Gli articoli che indichiamo di seguito sono, se letti nel loro complesso, significativi di cosa intendiamo quando affermiamo che è la classe dominante a promuovere la mobilitazione reazionaria. Le stragi in mare, la costruzione di CIE, così come le leggi liberticide, le misure che vengono attuate per mettere lavoratori pubblici contro gli operai, i disoccupati contro chi lavora, e tutte le varie leggi e manovre che tendono a disgregare il campo delle masse popolari, sono promosse dalla classe dominante, dalla borghesia imperialista col suo clero attraverso i governi loro espressione. Ne La Voce n. 54 – Il nuovo anno e i nostri compiti il (nuovo) PCI afferma: “La vigliaccheria nazionale è impersonata con crescente clamore propagandistico da gruppi come Casa Pound, Forza Nuova, la Lega Nord di Matteo Salvini. Li abbiamo qualificati tempo fa come promotori delle prove di fascismo: gruppi che si proponevano alla borghesia imperialista come candidati a “mettere in riga le masse popolari”. Ma finché la rivoluzione non si sviluppa a un livello superiore, la borghesia imperialista non ha bisogno di loro: regola i suoi problemi con le forze istituzionali. Cercano quindi di acquisire seguito di massa presso parti delle masse popolari arretrate ma indignate del degrado a cui la Repubblica Pontificia (RP) le condanna, mobilitandole contro quelli che stanno peggio di loro, anziché unirli per attaccare insieme le istituzioni della RP. Quindi proteggono dall’indignazione popolare i veri responsabili del degrado. Bisogna prevenire le loro imprese vigliacche mobilitando le masse popolari contro i veri responsabili del degrado, contro i responsabili della guerra di sterminio non dichiarata.” Gli articoli in fondo dimostrano proprio questo: i gruppi fascisti e scimmiottatori del ventennio, nella “destra” Milano, riescono a rispondere in 150 al corteo antirazzista che ha visto, sabato 20 maggio, la partecipazione di oltre 100 mila persone in difesa dei diritti dei migranti. Ma questo non è e non deve essere una esibizione di muscoli, una passerella. “Le condizioni per la mobilitazione reazionaria delle masse popolari sono favorevoli e la mobilitazione reazionaria ha fatto, oggettivamente, dei passi avanti. E del resto è inevitabile: la borghesia imperialista è la classe dominante della società e impone alle cose l’unico corso con cui è capace di fare fronte alla crisi. Hanno fatto dei passi avanti la mobilitazione della parte più abbrutita e disperata delle masse popolari contro gli immigrati (alimentata dal razzismo di stato, dalle misure persecutorie di autorità e istituzioni borghesi e dal terrorismo mediatico), la propaganda di guerra contro i cosiddetti “stati canaglia” che rifiutano di piegarsi ai voleri della Comunità Internazionale e, infine, le campagne d’opinione in favore delle manovre, più o meno esplicite, con cui i gruppi imperialisti internazionali regolano i conti fra di loro (ad esempio le campagne contro la Cina e “le merci cinesi”, quella contro la Germania e tutte le altre che puntano a “salvare l’Italia” contrapponendola ad altri paesi). Questi sono i principali campi in cui la mobilitazione reazionaria ha fatto dei passi in avanti.” Scrivevamo in “Non siamo in un regime di moderno fascismo. Chi promuove la mobilitazione reazionaria che fa passi avanti?” pubblicato su Resistenza n.4/2017. Per impedire la mobilitazione reazionaria, per porre un freno a questa tendenza che la classe dominante sarà costretta ad imporre in maniera sempre più aperta, è necessario oggi mobilitarsi e coordinarsi per costruire un Governo d’Emergenza Popolare, dobbiamo spingere principalmente sulla lotta contro la borghesia e le autorità della Repubblica Pontificia e contro il degrado generale a cui sono costrette le masse popolari italiane e immigrate, partendo dall’applicazione delle parti democratiche della Costituzione, dalla lotta per un lavoro utile e dignitoso per tutti e un reddito conseguente per tutti quelli che lavorano. Questa è la strada per prevenire la mobilitazione reazionaria e favorire quella rivoluzionaria
