È passato da poco il 2 giugno e cogliamo l’occasione per celebrare questa festa nazionale. Lo facciamo riportando l’articolo del Fatto quotidiano di qualche giorno fa di una necessaria iniziativa di alcuni collettivi aderenti alla Rete Non Una Di Meno che hanno costruito una mappa interattiva in cui vengono segnalati ospedali infestati da medici obiettori in cui è praticamente impossibile abortire, e farmacie che negano la pillola del giorno dopo. Come si evince dalle testimonianze riportate e dalla mappatura, nel nostro paese anche i diritti delle donne delle masse popolari (le Lorenzin, le figlie della Marcegaglia, dei Marchionne & Co. hanno i soldi per andare ad abortire in qualche clinica privata o all’estero) sono continuamente calpestati: quante donne sono morte sotto i ferri durante gli aborti clandestini negli anni ’50, ’60 e prima che il diritto ad una maternità consapevole e assistita non fosse approvato con la legge 194, frutto di tante lotte?
Oltre a disattendere la 194, si sgomberano anche gli spazi come la Mala Servanen Jin di Pisa, uno luogo liberato da alcune compagne che autorganizzandosi danno servizi alle donne del quartiere popolare in cui è situato, le quali a causa dei tagli ai servizi si vedono sbattere la porta in faccia da ospedali e farmacie, vedono chiudere consultori e centri antiviolenza: a loro va la nostra solidarietà e sostegno, anche per la determinazione che le ha portate il 1 Giugno a riprendersi lo spazio.
Seguendo la stessa logica, si processano compagne come Stefania che per aver difeso la 194 è stata picchiata da un prete antiabortista e denunciata per ingiuria e per questo processata. Oltre al danno anche la beffa: il PM, visto che il reato di ingiuria è derubricato, ne ha richiesto un altro per molestia e disturbo verso gli antiabortisti che umiliavano con i loro cartelli e i loro slogan le donne che ricorrono all’aborto.
Infine, con la stessa violenza di classe e di genere, vengono attaccate quelle donne che alla FCA di Pomigliano e all’Electrolux di Solaro hanno scioperato l’8 Marzo, durante la Giornata Internazionale della donna, con intimidazioni, minacce e processi.
Oggi c’è chi dice e si stupisce dell’anomalia del nostro paese: è la presenza del Vaticano e del suo potere occulto e millenario che con la sua pratica oscurantista interviene a piene mani nelle decisioni politiche ed economiche del paese. Non è un caso che l’Italia, uno tra i paesi più progrediti da un punto di vista capitalistico, sia tra i più arretrati in termini di diritti civili. Le donne delle masse popolari del nostro paese nella lotta per la loro emancipazione devono porsi l’obiettivo di lottare fino ad eliminare il Vaticano. Questa lotta vede come orizzonte l’instaurazione del socialismo.
In URSS, il paese che per primo spezzò le catene dello sfruttamento e dell’oppressione di classe, le donne delle masse popolari sono state protagoniste attive della costruzione della società. Grazie al loro assalto al cielo si è aperta la strada in tutto il mondo per l’emancipazione di tutte le donne oppresse, delle conquiste e dei diritti di civiltà e benessere conquistati negli anni ’60 e ’70 che oggi il Vaticano e i suoi esponenti di governo Gentiloni-Renzi stanno sempre di più eliminando. Solo un governo promosso e sostenuto dalle organizzazioni operaie e popolari, dalle associazioni che oggi difendono i diritti e le conquiste delle donne, degli operai, delle lavoratrici può applicare in maniera dispiegata le parti democratiche e progressiste della Costituzione e contribuire così alla rinascita del movimento comunista e alla costruzione della rivoluzione socialista.
Altro che “Regno”, prepariamo qui e ora il nuovo assalto al cielo!
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La piattaforma è stata lanciata l’8 marzo scorso, in occasione del primo sciopero generale delle donne organizzato dalla rete Non una di meno, e sta muovendo i primi passi. Chiunque può fare una segnalazione connettendosi al sito internet. Obiettivo: colmare un vuoto di informazioni e dati aggiornati, ma soprattutto denunciare la violazione di un diritto tutelato per legge
di Elisa Murgese | 28 maggio 2017
Alcune storie sono ingiustizie quotidiane, altre nascondono violenza psicologica e abusi passati come normale prassi ospedaliera. “Quando ho abortito in questa struttura mi hanno fatto sentire un mostro”, “In questa farmacia si sono rifiutati di darmi la pillola del giorno dopo”, “Attenzione, la maggior parte dello staff ospedaliero qui è obiettore di coscienza”. Si avvisano e si scambiano consigli le donne che da tutta Italia hanno iniziato a partecipare a Obiezione respinta, la prima piattaforma nazionale per mappare i medici obiettori di coscienza, ma anche per segnalare la qualità del servizio offerto dalle farmacie di tutta Italia rispetto alla vendita del contraccettivo di emergenza, oppure per raccontare esperienze positive in consultori o visite controverse negli ospedali. Un’iniziativa che nasce dal basso in un Paese con il maggior numero di medici obiettori in Europa insieme al Portogallo e molto spesso sotto accusa per non riuscire a garantire in tutte le strutture il diritto all’interruzione di gravidanza.
