Domenica 27 maggio il Circolo del PRC di Rifredi ha organizzato la presentazione del libro: “Scuola Liquida. La liquidazione della scuola pubblica” con la presenza dell’autrice Fernanda Mazzoli, insegnante di lingua francese in un Liceo Linguistico di Urbino.
Il libro tratta della legge 107 varata nel luglio 2015 dal Governo Renzi, meglio conosciuta come “buona scuola”, riforma che continua e aggrava la trasformazione del sistema nazionale dell’istruzione pubblica che la Repubblica Pontificia ha messo in cantiere a partire dagli anni ’80 del secolo scorso. La trasformazione del contenuto e della struttura dell’istruzione nazionale mantiene lungo gli anni caratteri e indirizzi fissi, lo stesso filo conduttore: riduzione del sistema pubblico a vantaggio della scuola clericale (potere della Chiesa) e privata (impresa capitalista fornitrice di servizi); riduzione generale dei finanziamenti statali e spostamento di una percentuale crescente di essi alle istituzioni clericali; gestione manageriale (ossia scimmiottando nell’istituzione pubblica la gestione dell’impresa capitalista) delle residue istituzioni pubbliche (il bilancio finanziario dell’istituto scolastico sostituisce il risultato scolastico come metro di giudizio della gestione dell’istituto); riduzione del sistema di istruzione a scuola professionale (l’insegnamento di un mestiere si sviluppa a deterioramento dell’educazione a pensare e alle altre attività superiori monopolio delle classi dominanti da quando esse esistono); l’istruzione deve diventare una merce come ogni altro servizio alla persona (ognuno acquista l’istruzione che può permettersi a secondo dei soldi di cui dispone: reddito, proprietà, prestiti). I passaggi particolarmente importanti di questa trasformazione portano i nomi dei ministri Luigi Berlinguer (1996-2000, governi Prodi e D’Alema), Letizia Moratti (2003, governo Berlusconi), Maria Stella Gelmini (2008-2011, governo Berlusconi), Stefania Giannini (governo Renzi).
Che cosa ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi, il sistema di istruzione pubblico e universale? Sicuramente è stata una delle più importanti conquiste strappate nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria dalle masse popolari nei paesi imperialisti1. Un passo in avanti verso l’accesso della massa della popolazione (o comunque della gran parte di essa) ad attività che in tutte le società divise in classi, le classi dominanti riservano a se stesse, proprio per le conoscenze che forniva, per l’educazione che dava, per i metodi di insegnamento, per il reclutamento del corpo docenti (seppure conservasse ancora il marchio della società divisa in classi. Un esempio “banale” sta nella divisione tra istituti professionali e licei che rispecchia tutt’oggi le contraddizioni della società capitalista. Basti pensare che solo 1 liceale su 6 proviene da famiglia operaia)2.
Il sistema d’istruzione pubblico è stato il frutto di un preciso contesto nazionale e internazionale che ha caratterizzato gli anni che vanno dal secondo dopoguerra alla metà degli anni ‘70 e che vedevano combinarsi:
– la forza, il radicamento e l’estensione del movimento comunista a livello nazionale e internazionale, che condizionava i governi dei paesi imperialisti. In questa fase era il movimento comunista cosciente e organizzato che dirigeva il mondo e la borghesia imperialista era costretta a rincorrerlo;
– una fase di espansione del capitalismo. Dopo le immani distruzioni di due Guerre Mondiali, a partire dalla fine del secondo dopoguerra fino alle metà degli anni ‘70, il capitale ha vissuto una fase di ripresa, di espansione che ha rappresentato la base materiale della politica di “concessioni” fatta dalla borghesia. Beninteso, non s’intende negare la portata e l’importanza delle lotte e delle rivendicazioni (tutto è stato conquistato con il sangue e il sudore della classe lavoratrice) ma inquadrare il contesto oggettivo che ha reso possibile la realizzazione di quelle stesse rivendicazioni.