***
Milano, il corteo anti-immigrazione è un flop. In 150 scandiscono slogan nazionalisti: “Casa, lavoro solo agli italiani”
da IlFattoQuotidiano
Poco più di 150 persone, strette di mano fascista e un mini-corteo da piazza della Repubblica fino alla Stazione centrale. E’ stata un flop la contro-manifestazione “No all’invasione” organizzata dal comitato ‘Milano sicura‘. Doveva essere una risposta alla marcia pro-migranti “20 maggio insieme senza muri”, organizzata dall’assessore Pierfrancesco Majorino e appoggiata dal sindaco Beppe Sala. Alla fine però hanno risposto in pochi: Forza Nuova, Fiamma Tricolore e Fiamma Nazionale su tutti. Al grido di “prima gli italiani” e “fermiamo l’invasione” i pochi manifestanti hanno raggiunto piazza Duca d’Aosta. Proprio davanti alla stazione c’è stato qualche attimo di tensione. Alcuni dei migranti infatti hanno definito “razzisti” i partecipanti al corteo, ma la polizia ha evitato ogni tipo di contatto. I più attivi sono stati i militanti di Forza Nuova, in camicia bianca, che hanno intanto cori e accesso fumogeni mostrando lo striscione: “Basta immigrazione”
***
Migranti, in 1500 a Napoli. Prefetto: “Porti siciliani chiusi causa G7”, Msf: “Da irresponsabili”
da IlFattoQuotidiano
1449 i migranti sbarcati al porto di Napoli, domenica mattina, a bordo della nave Vos Prudence di Medici senza Frontiere. 140 donne, 45 bambini – tra cui 40 con meno di 5 anni, 5 neonati e numerose donne incinte. Due i cadaveri, uno di un uomo recuperato da un gommone, l’altro deceduto durante lo sbarco. Si tratta di migranti partiti dalla Libia e che, a causa della chiusura degli scali siciliani per effetto del G7, hanno viaggiato 24 ore in più. “È veramente irresponsabile chiudere un’isola come la Sicilia che non solo è famosa per la sua accoglienza ma che gestisce dei flussi di immigrazione importantissimi”, dichiara Michele Trainiti, coordinatore di Medici senza Frontiere. “Chiuderla per un G7 vuol dire non voler aprire gli occhi sulla situazione in atto nel Mediterraneo, è una cosa assurda. Abbiamo fatto fare ventiquattro ore di viaggio in più a queste persone”, continua Trainiti, “e ci possiamo ritenere fortunati che non ci sia stata alcuna emergenza medica grave perché noi eravamo al limite per poterla gestire. Abbiamo però due persone che non ce l’hanno fatta in questo viaggio: una è arrivata viva durante lo sbarco, l’altra era già morta sul gommone, probabilmente per asfissia, perché come sapete i gommoni sono stracarichi. Molte delle persone salvate mostrano segni di torture e violenze sessuali, arrivano da Bangladesh, Nigeria e Siria, famiglie che sono scappate dalla guerra”, spiega il coordinatore di Medici senza Frontiere. Mille migranti saranno smistati in altre regioni italiane, mentre i restanti – tra cui i minori non accompagnati – resteranno in Campania.
***
Africa, all’Europa piace quella degli affari. Ma è scomoda quella che si muove libera
da IlFattoQuotidiano
L’Italia del G7 è la stessa dei C(ie). Da Taormina al Niger passando dalla Libia per terminare, per ora, nel Tchad di Idriss Deby, dittatore di lungo corso. Nell’interrato del suo palazzo presidenziale si torturano nemici e opponenti. Arriviamo nel settore col nostro bagaglio di esperienze. L’Europa è quella dei campi e dei centri di detenzione, di cui il nostro Paese riproduce a suo modo metodi e finalità. Nell’Africa del Sud i campi sono stati creati per prova fin dall’inizio del secolo scorso. Nel Sudafrica con gli inglesi e in Namibia coi tedeschi . Il nome di lager sarebbe poi diventato comune, riprodotto e sviluppato in coerenza coi principi del nazismo e del fascismo. Campi che si mutano in centri che si travestono in prigioni. Lo scopo dei quali non è altro che la commercializzazione del noto principio di soppressione dei poveri nel tentativo di cambiare la storia. Finalmente, col recente accordo di Roma, i centri di identificazione, eliminazione giuridica e deportazione, sono ormai parte integrante delle esportazioni italiane in Africa.
