Pensare e costruire la nuova società socialista, spunti dal numero 55 de La Voce

Sul numero 55 de La Voce del (nuovo)PCI è pubblicato un articolo (“La situazione rivoluzionaria e la rivoluzione socialista”) che riprende un comunicato del P.CARC del 9 aprile (“Tesi sulla situazione politica”) e lo approfondisce in vari punti. La Redazione di Resistenza si sofferma su una di queste integrazioni e propone ai lettori alcune riflessioni utili a ragionare sulle condizioni, le forme e i risultati della lotta di classe in corso, in un paese imperialista come l’Italia.
“Nel movimento comunista dei paesi imperialisti è finora prevalsa una concezione sulla relazione tra i comunisti e le masse popolari, sul ruolo dei comunisti e sul ruolo delle masse popolari che è modellata sulla società borghese, è applicazione della concezione borghese del mondo alla lotta degli operai, tentativo di far accedere anche gli operai alle relazioni proprie del borghese (benessere, democrazia borghese, individui eguali, benestanti e liberi nel contesto del sistema di relazioni sociali della società borghese, della società che nel campo economico è ancora divisa in classi).
Noi abbiamo elaborato le categorie del regime della controrivoluzione preventiva e delle tre trappole, della Riforma Intellettuale e Morale e dei processi Critica-Autocritica-Trasformazione, delle due tare (economicismo e parlamentarismo). Ma non abbiamo ancora tradotto pienamente tutto questo nel nostro lavoro, né per quanto riguarda il partito (il lavoro interno), né per quanto riguarda il lavoro di massa del partito. Le rivendicazioni di migliori condizioni di vita e di lavoro, le proteste e la partecipazione alla lotta politica borghese giovandosi della democrazia borghese, sono mezzi per mobilitare e organizzare le masse popolari, ma il vero fondamentale compito dei comunisti consiste nel mobilitare le masse popolari a conquistare il potere (dittatura del proletariato) e su questa base fondare un nuovo sistema di relazioni sociali la cui caratteristica fondamentale non è il livello di vita (scontato, stante che la potenza delle attuali forze produttive non pone altri limiti che quelli dettati dalla conservazione dell’ambiente), ma la partecipazione di ogni individuo alla vita della società nazionale e mondiale in tutte le espressioni che questa vita ha – cosa che implica ovviamente la capacità intellettuale e morale dei singoli individui di parteciparvi, quindi in particolare la formazione a questo di ogni individuo fin dall’infanzia.

(…) Grazie al modo di produzione capitalista nel giro di alcuni secoli l’umanità ha fatto un cambiamento di portata storica. Ancora solo alcuni secoli fa l’umanità viveva grazie a lavoratori ognuno dei quali produceva di che vivere e proteggersi dalle intemperie e quanto altro gli era chiesto o imposto, lavorando, per conto suo con le sue mani o al massimo con un attrezzo manuale, quello che si trovava in natura. Oggi la produzione dei beni e servizi che l’umanità impiega è affidata a un sistema produttivo la cui produttività (cosa produce e quanto in termini di beni e servizi) è potenzialmente illimitata e dipende principalmente dall’applicazione (alla produzione) del patrimonio conoscitivo generale dell’umanità; questo sistema però funziona grazie all’opera, combinata secondo regole ben definite, di molti individui che fanno ognuno la sua parte e tutti possono fare la loro parte solo se ogni individuo fa la sua. È la situazione che Marx aveva previsto nel capitolo Capitale fisso e sviluppo delle forze produttive della società dei suoi Lineamenti fondamentali (Grundrisse) della critica dell’economia politica scritti nel 1858 (in Marx-Engels, Opere Complete vol. 30 pagg. 79-100, Editori Riuniti 1986).
Siamo quindi giunti, nel campo della produzione, a quella “associazione in cui il libero sviluppo di ogni individuo è la condizione indispensabile del libero sviluppo di tutti” che Marx ed Engels annunciano al termine del cap. 2 del Manifesto del partito comunista del 1848. Questo risultato raggiunto dall’umanità con il modo di produzione capitalista solo nel campo della produzione di beni e servizi, bisogna ora “tradurlo” nel campo del sistema dei rapporti di produzione e degli altri rapporti sociali e farlo valere universalmente: una “traduzione” incompatibile con il modo di produzione capitalista. Ma questa “traduzione” è indispensabile non solo per ogni ulteriore progresso, ma anche per la sopravvivenza dell’umanità e dell’ambiente dove vive.
Il nuovo mondo richiede che l’attività di ogni individuo sia coordinata a livello nazionale e mondiale alle attività multiformi che la società complessivamente deve svolgere; richiede che siano poste in atto le condizioni materiali perché ogni individuo sia educato intellettualmente e moralmente a svolgere le prestazioni di cui la società ha bisogno: il lavoro è sempre meno fatto dall’uomo con l’aiuto di un utensile manuale o motorizzato, e sempre più il ruolo dell’individuo consiste nel controllare un processo lavorativo che viene svolto da un impianto e anche il controllo è sempre più svolto da robot. Il lavoro necessario alla produzione dei beni e servizi che entrano e devono entrare nella vita evoluta degli individui e della loro società si riduce a progettare e mettere a punto impianti e robot. Aumenta il tempo che ogni individuo può dedicare ed effettivamente dedica alle attività specificamente umane (Manifesto Programma nota 2) e ogni individuo deve essere formato dall’infanzia a svolgere una varietà di attività e soprattutto a conoscere e a pensare, per cui nel corso della sua vita può aver luogo un processo di formazione continua”.

