Il Partito dei CARC saluta e augura buon lavoro ai 515 delegati al II Congresso Nazionale dell’USB che si apre oggi a Tivoli (Roma)
La situazione in cui si svolge il vostro II Congresso è grave, nel nostro paese come nel resto del mondo (il capitalismo è in crisi ovunque): smantellamento un pezzo dopo l’altro dell’apparato produttivo, crescita della disoccupazione e della precarietà, crescente limitazione della sovranità nazionale a beneficio della NATO, della Troika e delle altre istituzioni del sistema imperialista mondiale, sfascio dei servizi pubblici, eliminazione di quanto resta dei diritti dei lavoratori e delle libertà democratiche conquistati con la vittoria della Resistenza e le lotte degli anni successivi, persecuzione degli immigrati, disgregazione sociale, devastazione e inquinamento del territorio, corsa alla guerra.
Questo è il corso delle cose in cui siamo immersi e che i vostri documenti congressuali illustrano in dettaglio. Questa è la situazione a cui anche l’USB è chiamata a fare fronte con adeguate e coraggiose decisioni congressuali, perché è un momento in cui sono necessari e possibili grandi e decisivi cambiamenti in campo sociale, politico ed economico.
La situazione è drammatica, ma nello stesso tempo è dinamica: tra le masse popolari crescono l’opposizione e la mobilitazione contro il governo Gentiloni-Renzi e l’arroganza padronale, aumentano il distacco e il disprezzo nei confronti della classe dominante e delle sue istituzioni, le stesse classi dominanti per mantenere il loro potere devono escogitare forme e procedure che sono sempre più autoritarie e nello stesso tempo precarie e la crisi del sistema politico del nostro paese si intreccia con la crisi del sistema di relazioni internazionali dominato dalla Comunità internazionale degli imperialisti europei, americani e sionisti e con quella dell’Unione Europea.
È vero che una parte dei lavoratori anche se malcontenta subisce passivamente ed è vero anche che non ci sono scioperi che bloccano il paese, manifestazioni oceaniche, occupazioni generalizzate delle aziende. Ma quello da cui bisogna partire è che la mobilitazione e l’organizzazione degli operai e degli altri lavoratori in autonomia dai sindacati di regime e dai partiti borghesi, sia pure lentamente, stanno avanzando, spinte anche dalla complicità sempre più aperta dei sindacati di regime con governo e padronato e dall’ulteriore allineamento della FIOM ai sindacati collaborazionisti. Le manifestazioni più evidenti sono la lotta dei lavoratori di Alitalia, dell’Ilva e della ex Lucchini per la nazionalizzazione, le iniziative contro il sistema Marchionne negli stabilimenti FCA, le mobilitazioni contro l’applicazione dell’infame CCNL dei metalmeccanici e i peggioramenti che comporta e contro il Testo Unico sulla Rappresentanza (TUR) sindacale del 10 gennaio 2014, le lotte coraggiose degli operai della logistica. A queste si aggiungono una miriade di lotte sparse, anche molto piccole.
Da qui bisogna partire e condurre ogni battaglia come parte di una guerra.
- Portare su scala via via più ampia l’esempio e gli insegnamenti delle iniziative d’avanguardia e usarli per “far montare la maionese” dell’organizzazione e della mobilitazione e della lotta. Ognuna delle iniziative d’avanguardia (dall’Alitalia alla FCA, dall’Ilva alla logistica fino alla Rational di Massa), indica che:
– ovunque qualcuno è deciso a promuoverla, si organizza per farlo con una linea giusta (o almeno correggendo via via gli errori senza scoraggiarsi) e lo fa, la resistenza si sviluppa,
– anche un solo operaio determinato e ben orientato può mettere in moto il gruppo di operai,
– quando gli operai e gli altri lavoratori (anche un piccolo gruppo) scendono in lotta, trascinano anche il resto delle masse popolari e costringono gli esponenti dei sindacati di regime, delle istituzioni e dei partiti borghesi a rincorrerli e a mobilitarsi in loro sostegno: chi per non perdere o per cercare di guadagnare seguito e voti tra le masse, chi per timore che “l’incendio si propaghi”, chi per regolare i conti o fare le scarpe ai concorrenti, chi perché è sinceramente preoccupato e indignato di come vanno le cose e aspira a che vadano meglio.
