[Firenze] La scienza e la guerra: presentazione di un corso sul “Manifesto Programma del (nuovo)PCI” e del numero 55 de “La Voce del (nuovo)PCI

Il 13 maggio a Firenze, alla casa del popolo di Peretola, c’è stata l’iniziativa di presentazione del corso che si terrà a giugno sul Manifesto Programma del (nuovo)PCI [MP, N. d. R.][1] e del numero 55 de La Voce del (nuovo)PCI, pubblicato nello scorso mese di aprile [VO55, N. d. R.].. Il segretario della Federazione toscana del P.CARC ha introdotto l’iniziativa, che rientra in quelle condotte nel mese in regione, il cui tema è la tendenza alla guerra. Ha informato di una iniziativa con Silvia Baraldini, sulle Pantere Nere degli USA, il 19 maggio, in questa sede.

Scienza e guerra

La prima relazione è del compagno del Centro di Formazione [CdF, N. d. R.] del Partito incaricato di presentare e di condurre il corso sul Manifesto Programma del (nuovo)PCI. Questa di cui tratta è materia nuova, dice: parleremo di scienza e guerra, due argomenti che secondo convinzioni fissate in millenni sembra abbiano molto poco in comune, per cui se uno è scienziato non è guerriero, e viceversa.

Il Manifesto Programma del (nuovo)PCI scrive:

“Il comunismo è il movimento dell’intera umanità che si trasforma in modo da porre alla base della sua vita economica il possesso comune e la gestione collettiva e consapevole delle sue forze produttive da parte dei lavoratori associati. La realizzazione di questo obiettivo implica la trasformazione non solo dei rapporti di produzione, ma anche di tutte le relazioni sociali e quindi anche dell’uomo stesso, la creazione di un “uomo nuovo” per i suoi sentimenti, per la sua coscienza, per il modo di gestire se stesso e le sue relazioni.”[2]

La cultura della classe dominante spaccia la costruzione degli uomini e delle donne nuove come indottrinamento, come costrizione di tutti a pensare allo stesso modo, come una astrazione che sta in testa ai comunisti, una cosa che loro pensano possibile ma non accadrà mai e perciò può pure accadere che attuino ogni crudeltà e infamia per obbligare gli esseri umani a corrispondere ai loro modelli. [3]

Noi quindi dobbiamo rendere questa astrazione concreta, un “concreto di pensiero”. Per fare questa operazione, dobbiamo prendere il concetto astratto e scomporlo nelle sue parti costituenti e magari tra loro opposte.[4] In questa occasione noi parliamo di cose opposte, cioè della scienza, di cui parleremo nel corso sul MP, e della tendenza alla guerra, della guerra di sterminio della borghesia imperialista contro le masse popolari, e della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata, cose di cui si parla in questo numero di La Voce del (nuovo)PCI che presentiamo. Parliamo quindi di come si formano o si sono formati uomini e donne nuovi che combinano in sé la capacità finora ritenute opposte di essere scienziati e di essere guerrieri.

Questa combinazione è un “pensiero concreto”? In effetti, è anche un fatto concreto: il movimento comunista ha già visto all’opera uomini nuovi, teorici e dirigenti di armate, come Stalin[5] e Mao Tse tung. Il relatore ricorda qui l’esempio di Pasquale Abatangelo, dei Nuclei Armati Proletari, uno capace di usare le armi da professionista, che ha scritto una autobiografia[6]. Quando l’ha presentata in una libreria di Firenze c’è chi si è meravigliato di quanto fosse bravo nello scrivere, perché secondo la cultura dominante che si sappiano usare insieme le armi e gli strumenti dello scrivere è strano, ma nel movimento comunista questo accade (e accadrà). Abatangelo imparò (tra le altre cose) l’italiano alla scuola che i rivoluzionari prigionieri istituirono nel carcere dell’Asinara, Teresa Noce, del primo PCI, che fu, tra le altre cose, capo dei partigiani italiani nella Francia occupata quando facevano saltare in aria i locali frequentati dagli ufficiali nazisti, da analfabeta che era diventò capace di scrivere libri “che conquistano la mente e il cuore”, come la sua autobiografia dal titolo Rivoluzionaria professionale. [7]

Per fare la guerra e per vincerla, ha continuato il relatore, ci vuole scienza, e questa scienza è stata elaborata dalla Carovana del (n)PCI. Nel numero della rivista di cui stiamo parlando leggiamo che “con Rapporti Sociali per la prima volta i comunisti di un paese imperialista hanno posto la teoria comunista alla base della fondazione del partito comunista…”[8]. Per un movimento rivoluzionario ci vuole una teoria rivoluzionaria, e questa è una legge che Lenin per la prima volta ha enunciato e di cui ha dato dimostrazione con la vittoria del movimento che ha portato alla Rivoluzione d’Ottobre. Noi che oggi abbiamo questa teoria possiamo fare, per la prima volta, la rivoluzione socialista in un paese imperialista come l’Italia. Questa è la logica che il relatore ha esposto.