Due riflessioni. Un’opera nuova e senza precedenti. Instaurare il socialismo in un paese imperialista è un obiettivo che il vecchio movimento comunista non ha finora raggiunto. La questione non è che si tratta di un compito impossibile (tesi dei disfattisti della sinistra borghese), ma che “dobbiamo imparare”, posto che le condizioni oggettive sono favorevoli, che la crisi si aggrava e i suoi effetti si fanno più distruttivi quanto più è il tempo che la borghesia imperialista rimane alla direzione della società. Per specifiche condizioni politiche (regime di controrivoluzione preventiva), nei paesi imperialisti è più difficile avviare il processo rivoluzionario, ma una volta instaurato il socialismo, l’avanzamento verso il comunismo è favorito dalle più sviluppate forze produttive e del maggior grado di sviluppo del loro carattere collettivo. Nei paesi oppressi le condizioni per la rivoluzione di nuova democrazia (la specifica forma  della rivoluzione socialista nei paesi oppressi) sono relativamente più favorevoli anche a partire dal fatto che i margini di sviluppo delle forze produttive, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, il tenore e le aspettative di vita hanno grandi margini di sviluppo, ma il raggiunto sviluppo delle forze produttive e il loro carattere collettivo sono tali che la transizione verso il comunismo avviene in condizioni meno favorevoli. Per dirla con un concetto “terra terra”: nei paesi imperialisti è più difficile iniziare la rivoluzione socialista, ma è più semplice, una volta instaurato il socialismo, la transizione verso il comunismo; nei paesi oppressi è relativamente più semplice iniziare la rivoluzione socialista, ma è più difficile avanzare verso il comunismo.
Mentre le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari dei paesi imperialisti sono per le masse popolari dei paesi oppressi un esempio e un’aspirazione, le masse popolari dei paesi imperialisti non hanno in esempio di “società superiore” con cui comparare le loro condizioni; in passato esisteva l’URSS (“fare come la Russia”) e il campo dei primi paesi socialisti che rimane fino ad oggi il punto più alto raggiunto dall’umanità nel suo sviluppo. Ma tutti i paesi del campo socialista costituitosi con la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale erano paesi oppressi, o comunque paesi il cui sistema produttivo era caratterizzato da un basso livello di sviluppo delle forze produttive e fu  nel sistema socialista che furono sviluppate.
Discendono da questo ragionamento due aspetti decisivi per la comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe nei paesi imperialisti: il primo, illustrato nel brano di La Voce sopra riportato, è che concepire la lotta per il socialismo (in Italia e negli altri paesi imperialisti) come strumento per ottenere per la classe operaia e le masse popolari i diritti e le condizioni di vita della borghesia significa, in definitiva, ostinarsi nell’economicismo e nel riformismo democratico, le tare ideologiche per cui i comunisti non hanno finora fatto la rivoluzione socialista in nessun paese imperialista. Il secondo attiene al legame fra teoria rivoluzionaria e pratica rivoluzionaria (l’una senza l’altra è del tutto inefficace): la società socialista e il processo di transizione dal capitalismo al comunismo vanno prima pensati e poi realizzati.

