Riceviamo e pubblichiamo le considerazioni di un nostro lettore e simpatizzante:
“Cari compagni dell’Agenzia Stampa del Partito dei CARC, ancora una volta mi sento di scrivere su quanto accade rispetto alla cronaca nazionale del nostro paese. Negli anni passati c’è chi ha descritto l’Italia come “la repubblica delle banane” e definito tanti e vari epiteti per cercare di dare un senso all’anomalia che rappresenta il nostro paese. La carovana del (nuovo) PCI ha descritto bene e dato spiegazione di questa anomalia, nell’opuscolo Unità d’Italia, anomalia italiana, Costituzione.
Alla luce di quanto descritto in questo opuscolo non ci stupiamo della posizione di Rosi Bindi, alla testa dell’Antimafia in Italia, rispetto a quanto dichiarato il 30 Maggio sulla volontà della commissione antimafia di non esaminare le liste che si presenteranno alle prossime elezioni governative (semmai dovessero esserci), con tanto di “raccomandazione” ai partiti delle larghe intese di essere onesti e probi nella scelta dei candidati.
Ma nella Repubblica Pontificia tutto sembra assurdo se non si parte dal presupposto che la sua legalità è la componente di facciata di tutto un apparato illegale, mafioso, turpe e intricato, fatto di operazioni sporche, trame e manovre alla cui testa c’è il Vaticano guidato dai gesuiti, esperti da secoli e secoli in attività di questo tipo. Il Gladio, le operazioni dei servizi segreti “deviati”, il caso Ustica, l’intera vita di un uomo come Giulio Andreotti ne sono un semplice assaggio. La legalità borghese, e i suoi apparati come l’antimafia sono solo lo strumento “pubblico” con cui i vari gruppi di potere regolano i conti con altri, per essere legittimati agli occhi delle masse popolari nell’esercizio del potere (ho la certificazione antimafia, sono un padrone onesto anche se sfrutto centinaia di operai!). Mafia Capitale, così come le scorse elezioni locali e regionali, hanno dimostrato che con l’avanzare della crisi e dello scontro tra bande interno alla classe dominante anche l’antimafia (utilizzato finora per delegettimare gruppi mafiosi e gruppi di potere, per favorirne però altri) è sfuggita di mano: liste “bocciate”, regolamenti di conti, teste saltate, e ne risultava che il più pulito e onesto aveva la peste bubbonica. Questo marasma ha dimostrato ancora di più che non esiste apparato della classe dominante, ente o istituzione, gruppo di potere, militare o poliziesco che non basi la sua attività su un largo e diffuso utilizzo di pratiche al di fuori della legalità borghese, delle leggi della democrazia borghese. In pratica che lo stato borghese non si regge sulle sue leggi, ma sulla violazione di esse, e che le leggi servono solo per i proletari o al massimo ratificano manovre anticostituzionali e antipopolari già praticate da tempo in mille forme, come ad esempio il Jobs Act.
Quindi, perchè stupirsi della dichiarazione della Bindi? Che esista o no l’antimafia, che faccia o meno la sua attività è direttamente dipendente delle scelte delle bande interne alla classe dominante di farsi la guerra o restare provvisoriamente “in pace”. L’antimafia, nel carrozzone della Repubblica Pontificia, esiste solo se esiste la criminalità organizzata: quindi la Bindi non avrebbe più stipendio se facesse il suo lavoro fino in fondo. La risposta alla criminalità organizzata deve venire dall’organizzazione delle masse popolari e della classe operaia, che si pongono l’obiettivo della costruzione di un governo d’emergenza che garantisca a tutti un lavoro utile e dignitoso. Solo attraverso un processo del genere (organizzazione e azione, creazione del nuovo potere, attuazione di misure d’emergenza per risollevare il paese dal degrado e dal baratro in cui la classe dominante lo sta portando) si toglie il terreno alla criminalità organizzata, che vive di arruolamento di disoccupati, di speculazione edilizia, riciclo del denaro sporco attraverso appalti pubblici e insinuandosi in ogni piega di questa società. Organizzazioni criminali che fanno il paio con il Vaticano, con confindustria, con i carrozzoni pubblici e con tutti gli altri centri di potere nel nostro paese.
Tutti quegli esponenti democratici, progressisti, della Sinistra Borghese che credono e si affidano alla democrazia borghese e alle riforme per cambiare le cose, non vedendo tutto ciò, danno merito all’esistenza del termine “cretinismo parlamentare”. Devono invece promuovere la mobilitazione delle masse popolari e della classe operaia a costituire il Governo di Blocco Popolare, che segnerà un deciso passo avanti nello spazzar via quanto di degenerato e meschino ha prodotto (e produce) la società borghese.
Romeo Corradini”
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Antimafia, Bindi: “Alle prossime elezioni non esamineremo liste nazionali. Spero i partiti abbiano imparato la lezione”
La presidente della commissione ha annunciato che non si occuperanno degli impresentabili in corsa alle prossime elezioni nazionali: “Le mafie sono cambiate”, ha dichiarato, “sono molto più interessate alla politica locale”
La commissione parlamentare Antimafia non esaminerà le liste elettorali alle prossime elezioni nazionali. Quindi, a prescindere da quando si andrà a votare veramente (autunno 2017 o inverno 2018), non sarà data la lista degli impresentabili. L’annuncio è della presidente Rosy Bindi in occasione di una conferenza stampa sul crimine organizzato nella Capitale e nel Basso Lazio. “Le mafie sono cambiate“, ha dichiarato, “sono molto più interessate alla politica locale. Ci auguriamo che i partiti abbiano imparato la lezione. Le mafie non sono interessate alle grandi strategie di potere: un assessore di Regione o Comune è molto più interessante di un parlamentare per loro. I partiti dedichino le loro energie a alla formazione di una classe dirigente locale. Una necessità evidenziata da Mafia Capitale”.
L’Antimafia aveva analizzato le liste per le ultime amministrative 2016 (erano stati individuati 14 impresentabili), ma soprattutto si era occupata dei nominativi per le Regionali del 2015 quando l’operazione aveva fatto tanto discutere fino a far mettere in dubbio ad alcuni l’opportunità dell’intervento. Tra gli impresentabili era finito infatti anche l’attuale governatore Pd della Campania Vincenzo De Luca, ai tempi imputato nel processo legato alla vicenda Sea Park e poi assolto. L’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva accusato Rosy Bindi di usare la commissione Antimafia per regolare i conti all’interno del partito. De Luca ha sempre definito quell’episodio un “atto di delinquenza politica” mirato per danneggiare il partito. Ancora a novembre 2016, intervistato da Matrix, aveva detto che Rosy Bindi “è un infame, da uccidere”. Una frase per cui era stato condannato da tutti, avversari politici o meno, fino ad essere scaricato (almeno in quell’occasione) dallo stesso Renzi. Al di là delle polemiche politiche, la decisione della Bindi non fu “personale”, ma in linea con quanto previsto dal codice etico approvato dall’organo parlamentare nel 2014 (pure con i voti dem).