Il corso sul Manifesto Programma del (nuovo)PCI

La scienza di cui parliamo, continua il compagno, è tale solo se è fatta propria da strati via via più ampi delle masse popolari, altrimenti non è scienza: infatti è metodo per fare la rivoluzione socialista, e la rivoluzione socialista è fatta grazie alla partecipazione cosciente delle masse popolari. Sono sempre state le masse popolari a fare la storia, e la differenza con il passato è che iniziano a esserne consapevoli e ad agire di conseguenza. Perciò il P.CARC fa questi corsi: per diffondere e divulgare la scienza elaborata.

Il relatore specifica che il contenuto di questo libro è condiviso dal P.CARC, e che perciò il Partito lo usa, ma che non è un libro del P.CARC. Come dice il titolo, è scritto dal (n)PCI. Si tratta infatti di teoria rivoluzionaria, e la classe dominante non consente in alcun modo che si sviluppi una teoria funzionale al suo rovesciamento ed efficace. Impedisce anzi questo sviluppo con ogni mezzo. La teoria quindi si sviluppa grazie a una organizzazione clandestina, quale il (n)PCI è, e non è, invece, il P.CARC.

Il relatore spiega quindi come è fatto il libro. Si tratta di un manuale di materialismo dialettico, cioè esposizione di una filosofia che riconosce la realtà del mondo, una realtà oggettiva indipendente e regolata da leggi indipendenti dalla nostra coscienza, e quindi anche dalla cattiva coscienza della borghesia, e per questo è materialismo, ma è anche dialettico, perché spiega come possiamo trasformare la realtà. Il libro quindi è distinto in una parte in cui si spiega la situazione oggettiva in cui siamo e una in cui si indicano i compiti da svolgere. Nella prima parte, poi, la situazione è descritta come termine della storia del mondo e della storia della penisola in cui abitiamo. Nella seconda parte è scritto cosa fa il (nuovo)PCI e cosa verrà fatto quando l’Italia sarà un paese socialista.

Lo si studierà leggendolo insieme ad alta voce. Questo metodo è il migliore per la comprensione del testo da parte di un collettivo e in dettaglio. È un testo imponente, nel senso che si occupa della storia dell’umanità dall’inizio della divisione in classe e delle prospettive future dal punto di vista economico, politico e filosofico, quindi lo studio si articola una serie di sessioni il cui numero e durata è stato fissato nel corso dell’esperienza.[9]

Il numero 55 de La Voce del (nuovo)PCI

Il segretario federale del P.CARC della Toscana inizia parlando della guerra di sterminio non dichiarata della borghesia imperialista contro le masse popolari, e dei tanti morti che essa provoca tramite il degrado economico, politico e sociale. Le nascite sono precipitate a livelli dei periodi bellici, come confermano gli ultimi rilevamenti dell’ISTAT, al periodo della prima guerra mondiale, della prima guerra di indipendenza. Cita un caso come quello di Ubi Banca,[10] che prevede un taglio del personale di alcune migliaia di persone, mentre ha un bilancio in positivo di decine di milioni di euro. È per comprendere contraddizioni come questa che serve la scienza di cui VO55 parla a più riprese.

VO 55 si divide in tre parti. In una prima parla della situazione oggettiva e in una seconda di quella soggettiva (la terza è la riproduzione di un testo di Stalin molto utile per chi oggi è impegnato nel promuovere le condizioni per un governo di emergenza fondato sulle organizzazioni operaie e popolari. La situazione oggettiva è determinata dalla crisi, che genera una situazione rivoluzionaria in sviluppo, una situazione in cui le condizioni devono necessariamente cambiare. Le vie sono o la mobilitazione reazionaria o quella rivoluzionaria delle masse popolari, due vie ancora aperte. Ci sono le condizioni perché i comunisti possano prevenire la mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

Tendenza alla guerra, dice, significa che la borghesia imperialista promuove la guerra contro le masse popolari, distruggendo i mezzi di produzione, l’ambiente, le conquiste delle masse popolari. È anche guerra tra gruppi imperialisti. È anche la guerra che le masse popolari devono condurre contro la borghesia imperialista. VO55, insomma, parla della guerra e delle parti (delle classi) che si stanno scontrando, degli esiti possibili, del modo in cui la classe operaia può vincere.