La piattaforma è stata lanciata l’8 marzo scorso, in occasione del primo sciopero generale delle donne organizzato dalla rete Non una di meno, e sta muovendo i primi passi proprio in queste settimane. “Le informazioni sui servizi quasi non esistono, i dati del ministero sono vecchi, i registri degli obiettori ci sono ma non permettono di sapere i turni dei medici e quindi di capire quanto il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza sia garantito – racconta Carlotta Cossutta di Ambrosia, collettivo femminista e queer di Milano che è tra i membri del progetto – Serve più informazione, abbiamo bisogno di uno strumento che abbia un’utilità pratica per tutte le donne, che nasca dal confronto tra tutte noi e che quindi sia creato dalla società civile, dal basso”.
Bollino verde per i luoghi che garantiscono i servizi, viola per le esperienze positive, rosso per quelle completamente negative. L’Italia che viene raccontata dalle segnalazioni di Obiezione respinta non è un Paese per donne, ma un posto dove (illegalmente) diversi farmacisti “si rifiutano di vendere la pillola del giorno dopo con varie scuse, magari dicendo che devono ordinarla – racconta Chiara Lombardo del collettivo pisano Aqara – dove in alcuni ospedali, come al Santa Chiara di Pisa, non è possibile prescrivere la Ru486 (la pillola abortiva, ndr) perché i medici non obiettori non riescono a coprire tutti i turni, fino ad arrivare a trattamenti al limite della dignità nei confronti delle ragazze che hanno richiesto un’interruzione volontaria di gravidanza”.
Il progetto, ideato dal collettivo pisano, pochi mesi fa è stato rilanciato a livello nazionale dal tavolo sul diritto alla salute sessuale e riproduttiva della rete Non una di meno. È stato allora che le attiviste si sono rese conto di come in tutta Italia si stessero mobilitando numerose mappature dal basso per segnalare l’accessibilità ad alcuni servizi per le donne. Tra queste PillolaMi, la piattaforma con cui il collettivo milanese Ambrosia ha iniziato a segnalare il modo in cui i farmacisti meneghini permettono (o meno) l’accesso alle pillole del giorno dopo. Progetti locali, fino a poche settimane fa, che hanno scelto di confluire nella mappatura nazionale di Obiezione respinta per creare un’unica piattaforma “in cui le esperienze e le conoscenze siano messe al servizio di tutte – racconta Marta Lovison di Ambrosia – creando un percorso che arrivi fino a sanzionare tutti quei luoghi che ci privano del diritto di scegliere e di autodeterminarci”.
Le segnalazioni possono essere fatte da chiunque, attraverso email o social network, e sono poi caricate sul portale in completo anonimato. “Qualunque persona può raccontare la sua esperienza in ospedali, farmacie, consultori e fare crescere la mappa – continua Chiara Lombardo – Infatti, questo progetto vive grazie alla volontà di tutti di fare valere il nostro diritto di decidere sui nostri corpi e sulla nostra sessualità”. I luoghi mappati vanno dal nord al sud Italia, con una prevalenza di segnalazioni da Toscana, Lombardia e Veneto. “Al sud il problema è molto diffuso negli ospedali – continua la giovane del collettivo Aqara – ma anche al nord ci sono state raccontate esperienze drammatiche, soprattutto in Lombardia”. Tra le storie più forti, quella di una ragazza di Napoli che per abortire ha dovuto cambiare tre ospedali. Per dare un’idea dell’impatto che possono avere il 70% degli obiettori di coscienza italiani, basti dire che questa giovane donna campana se n’è dovuta andare “dal primo ospedale a cui si era rivolta, il Policlinico Vecchio, perché qui accettano solo quattro visite al giorno poiché su venticinque ginecologi solo quattro praticano aborti”, continua Chiara Lombardo.
Mail e messaggi Facebook continuano ad arrivare, sul sito di Obiezione respinta, una community che cresce di giorno in giorno. E anche gli addetti ai lavori, soprattutto medici e farmacisti, a detta delle ragazze del collettivo hanno iniziato a dare i primi feedback. “Alcuni ci dicono che stiamo facendo un grande rumore per nulla – chiude Chiara Lombardo – perché potremmo semplicemente andare da un’altra parte senza mettere in discussione la decisione che medici e farmacisti hanno presto su di noi, sul nostro corpo”. Quindi, cosa vi ha stupito di più di queste prime reazioni? “Il fatto che a non aver accolto bene questa esperienza siano stati soprattutto gli uomini”