consapevolmente o meno, contro il padrone ed è l’unica classe, quella operaia, che può scalzare la classe dominante per costruire un mondo più giusto ed equo. In questo senso, una parola che manca all’elenco fatto da l’Espresso è la parola Classe Operaia.

 

Autonomia della Politica

A questo termine viene associata questa definizione: «la nostra vita collettiva è il risultato di una serie di processi, scontri, mediazioni che comportano categorie come rapporti di forza, rappresentazione, interessi di parte, di classe. Quei processi sono mediati e gestiti da un ceto politico: capace di legiferare, decidere, pensare il futuro, senza delegare ai magistrati, manager, tecnici. Diceva Pietro Nenni: Politique d’abord!. Citava Charles Maurras che di sinistra non era, ma la frase è valida lo stesso». Questo passaggio si lega a una concezione tipica della politica borghese e in particolare a una delle due tare principali cha hanno impedito al movimento comunista, nel secolo scorso, di fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista: il riformismo economicista (promuovere lotte sociali senza lotta per il potere) e il riformismo elettoralista (promozione della delega al “ceto politico”).

Concepire la politica come “rappresentanza” di interessi, seppure di classe, significa alimentare la tendenza alla delega da parte delle masse popolari. Parlare di rappresentanza e delega in un sistema come quello messo in piedi dalla borghesia imperialista vuol dire non promuovere il protagonismo delle masse popolari o cercare di spingere alla partecipazione in senso borghese, facendo lotte rivendicative che non puntino al potere o votando propri rappresentanti “intelligenti” nelle istituzioni della borghesia (imbroglio oramai scoperto dalle masse popolari che disertano sempre più momenti come quelli elettivi, mentre sempre più aumenta la tendenza a costruire comitati, reti e associazioni in cui auto organizzarsi).

Il processo che oggi vive nella società e che va sempre più alimentato è l’opposto di queste due tare, è il protagonismo delle masse popolari perché imparino a gestire da sé parti crescenti della società. I tanti comitati, associazioni e reti che si muovono nel nostro paese sempre più mostrano sfiducia nelle autorità della borghesia e lanciano segnali di costituzione di Nuove Autorità Pubbliche, cominciando a gestire pezzi di governabilità dal basso dei territori. Questa è la riscossa popolare in corso, la via rivoluzionaria che si contrappone a quella reazionaria di Renzi, Salvini o Casapound. In questo senso la campagna per l’Attuazione delle parti progressiste della Costituzione è ambito in cui si sviluppa questo processo e per la quale le masse popolari possono e devono servirsi di tutti: magistrati, tecnici, sindacalisti, amministratori e tutti quanto mettano a disposizione se stessi, la propria cerchia e i propri mezzi per sostenere le masse popolari e la lotta che conducono contro gli effetti più gravi della crisi.

La seconda parola che manca all’alfabeto è quindi: Protagonismo delle masse popolari.

 

Il Fattore C

Alla lettera C troviamo due parole molto importanti: Crisi e Comunismo. A un occhio immediato senza paura di sbagliare potremmo dire: il problema e la soluzione, la malattia e la cura. Nel testo invece si leggono le seguenti definizioni.

«Crisi: Parola da usare con parsimonia. E sempre accompagnata con un’idea concreta di come uscirne. Senza dar colpa all’Europa, a Berlusconi, al destino avverso e via elencando». Non si capisce perché debba essere usata con parsimonia, è molto condivisibile, invece, il fatto che si dice che debba essere sempre accompagnata da un’idea concreta di come uscirne che non sia l’indicare Berlusconi, l’Europa, il destino infame eccetera. Proviamoci allora.

Innanzitutto che crisi è questa? Su l’Espresso non c’è scritto. Ci troviamo in una crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Sovrapproduzione assoluta di capitale vuol dire che il capitale in giro è talmente tanto che se i capitalisti investissero tutto il proprio capitale ci ricaverebbero molto meno rispetto a se stessero fermi, al contempo essendo capitalisti non possono non investire per cui o distruggono fisicamente quanto più capitale possibile per creare spazi (guerre, licenziamenti, chiusura fabbriche, omicidi, suicidi, guerra tra poveri ecc.), o aprono nuovi spazi per investire (guerre imperialiste contro paesi oppressi, privatizzazione dei servizi pubblici e dei beni comuni ecc.). Crisi generale vuol dire che a partire dalla crisi reale e finanziaria con l’ingresso della crisi nella sua fase acuta e terminale (nel 2008), anche gli aspetti più sovrastrutturali della società sono entrati in crisi, oggi abbiamo varie declinazione della crisi connesse e generate da quella economica: crisi politica, crisi ambientale, crisi culturale ecc.