Le attività specificamente umane e la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per ogni adulto”. Finché il genere umano ha dovuto lottare contro la natura per la propria sopravvivenza, il lavoro è rientrato a pieno titolo fra le attività specificamente umane: è stato grazie al lavoro (attività che distingue gli uomini da qualunque altra specie animale) che l’umanità si è imposta sulla natura ed è stato nella fase capitalista dell’evoluzione umana che il carattere collettivo delle forze produttive si è sviluppato fino al punto che ogni essere umano compie un lavoro il cui prodotto influisce sul lavoro e sull’esistenza di altri esseri umani, in una tela complessa entro la quale, nella società contemporanea, nessuna attività di nessun essere umano può prescindere dal lavoro degli altri.
Nel corso del tempo, il lavoro manuale è diventato un’appendice delle attività specificamente umane, cioè un’attività che non è più necessaria all’umanità per avanzare nella sua evoluzione.
Ma miliardi di persone, stanti i rapporti di produzione capitalisti e sotto il ricatto del salario, sono obbligate dedicare molta parte della loro esistenza al lavoro: nella società capitalista dal fatto che svolgano un lavoro dipende il fatto che percepiscano un salario, dal tempo che dedicano al lavoro dipende il fatto che la quantità di salario che percepiscono sia sufficiente per vivere.
Nel tentativo di limitare gli effetti della crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale iniziata a metà degli anni ‘70 del secolo scorso, i capitalisti hanno via via trasferito la valorizzazione del capitale dalla produzione di beni e servizi (merci) attraverso l’estrazione di plusvalore dal lavoro degli operai alla rendita (finanza e speculazioni) e oggi, nella fase acuta e terminale della crisi, la “mancanza di lavoro” è diventata un flagello per le masse popolari, private in modo via via crescente della possibilità di lavorare e quindi di vivere dignitosamente.
La mancanza di lavoro, però, è solo la manifestazione del dominio della borghesia imperialista sulla società (essa non ha altro obiettivo che la valorizzazione del capitale). In verità i lavori da fare, di cui c’è bisogno per consentire un’esistenza dignitosa e felice alle masse popolari, sono molti e diversificati. Il loro mancato svolgimento contribuisce al degrado materiale e morale in cui sprofonda la società.

Oltre a peggiorare le condizioni di lavoro di chi un lavoro ce l’ha (allungamento del tempo di lavoro, aumento dei ritmi produttivi, mantenimento di processi produttivi che la tecnologia ha reso obsoleti), oltre a creare le condizioni per il progressivo aumento della disoccupazione fra la popolazione attiva, la borghesia imperialista alimenta una serie di attività per impiegare il tempo libero dal lavoro salariato della classe operaia in modo inutile o dannoso rispetto alla consapevole partecipazione alla gestione della società (che nel frattempo è diventata la principale attività specificamente umana): diversione dalla lotta di classe, consumismo, dipendenze di ogni tipo, abbrutimento.

In questa condizione storica del tutto particolare, in cui si combinano lo sviluppo delle forze produttive e del loro carattere collettivo (che consentirebbero all’umanità di lavorare meno e meglio) e la debolezza del movimento comunista cosciente e organizzato (debolezza che è il principale ostacolo all’instaurazione del socialismo), la costituzione del Governo di Blocco Popolare e l’attuazione del suo programma sono sintesi positiva e di prospettiva: “un lavoro utile e dignitoso per ogni adulto” (la prima misura del programma, che si traduce anche in “lavorare tutti per lavorare meno”), garantito dall’intervento e dall’azione di un governo che è emanazione della parte già organizzata della classe operaia e delle masse popolari, è la condizione per cui le masse popolari imparano a gestire direttamente e collettivamente parti crescenti della loro vita sociale, oltre ad essere una misura pratica efficace contro la precarietà, la miseria e il peggioramento delle condizioni di vita a cui milioni di persone sono già oggi condannate e che per altri milioni sono prospettiva.

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