Agli insegnamenti diretti e immediati delle iniziative d’avanguardia, noi comunisti dobbiamo aggiungere che
– chiusure e delocalizzazioni, precarietà, dissesto ambientale, eliminazione dei diritti, ecc. sono tutti effetti (diretti o indiretti) della crisi del capitalismo, che non casca dal cielo ma nasce proprio da attività che per i padroni, per i loro governi e per le loro autorità sono normali, naturali e doverose: usare i soldi per fare altri soldi, usare le aziende per arricchirsi, fare un’attività solo se rende, chiudere le aziende che non danno profitti, trasferire le aziende dove possono saccheggiare di più l’ambiente e sfruttare di più i lavoratori. Questa crisi non ha vie d’uscita restando nell’ambito di relazioni capitaliste: né “tenendo testa alla competizione globale”, né “facendo come la Germania” o “liberandoci dall’oppressione della Germania”;
– per porre rimedio da subito almeno agli effetti peggiori della crisi attuale ci vuole un governo animato dalla volontà di finalizzare tutta la vita del paese a questo obiettivo e deciso per realizzarlo a passare sopra sistematicamente anche agli interessi dei ricchi e del clero, alle loro abitudini, a relazioni che per loro sono naturali. Quindi un governo instaurato per iniziativa delle organizzazioni operaie e popolari esistenti e formato dai loro dirigenti ed esponenti. Perché solo un governo così può fare, tutte insieme e ben combinate tra loro, cose che i padroni e i loro governi al massimo fanno una a una e solo con difficoltà, solo saltuariamente, quando sono tirati per i capelli, quando non ne possono fare a meno, che fanno il meno possibile e che smettono di fare appena possibile.
- Far diventare ogni singola lotta un’iniziativa che apre la strada ad altri e allarga il fronte. Le lotte contro lo smantellamento dell’Alitalia, dell’Ilva e della ex Lucchini, contro l’infame CCNL dei metalmeccanici e contro il sistema Marchionne possono diventare delle campagne nazionali che rafforzano la resistenza generale, la generalizzano ed estendono.
– Campagna per la nazionalizzazione delle aziende strategiche: dall’Alitalia all’Ilva e alla ex Lucchini di Piombino costringere il governo a nazionalizzare facendone un problema di ordine pubblico! L’Alitalia di oggi è il risultato dell’opera criminale, inaugurata da Prodi, il distruttore dell’IRI, e attuata dai governi di centro sinistra e centro-destra che, in combutta tra loro e in un’orgia di favoritismi, speculazioni, tangenti e corruzione, da trent’anni a questa parte hanno svenduto il patrimonio pubblico ai maggiori capitalisti e finanzieri italiani ed esteri e alle organizzazioni criminali perché lo usassero come strumento per arricchirsi, spennando la popolazione e sfruttando all’osso i lavoratori. I conti sono il rosso? Le autorità hanno fatto figurare in rosso l’Alitalia per privatizzarla, tanto vero che gli amministratori delegati hanno continuato a prendere buone uscite milionarie e papi, ministri e i loro portaborse hanno continuato a viaggiare gratis.
Il governo sta cedendo l’ILVA a una cordata il cui capo è MITTAL, grande gruppo indiano dell’acciaio di livello mondiale che sta rilevando acciaierie “dappertutto” per chiuderle a vantaggio di grandi impianti in India dove sfrutta e inquina liberamente. È esemplare quello che MITTAL ha fatto con le acciaierie di Florange e Gandrange in Francia: nel 1999 ha avuto in cessione, al prezzo simbolico di 1 franco, due grandi acciaierie che i proprietari (la famiglia franco-tedesca De Wendel, nazisti e collaborazionisti) volevano chiudere; quella di Gandrange l’ha già chiusa, quella di Florange l’ha chiusa per due terzi (dei 630 lavoratori che nel 2012 erano ancora direttamente occupati nella produzione di acciaio, oggi ne restano circa 150, gli altiforni sono tutti chiusi e la produzione è ridotta a poca cosa). Non facciamoci ingannare dal fatto che oggi al gruppo acquirente dell’Ilva partecipano anche Marcegaglia e Banca Intesa: è fumo negli occhi per nascondere la linea MITTAL.