L’idea concreta che chiede l’autore, senza proporla, più che un’idea deve essere un’alternativa concreta di sistema. L’unico modo di produzione alternativo al capitalismo, il suo superamento, è il comunismo. Il comunismo è la società senza classi, senza l’oppressione dello Stato e senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo. L’unico modo per arrivare al comunismo è fare la rivoluzione socialista, essa è un processo che si fonda sull’azione della classe operaia e dei comunisti organizzati nel Partito che ne sono avanguardia, alla guida del resto delle masse popolari, nel rimuovere le classi che ostacolano il libero sviluppo delle classi oppresse che troverà gambe, invece, nel Socialismo, sistema fondato su: Dittatura del Proletariato, gestione pubblica della produzione di beni e servizi e Democrazia Proletaria.

Qui arriviamo alla seconda parola della lettera: Comunismo. Secondo l’autore il comunismo: «ha fatto parte nel bene e nel male della storia della sinistra. Comunista era Stalin, ma lo erano anche Antonio Gramsci e Umberto Terracini (presidente dell’Assemblea Costituente, per chi non ne niente). Tentare di rimuoverne la memoria è segno di scarsa maturità». Una definizione di comunismo quanto meno misera e denigratoria. Stalin sembra quasi essere visto come parte del “male”, Gramsci e Terracini come il bene. Fa specie pensare che come sempre la borghesia, in particolare quella di sinistra, si prodighi a esaltare tutti i comunisti che non ce l’hanno fatta (vedi Guevara, Allende, Gramsci, Luxemburg ecc.), mentre si vede bene dall’elogiare chi invece la rivoluzione socialista l’ha fatta per davvero (Lenin, Stalin, Fidel Castro ecc.) definendo questi grandi personaggi, nel migliore dei casi, come dittatori sanguinari e nemici della democrazia. Le parole che mancano qui sono Crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale e Bilancio del movimento comunista

 

Francesco (papa), paladino dei lavoratori

Alla definizione “Francesco”, si legge: «Pontefice. Capo dello Stato del Vaticano. Uomo capace di critiche pregnanti della globalizzazione e alleato nella battaglia per la giusti». Questa del papa di sinistra è una suggestione che negli ambienti della sinistra borghese è tanto dura a morire. La diffusione di idee rispetto alla dottrina sociale della Chiesa e del principio dell’interclassismo sono elementi che rafforzano le classi dominanti e la diffusione del senso di arrendevolezza nelle masse popolari. Il papa parla sempre alla presenza di operai, sindacalisti e imprenditori, come se avessero lo stesso ruolo e gli stessi interessi nella società, come se Marx avesse scritto invano che la società è divisa in classi, che queste classi sono in lotta tra loro e che questa lotta è il motore dello sviluppo dell’umanità tutta. L’operaio e l’imprenditore sulla stessa barca e il mondo diviso in buoni o cattivi, questo quello che la borghesia per mezzo delle parole del papa afferma ogni giorno, quotidianamente da centinaia di anni.

Il problema non è la bontà o la cattiveria dei capitalisti, né giudicare in astratto le concezioni arretrate che diffondono tra le masse popolari. Chi la pone su questo piano, cosa in cui Bergoglio è un maestro, non fa altro che dire alle masse popolari e alla classe operaia di stare buone e a cuccia che tanto il potere non lo potranno avere mai. Si rassegnino ad essere sfruttati o al massimo lottino per ottenere migliori condizioni di sfruttamento! Il problema invece è il potere: o quello della borghesia o quello del proletariato. La collocazione del Vaticano nella lotta di classe, a questo punto, è abbastanza chiara in questo senso (e in Italia ha un ruolo ancora più particolare e definito per le particolari condizioni del nostro paese, dove il Vaticano assume il ruolo di potere occulto e irresponsabile), come anche l’unica soluzione possibile contro il sistema capitalista e la sua crisi: la rivoluzione socialista e il comunismo. La parola che manca qui è Repubblica Pontificia

 

Tra Finanza e Social Democrazia

Un’altra affermazione interessante è quella contenuta nella definizione di “Finanza”: «Non è il diavolo, né vampiro e tantomeno un mostro creato da “certe lobbies” (immaginario complottista e antisemita). È invece un fenomeno da affrontare con coraggio e cui imporre regole severe. Compito impossibile senza Europa e senza una dimensione cosmopolita della politica». È interessante questa definizione se la associamo a un’altra definizione, quella che si legge a una parola ad essa connessa: «Mercato: come per la finanza (vedi alla voce), da gestire e riformare. Come faceva la buona vecchia socialdemocrazia».