Capire in che fase siamo oggi e come interpretare il corso catastrofico che la borghesia ha impresso all’umanità da quando a causa dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, ha ripreso in mano la direzione del mondo, è essenziale per comprendere la “razionalità” di movimenti che a prima vista sembrano assurdi o inspiegabili e che si rischia di attribuire alla cattiveria dei capitalisti o alla loro ignoranza e arretratezza. In verità, la condotta politica della borghesia deriva dal suo ruolo come classe dominante in campo economico. Oggi, siamo in una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale: significa che la quantità di ricchezza accumulata nella nostra società è talmente tanta da non poter più essere valorizzata nella produzione di merci. Questa situazione costringe la classe dominante ad abolire le conquiste di civiltà e benessere che le masse popolari del nostro paese avevano strappato e che rappresentano un ostacolo alla valorizzazione di capitale (e quindi al via le privatizzazioni…). Non solo, ma la costringe anche a ricorrere a svariate manovre per valorizzare il capitale che viene accumulando e non può valorizzare nella produzione di merci, ad esempio, attraverso le manovre di speculazione finanziaria che aggravano ulteriormente la crisi economica, politica e sociale del sistema capitalista. Dunque, lo smantellamento dei servizi e dei diritti delle masse popolari3 non è la manifestazione della forza del nemico o del fatto che “la lotta di classe è stata vinta dai padroni”, bensì una misura che corrisponde alle esigenze del capitale in crisi. Dimostra che siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo ma non perché le masse fanno già azioni rivoluzionarie, ma perché le condizioni oggettive le spingono a farle; non perché le masse sono già organizzate per fare la rivoluzione, ma perché sono spinte a organizzarsi, non perché vogliono la rivoluzione ma perché non hanno altra soluzione positiva. Sono due le vie entro cui questa mobilitazione può incanalarsi: o la mobilitazione reazionaria (all’insegna della “guerra tra poveri”) o la mobilitazione rivoluzionaria (all’insegna della guerra al capitale che sta all’origine dell’attuale marasma). Quale via prevarrà, dipende dall’azione dei comunisti, dalla rinascita di un movimento comunista cosciente e organizzato all’altezza dei propri compiti: queste sono le “famose condizioni soggettive”. Esse, non si creano “spontaneamente” nella società: la borghesia imperialista e il clero escludono costantemente le masse popolari dalle attività prettamente umane, in particolare dall’apprendimento e dall’esercizio delle attività intellettuali (le varie “riforme” servono anche a questo…) e dall’effettiva partecipazione alla gestione, direzione e progettazione della vita sociale. Sta ai comunisti la responsabilità di crearle, facendo partecipare le masse popolari alla lotta di classe, promuovendo la loro organizzazione e il loro coordinamento, valorizzando e incanalando in una progettualità quello che spontaneamente già esiste.
La mobilitazione che si è sviluppata tra il 2015 e il 2016 contro la buona scuola, ad esempio, ha raccolto una vasta adesione da parte non solo del mondo della scuola ma della società civile tutta, che ha preso corpo in varie iniziative: occupazioni di istituti scolastici da parte degli studenti; boicottaggio organizzato degli scrutini, manifestazioni (di cui la più imponente per partecipazione è stata quella del 12 maggio 2015) nonché la raccolta di 530.000 firme per indire un referendum abrogativo. Il punto, adesso, è fare tesoro degli insegnamenti che ci vengono da quell’esperienza di lotta per capire come rilanciare. In particolare, l’esperienza del referendum ha dimostrato che nonostante la volontà popolare, se rimettiamo le decisioni che vanno negli interessi dei lavoratori, degli studenti e in generale delle masse popolari, ai governi espressione della borghesia, questi troveranno sempre una scappatoia, un modo per continuare a perpetrare le loro politiche di lacrime e sangue. Che fare quindi? Nel caso della lotta alla “buona scuola” (ma vale in generale per qualsiasi tipo di lotta il cui esito non è affatto “scontato”) non disperdere l’enorme adesione raccolta e partire da questa per organizzare le decine, centinaia, migliaia di studenti, insegnanti e genitori che cercano un modo per resistere agli effetti della “buona scuola”. Concretamente: significa costruire organizzazioni di studenti, insegnanti e genitori, che scuola per scuola si confrontino e si coordinino per fare fronte agli effetti della riforma Giannini. Organizzazioni che “occupano” la scuola (nel senso “di occuparsene”) ed “escono” dalla scuola per legarsi al resto della società: agli altri lavoratori delle aziende pubbliche, agli operai delle aziende capitaliste, ai comitati in lotta contro il degrado, ecc.
Mobilitarsi e coordinarsi per cosa? Per costruire la rete di organizzazioni operaie e popolari, studentesche che inizino, in autonomia, a fare fronte alle loro esigenze (inutile rivendicare alle autorità!) e, così a costruire il loro potere, il loro governo sui territori, fino a imporre un governo su scala nazionale. Un Governo che sia espressione delle organizzazioni operaie e popolari del nostro paese, che sia disposto a far valere la forza delle masse popolari organizzate, per rompere con i dicktat e le imposizioni dell’UE e della Comunità Internazionale. Un Governo che alimenti la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e che sia un’efficace soluzione alla “guerra tra poveri” promossa dalla classe dominante. Questa prospettiva è lo sbocco unitario e positivo delle mille mobilitazioni che già oggi attraversano, sparse, il Paese. È la soluzione più efficace per mettere mano allo stato di emergenza oggi vigente e la via più fattibile per promuovere la rinascita del movimento comunista e l’instaurazione del socialismo.
1 Per approfondire vedi, Manifesto Programma “La prima crisi generale del capitalismo, la prima ondata della rivoluzione proletaria (…)”, pag. 60
2A tal proposito vedi questa inchiesta: https://www.almadiploma.it/indagini/profilo/profilo2016/)
3 Che continua anche nell’Università: in Toscana è nuovamente sotto attacco il Diritto allo Studio; in Lombardi vogliono mettere il numero chiuso alle Facoltà Umanistiche come misura per ridurre ulteriormente l’accesso dei giovani delle masse popolari alla formazione scolastica.