Non è vero che “non ci sono le condizioni” per nazionalizzare l’Alitalia e l’Ilva, l’ex Lucchini e le altre aziende siderurgiche. Mancano i soldi? Basta prenderli dove ci sono, come hanno fatto con il Monte dei Paschi di Siena. L’UE non ce lo permette? Ma il governo è della UE o del popolo italiano? Se il governo Gentiloni-Renzi obbedisce all’UE, allora faremo un governo che sia del popolo italiano. E se il governo Gentiloni-Renzi non nazionalizza? Vuol dire che faremo un altro governo unendoci a tutti quelli (e sono tanti!) che hanno dei buoni motivi per combattere il governo Gentiloni-Renzi.
– Campagna contro il sistema Marchionne negli stabilimenti FCA. A partire dal 2015 un gruppo relativamente piccolo di operai avanzati e di delegati combattivi delle fabbriche FCA del centro-sud (SEVEL della Val di Sangro, Termoli, Cassino, Melfi) ha via via preso direttamente nelle proprie mani la lotta contro il sistema Marchionne. Con la lotta contro i sabati comandati, la costituzione del Coordinamento dei lavoratori FCA del Centro-sud (a cui partecipano attivisti di vari sindacati: FIOM, USB, FLMU-CUB, SLAI Cobas) e recentemente con la mobilitazione contro le deportazioni da Pomigliano a Cassino hanno mostrato che non è vero che alla FCA e in tutte le altre aziende non c’è niente da fare. Ovunque qualcuno, anche un piccolo gruppo, vuole promuovere la resistenza e si organizza per farlo, la resistenza dei lavoratori si sviluppa.
– Campagna contro l’applicazione dell’infame CCNL dei metalmeccanici e i peggioramenti che esso comporta.
A dicembre 2016 la direzione della FIOM è riuscita a far passare l’infame CCNL tra i metalmeccanici ricorrendo a un referendum truffa (e che sia una truffa è testimoniato anche dal fatto che, salvo casi sporadici, non ha reso pubblici i risultati azienda per azienda delle votazioni), facendo leva sul fatto che “per la FIOM era decisivo tornare a firmare un contratto unitario” e promettendo che gli accordi aziendali sarebbero andati oltre il CCNL, cosa quest’ultima che si è subito rimangiata e che comunque valeva solo nelle grandi aziende e dove i lavoratori sono già organizzati.
Ma la mobilitazione è continuata in ordine sparso e con modalità diverse da fabbrica a fabbrica: in alcuni casi per impedire singoli peggioramenti, in altri contro l’applicazione in toto del CCNL. A inizio maggio gli operai della GKN di Campi Bisenzio (FI) hanno lanciato apertamente la lotta contro l’applicazione dell’infame CCNL e i peggioramenti che esso comporta. Si tratta di rilanciare la loro iniziativa su grande scala, per organizzare gli operai che hanno votato NO e anche quelli che hanno votato SÌ a malincuore (e hanno già sperimentato sulla loro pelle i peggioramenti che l’infame CCNL comporta) e continuare la lotta con tutti quelli che vogliono mettere fine al catastrofico corso delle cose.
L’USB è uno dei centri nazionali che già godono di seguito, prestigio e influenza tra le masse popolari. Quindi è già oggi nella posizione per fare delle lotte contro lo smantellamento dell’Alitalia, dell’Ilva e della ex Lucchini, contro l’infame CCNL dei metalmeccanici e contro il sistema Marchionne delle campagne nazionali. Non solo riguardano direttamente una parte dei suoi iscritti, ma sono anche parte integrante del movimento per attuare la Costituzione che si è sviluppato dopo la vittoria del referendum del 4 dicembre scorso contro la rottamazione tentata da Renzi &C. e del movimento per liberare il nostro paese dalle catene dell’euro, della UE e della NATO, movimenti a cui l’USB partecipa.
Fare la sinistra dei sindacati di regime o porsi come sindacato di classe, con un “piano di guerra” contro i padroni e le loro autorità e che funziona da scuola di organizzazione, di solidarietà, coscienza e lotta di classe: sono due concezioni e due linee opposte dei sindacati e due visioni opposte del futuro che ci sta davanti.
Se i sindacati alternativi e di base vogliono essere un’istituzione del regime, anche se “di sinistra”, si riducono ad andare dietro ai sindacati di regime che vanno a destra (come mostra bene la vicenda del TUR).