Piace a tanti pensare al ritorno al “vecchio capitalismo” perché questo “nuovo capitalismo” non piace, è troppo cruente e aggressivo. In tanti vorrebbero tornare ai tempi in cui le lotte operaie ottenevano conquiste, a quando i diritti erano terreno di conquista e di battaglia politica. Quel tempo, che non è poi così lontano, non chiamiamolo “vecchio capitalismo” il suo nome è “capitalismo dal volto umano” e si è sviluppato dal secondo dopo guerra fino a metà degli anni settanta.

Esso dipendeva dalla forza del movimento comunista internazionale, dal fatto che il capitalismo usciva da due guerre mondiali e da interi paesi da ricostruire, l’economia tirava. Da un lato i campi di investimento erano praterie, dall’altro gli operai e le masse popolari erano forti di una base rossa mondiale che intimoriva i capitalisti. Questi due fattori, su tutti, consentivano di ottenere vittorie e conquistare pezzi di civiltà.

Con la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale e l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria in tutto il mondo, tutto ciò non è più possibile. Anzi i capitalisti non solo non possono concedere ma ritirano tutto quanto hanno concesso in passato. Coltivare l’idea di un capitalismo buono, scambiarlo magari per il Socialismo o per il percorso pacifico con cui raggiungerlo, è arte in cui la i revisionisti moderni prima, la sinistra borghese poi e il Vaticano sempre, hanno diffuso tra le masse popolari!

Questo faceva la buona vecchia Socialdemocrazia. Il capitalismo non si riforma, il capitalismo si abbatte. È giusto che bisogna costruire una società in cui sia la politica a dirigere l’economia e non viceversa, ma quella non può esistere nel capitalismo perché questo si fonda sulla dialettica opposta. L’unica soluzione, è quindi la rivoluzione socialista e il comunismo. Rivoluzione Socialista è la parola mancante.

 

R come?

Le ultime due parole che prendiamo in analisi sono quelle che si leggono alla lettera R: rivoluzione e rivolta. La Rivoluzione viene sintetizzata nella parola Rivolta, la Ribellione nella parola Riformismo. Queste due stringate definizioni vengono accompagnate da queste parole: «non accettare lo stato delle cose esistente. Da sempre un’istanza di sinistra, declinata in vari modi, a seconda, appunto dello stato delle cose e dei rapporti di forza». L’aspetto fondamentale viene riconosciuto nel rifiuto di qualcosa ma senza che questo qualcosa abbia un nome e senza che l’alternativa trova spazio nel marasma di concezioni, idee e parole roboanti che vengono prodotte.

Rivolta e Rivoluzione sono due parole estremamente diverse. La rivolta è un momento, un aspetto della rivoluzione, non è rivoluzione. La Rivoluzione se non è socialista è una parola vuota e strumentalizzabile. La Rivoluzione non è mera distruzione o peggio, un po’ di casino da fare in piazza. La Rivoluzione è la costruzione di un nuovo ordinamento sociale, la rivoluzione si fa con la Concezione Comunista del Mondo, assimilando il Materialismo Dialettico e munendosi di analisi della situazione, strategia e tattiche adeguate. Chi associa la Rivoluzione alla rivolta, o è un attendista o un parolaio. La Rivoluzione è qui ed ora e le masse popolari, a diversi livelli di coscienza, la stanno costruendo.

L’associazione tra Ribellione e Riformismo è più interessante se la inseriamo nell’ambito di quanto detto in precedenza rispetto alle due tare del movimento comunista. In definitiva è vero, la Ribellione se non diventa lotta per il potere, è riformismo. Al contempo il messaggio non può diventare: “non vi ribellate sennò siete riformisti”. La ribellione diventa scuola di comunismo se incanalata nel processo pratico di insubordinazione al potere costituito e sperimentazione pratica di nuova governabilità, autorganizzazione e protagonismo della masse popolari.

Quanto scritto ci porta a chiudere, però, con l’individuazione dell’ultima parola che manca, che è però determinante per la rivoluzione socialista. La parola è Partito Comunista. Senza questo non c’è strategia, analisi della situazione, tattica ed elaborazione della fase che tenga. Per approfondire questo aspetto, che merita spazi più ampi rimandiamo all’articolo comparso su La Voce 55 dal titolo Cinque punti sulla natura del Partito Comunista, che invitiamo a leggere al seguente link: http://www.nuovopci.it/voce/voce55/cinquep.html.

 

Qui, invece, il link dell’articolo de l’Espresso che abbiamo commentato:

http://espresso.repubblica.it/palazzo/2017/06/08/news/il-dizionario-della-sinistra-1.303666

 

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