E dire che ora siamo tra i principali investitori europei in Africa. Addirittura i primi nel 2016, a credere nell’ultimo rapporto della società internazionale di servizi Ernst&Young sull’attrattività delle economie africane. Attraggono infatti i centri di detenzione sparsi nel Nord Africa, in Libia e prossimamente sugli schermi del Niger e del Tchad. Il valore degli investimenti citati è, a livello mondiale, dietro soltanto a Cina, Emirati Arabi Uniti e Marocco. L’Europa perde il pelo ma non il vizio. La colonizzazione si adatta ai tempi, si delocalizza ma sempre dalla stessa parte. Investe dove meglio crede e nel frattempo con-centra le sue esportazioni nelle aree più redditizie alle politiche di esclusione mirata degli intrusi del futuro. Che il rappresentante dell’Alto commissariato per i Rifugiati abbia denunciato le condizioni disumane nei centri libici non è che una conferma. L’eliminazione silenziosa degli eccedenti umani è fattibile solo se mantenuta a debita distanza. Nulla di nuovo, già con Gheddafi nel 2004, si vendevano a caro prezzo migranti e rifugiati.
Non ci basta aver circondato l’Europa di griglie e di fili spinati. Non è parso sufficiente aver imbastito reticolati di campi di identificazione, attesa provvisoria indefinita, prigioni d’altri tempi e hot spot. Il passo successivo, da tempo iniziato, non poteva che essere la globalizzazione del controllo. L’esternalizzazione dei campi, pardon, “centri” di raccolta, sistemazione, promozione ed eliminazione con rinvio al mittente. Ciò compone il quadro della politica migratoria europea e italica in particolare. Una vecchia storia davvero. L’esotica Africa, inventata, colonizzata, sfruttata, marginalizzata e infine arredata da luoghi di con-centra-mento, prossima meta di visite guidate per turisti in vena di emozioni umanitarie. Già Tony Blair nel 2003 aveva lanciato l’idea dei campi esterni all’Europa. Si trattava senz’altro della famosa terza via di cui si era fatto il consapevole portavoce. Col tempo le strategie di contenimento hanno portato i loro frutti ideologici. Lo stesso Romano Prodi, a nome dell’Europa, parlava di migranti “scelti, controllati e collocati”.
Va bene l’Africa degli affari e degli investimenti ma scomoda l’Africa che si muove libera. L’Africa invitata al G7 e l’Africa che si lascia comprare. Quest’Africa non è diversa da noi. Popolo che ha svenduto la Costituzione, la politica, il bene comune e la democrazia ai banchieri e faccendieri di interessi privati. Siamo nella gabbia degli armamenti, delle basi militari americane e del servizio militare in-volontario. Figli delle privatizzazioni che toccano il più sacro della vita, i nascituri e i nati diventati grandi e poi abbandonati come vuoto a perdere. Siamo conseguenti con lo smarrimento graduale e diffuso delle più comuni forme di umana convivialità. Esportiamo ‘campi’ che con-centra-no la più avvilente maniera di interagire con la diversità e mutilano “il viaggio della speranza” che pure a suo tempo abbiano noi stessi intrapreso. Loro siamo noi, perché corresponsabili dei misfatti che hanno distrutto la Libia, l’Irak, l’Afganistan e la Siria. Rei mai confessi della vendita di armi che uccidono e creano profughi. Complici coscienti di accordi economici che strozzano le economie locali. Noi siamo loro, quando un giorno busseremo alla loro porta.
mauro armanino, niamey, maggio 2017