I invece i sindacati alternativi e di base se si basano sulla mobilitazione degli operai costringono i sindacalisti di regime a rincorrerli e di fatto, come risultato complementare, svuotano i sindacati di regime (i padroni in definitiva devono trattare con chi ha il riconoscimento degli operai). È il contrario della linea sindacale predicata e praticata da Camusso e Landini che per stare nelle fabbriche bisogna adattarsi alle regole che i padroni impongono.
Non sono i padroni e i loro governi a essere forti, sono i lavoratori che devono far valere la loro forza! I padroni non hanno una soluzione accettabile da proporre ai lavoratori e al resto delle masse popolari. Stante la crisi generale del capitalismo, per stare a galla devono distruggere anche quel poco di benessere che i lavoratori hanno strappato ed eliminare i diritti che i lavoratori hanno fatto diventare reali, pratici e non solo belle parole scritte nella Costituzione, aggravare la persecuzione degli immigrati, devastare l’ambiente e trascinarsi verso la guerra.
Gli operai e gli altri lavoratori invece una soluzione alla crisi positiva per tutte le masse popolari ce l’hanno. Hanno una “politica economica” per rimediare fin da subito agli effetti più gravi della crisi e rimettere in moto l’attività produttiva: tenere aperte le aziende, aprirne di nuove per fare il lavoro necessario a salvaguardare il paese dal disastro ambientale e a soddisfare i bisogni della popolazione, riavviare l’intera vita sociale, stabilire rapporti di collaborazione con altri paesi (tipo quelli già in vigore tra Cuba e Venezuela e altri paesi) sulla base di quanto ogni paese può produrre e dare. Hanno bisogno di costruire un loro governo d’emergenza per attuarla, deciso a fare tutto quello che occorre per attuarla.
“Organizzati si può”, come titola il documento congressuale dell’USB Lavoro privato. Organizzati possiamo non “riprenderci tutto”, perché non è vero che avevamo tutto, ma “prenderci tutto”: iniziamo con un governo d’emergenza che rimedi da subito almeno agli effetti peggiori della crisi e proseguiremo sistematicamente nell’opera che ne deriverà fino a instaurare il socialismo.. “Finché non vinciamo tutti, ogni vittoria è precaria. La lotta è tra lavoratori e capitalisti. Finché i capitalisti pretendono di essere padroni delle aziende dove lavoriamo, la vita dei lavoratori è precaria, è sospesa agli affari e ai capricci del capitalisti: nessuna vittoria è definitiva finché loro comandano. I capitalisti non hanno riguardi: non dobbiamo averne con loro. Abolire la proprietà privata delle aziende è l’inizio della civiltà del futuro, è una condizione indispensabile di ogni civiltà futura. Il mondo va male, miseria e guerra sono dappertutto, perché i capitalisti pretendono di usare le aziende per fare profitti, per arricchirsi: questa è la malattia che oggi corrode e mina tutto il mondo. Le aziende devono servire agli uomini a produrre quello che occorre. Bisogna instaurare un’economia pubblica, al servizio di tutti, come pubblici devono essere la scuola, l’assistenza sanitaria, la tutela dell’ordine, del territorio e dell’ambiente, la viabilità, i trasporti e gli altri servizi: questa è la premessa perché l’umanità possa riprendere una vita di progresso, perché a ogni individuo sia assicurato il libero sviluppo delle sue migliori doti, perché la scienza sia messa al servizio della vita. Questo è quello che noi chiamiamo comunismo” (dal saluto del (nuovo)PCI agli operai della Rational di Massa).
L’unica alternativa vincente al meno peggio che porta al peggio (e al peggio non c’è mai fine!) è fare di ogni lotta rivendicativa un battaglia per accumulare forze per la costituzione di un governo di emergenza popolare, passaggio per far avanzare la rivoluzione socialista. Solo se aboliamo il capitalismo, sostituiamo le aziende capitaliste con aziende gestite dai lavoratori che lavorano secondo un piano pubblicamente deciso e passiamo dalla concorrenza alla collaborazione internazionale, potremo migliorare. Il “mondo migliore” che in molti auspicano è possibile (oltre che necessario), arrivarci senza sconvolgimenti no. Il futuro è nella rivoluzione socialista che si sviluppa, non nello sviluppo di un sindacato di regime ma più “di sinistra”. La rivoluzione socialista fino all’instaurazione del socialismo è la condizione indispensabile per invertire il corso delle cose.