Rilanciamo il contributo che ci arriva da un nostro lettore, Romeo:
“Compagni dell’Agenzia Stampa “Staffetta Rossa” del Partito dei CARC, nell’edizione del 28 maggio de Il Manifesto si parla della visita fatta dal papa a Genova. Il titolo dell’articolo, a firma di Luca Kocci, è tutto un programma: “bagno di tute blu per il papa a Genova”. Questa del papa di sinistra è una suggestione che su Il Manifesto è tanto dura a morire. Nell’articolo si parla della dottrina sociale della Chiesa e del principio dell’interclassismo. Il papa ha voluto fortemente che all’incontro ci fossero un operaio, un sindacalista e un imprenditore, come se tutti e tre avessero lo stesso ruolo e gli stessi interessi nella società, come se Marx avesse scritto invano che la società è divisa in classi, che queste classi sono in lotta tra loro e che questa lotta è il motore dello sviluppo dell’umanità tutta. L’operaio e l’imprenditore sulla stessa barca e il mondo diviso in buoni o cattivi, questo quello che Il Manifesto per mezzo delle parole del papa afferma e non contrasta, anche contraddicendo la specifica che compare sopra il nome della testata “quotidiano comunista”.
Nell’articolo non è questo l’unico punto su cui si potrebbe avere da ridire. Il papa dice che competitività e meritocrazia sono due disvalori da rimuovere del “nuovo capitalismo”. Andiamo con ordine. Secondo Bergoglio, si legge, competitività e meritocrazia mettono i lavoratori in lotta tra di loro e genera miseria.
Le domande da fareriguardano il come sia possibile che questi due principi astratti generino guerra tra poveri e povertà? Sarà mica che competitività e meritocrazia siano in realtà il prodotto di un sistema economico marcio e in crisi che ha fatto il suo tempo? Anziché avallare le tesi di chi, come il papa, gioca a celare la realtà delle cose col piglio del rivoluzionario, perché su Il Manifesto (un quotidiano comunista) non ci dice qual è l’origine della distruzione sociale e della guerra di sterminio non dichiarata che le masse popolari subiscono giorno dopo giorno? Sarà forse la crisi generale del sistema capitalista in cui i gruppi imperialisti, il Vaticano, le società finanziarie, padroni, massoni e speculatori ci hanno infilato questa causa? Perché non si legge una riga in cui si denuncia il ruolo subdolo del Vaticano e del papa nel predicare amore, fratellanza e solidarietà senza muovere un mignolo (se non lo stretto necessario per essere credibile) contro tutto questo sistema che si finge di denunciare?
Da distruggere e da rimuovere non sono i concetti astratti. La fame, la povertà, la disoccupazione e lo sfruttamento sono cose maledettamente concrete. Cose concrete che si superano in un solo modo, sostituendo un ordinamento sociale con un altro, abbattere il potere della classe borghese imponendo quello della classe operaia, altro che interclassismo e dottrina sociale della Chiesa!
Piace a tanti, inoltre, pensare al ritorno al “vecchio capitalismo” perché questo “nuovo capitalismo” non piace, è troppo cruente e aggressivo. In tanti vorrebbero tornare ai tempi in cui le lotte operaie ottenevano conquiste, a quando i diritti erano terreno di conquista e di battaglia politica. Quel tempo, che non è poi così lontano, non chiamiamolo “vecchio capitalismo” il suo nome è “capitalismo dal volto umano” e si è sviluppato dal secondo dopo guerra fino a metà degli anni settanti. Esso dipendeva dalla forza del movimento comunista internazionale, dal fatto che il capitalismo usciva da due guerre mondiali e da interi paesi da ricostruire, l’economia tirava. Da un lato i campi di investimento erano praterie, dall’altro gli operai e le masse popolari erano forti di una base rossa mondiale che intimoriva i capitalisti. Questi due fattori, su tutti, consentivano di ottenere vittorie e conquistare pezzi di civiltà. Con la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale e l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria in tutto il mondo, tutto ciò non è più possibile. Anzi i capitalisti non solo non possono concedere ma ritirano tutto quanto hanno concesso in passato. Coltivare l’idea di un capitalismo buono, scambiarlo magari per il socialismo o per il percorso pacifico con cui raggiungerlo, è arte in cui la i revisionisti moderni prima, la sinistra borghese poi e il Vaticano sempre, hanno diffuso tra le masse popolari.
Il problema non è la bontà o la cattiveria dei capitalisti, né giudicare in astratto le concezioni arretrate che diffondono tra le masse popolari. Chi la pone su questo piano, cosa in cui Bergoglio è un maestro, non fa altro che dire alle masse popolari e alla classe operaia di stare buone e a cuccia che tanto il potere non lo potranno avere mai. Si rassegnino ad essere sfruttati o al massimo lottino per ottenere migliori condizioni di sfruttamento! Il problema invece è il potere: o quello della borghesia o quello del proletariato. Vaticano.spa non è un’entità astratta e super partes, è la più grande multinazionale del mondo. La sua collocazione nella lotta di classe è abbastanza chiara in questo senso, come anche l’unica soluzione possibile contro il sistema capitalista e la sua crisi: la rivoluzione socialista e il comunismo.
Romeo Corradini”
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Bagno di tute blu per il papa a Genova
Ilva. Bergoglio a Genova e Cornigliano. «Licenziare, ricattare e delocalizzare è indegno e incostituzionale»
L’imprenditoria buona che crea lavoro dignitoso e quella «mercenaria» preoccupata solo del profitto. Il lavoro come «riscatto sociale» ma anche come arma di «ricatto». La ferita del lavoro nero, la piaga della disoccupazione. Il falso mito della «meritocrazia» usato come «legittimazione etica della disuguaglianza». Il lavoro «cattivo» che produce armi e violenta la natura.
È stato un discorso a 360 gradi sul tema del lavoro quello che ieri – mentre a Taormina era in corso il G7 su ambiente, economia e migrazioni – papa Francesco, in visita a Genova, ha tenuto all’Ilva di Cornigliano davanti alla folla osannante di operai metalmeccanici, rispondendo alle domande di quattro persone, accuratamente selezionate sulla base del principio dell’interclassismo, pilastro della dottrina sociale della Chiesa: un imprenditore, una sindacalista, un operaio, una disoccupata.
«Non c’è buona economia senza buon imprenditore», ha detto Francesco. Ma «chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore, è un commerciante, oggi vende la sua gente, domani vende la propria dignità». È uno «speculatore», un «mercenario» che «usa azienda e lavoratori per fare profitto».
«Licenziare, chiudere, spostare l’azienda (delocalizzare, ndr) non gli crea alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, mangia persone e mezzi per i suoi obiettivi di profitto». E «qualche volta – ha proseguito – il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro».
Il papa ha dato ragione alla sindacalista, che ha parlato della necessità di rendere il lavoro «una forma concreta di riscatto sociale», e ha aggiunto il tema del lavoro usato come «ricatto», con un episodio che ha detto essergli stato raccontato da una ragazza a cui era stato proposto un lavoro da 10-11 ore al giorno per 800 euro al mese: «800 soltanto? 11 ore?. E lo speculatore, non era imprenditore, le ha detto: Signorina, guardi dietro di lei la coda: se non le piace, se ne vada. Questo non è riscatto ma ricatto!». Poi il «lavoro in nero», quello dei «caporali», ma anche le forme apparentemente soft: «Un’altra persona mi ha raccontato che ha lavoro, ma da settembre a giugno: viene licenziata a giugno, e ripresa a settembre». Non c’è bisogno di andare nei campi della Puglia, basta entrare in una scuola pubblica per verificare la normalità di tale prassi.
«La mancanza di lavoro è molto più del venir meno di una sorgente di reddito», è assenza di «dignità». Per questo, ha detto il papa, l’obiettivo «non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti! Perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti». Lo afferma il primo articolo della Costituzione italiana, ha ricordato Francesco: «L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro». E allora «togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato, è anticostituzionale».
«Competitività» e «meritocrazia», secondo il papa due «disvalori» da rimuovere. La prima perché mette i lavoratori in guerra gli uni contro gli altri («quando un’impresa crea scientificamente un sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione fra loro, magari nel breve periodo può ottenere qualche vantaggio, ma finisce presto per minare quel tessuto di fiducia che è l’anima di ogni organizzazione»). Con la seconda, «il nuovo capitalismo dà una veste morale alla diseguaglianza» («se due bambini nascono diversi per talenti o opportunità sociali ed economiche, il mondo economico leggerà i diversi talenti come merito, e li remunererà diversamente») e rende il povero «un demeritevole, e quindi un colpevole. E se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa».
La visita è proseguita in cattedrale, dove ha incontrato i vescovi, i preti, i religiosi e le religiose, poi i giovani al santuario della Madonna della Guardia, dove è tornato sul tema dei migranti: «È normale che il Mediterraneo sia diventato un cimitero? È normale che tanti Paesi, non l’Italia che è tanto generosa, chiudano le porte a questa gente che fugge dalla fame e dalla guerra?». Pranzo con alcuni rifugiati, senza fissa dimora e detenuti, un saluto ai degenti del Gaslini, messa a piazzale Kennedy e, in serata, rientro a Roma.