Esperienze e domande

Una compagna del Partito di Firenze che ha fatto due volte il corso sul MP racconta la sua esperienza. La prima volta che lo fece non era convinta che fosse la panacea di tutti i mali e che potesse cambiare la vita. La panacea effettivamente non lo è, ma la vita la cambia: racconta dei passi avanti e dei passi indietro, delle crisi profonde che ha attraversato. Una volta che si capisce come stanno le cose le cose poi uno può fare quello che vuole, dice, ma non può più fare finta di nulla. Lei, che fu dirigente a livello regionale del Partito, durante le fasi critiche di cui ha parlato diede le dimissioni, ma comprese che da sola non andava da nessuna parte. Con questa sua affermazione, infatti, esprime una legge della teoria rivoluzionaria: mentre ciascun borghese ha potere in relazione alle risorse che ha (in forma di denaro, di relazioni politiche e sociali, di cultura), un proletario individualmente non conta nulla, e soltanto nel collettivo, e in massimo grado nel partito, realizza le sue aspirazioni sul piano materiale e spirituale (basti considerare il caso più semplice dei lavoratori che per ottenere qualcosa dai padroni devono unirsi).

La compagna ha capito che non è importante il corso, ma cosa uno decide di fare dopo che lo ha terminato. Un corso sul MP è effettivamente una esperienza esaltante, conclude.

Un compagno candidato in una sezione del Partito a Massa ha già fatto quattro o cinque corsi sul MP. Si tratta di materie che bisogna leggere e rileggere, e di cui abbiamo padronanza solo quando lo sappiamo spiegare, dice. Ultimamente ha preso parte ad alcune sessioni di un corso a Massa cui hanno partecipato operai, ed è stato interessante vedere in loro, uomini adulti, un entusiasmo come quello dei bimbi.[11] Lui pensava che certi concetti potessero essere considerati vecchiume, come li presenta la cultura borghese, o magari per pochi, mentre quegli operai li hanno fatti loro, dicendo come tramite essi comprendevano le relazioni e le contraddizioni nei loro luoghi di lavoro e nella realtà in cui vivono. Lui frequentò l’Università Popolare a Parigi, che fu tenuta da Giuseppe Maj, membro del (nuovo)PCI che era stato imprigionato e quindi costretto agli arresti domiciliari, e che colse l’occasione del domicilio coatto per un corso di economia, politica, storia e filosofia. Quegli studi e quelli fatti nei corsi successivi hanno alimentato in lui una grande curiosità sulla storia del nostro paese, dice.

L’episodio che il compagno racconta su Maj mostra come questo dirigente abbia colto ogni occasione, anche quella dell’imprigionamento, per studiare e organizzare lo studio.[12] L’insistenza sulla necessità di studiare e di diventare scienziati da parte del (n)PCI è data dal fatto che l’unico scienziato possibile, oggi, è un soggetto collettivo, cioè il partito comunista, dove la classe operaia trova il suo centro studi, il suo laboratorio, la sua università e quant’altro. La borghesia non solo non produce alcun risultato in campo scientifico, ma ostacola chi cerca di ottenerne.

Nel periodo della sua ascesa la borghesia produsse una teoria dei rapporti economici e in generale dei rapporti sociali, scientifica per quanto l’orizzonte degli interessi borghesi lo permetteva: l’economia politica classica. I maggiori esponenti furono Adam Smith (1723-1790), David Ricardo (1778-1823), Thomas Robert Malthus (1766-1834). Quando la borghesia entrò nella fase del suo declino e dovette lottare non più contro le forze feudali superstiti, ma contro la classe operaia in ascesa, la sua produzione nel campo delle scienze sociali si inaridì. La sua “scienza sociale” si ridusse a descrizione empirica, a teoria della gestione delle aziende e dei mercati, ad esaltazione o deplorazione della società esistente e a mascheramento dei reali rapporti sociali: economia politica volgare, economia politica marginalista, sociologia, ecc. La borghesia non poteva più andare a fondo nel chiedersi il perché dello stato delle cose esistente.”[13]

Questo ridurre la scienza a “gestione dell’esistente”, aggiungo qui, si manifesta in ogni occasione in cui abbiamo a che fare con soggetti che si riuniscono e parlano e vogliono che si parli solo di questioni organizzative, cercando di schiacciare ogni richiesta di discutere delle questioni di principio e ogni critica come “ideologia” in senso negativo, astrazione, di cui “ai lavoratori nun gliene po’ fregà de meno”, come ebbe a dire Sergio Cararo, giornalista della Rete dei Comunisti, in una assemblea a Napoli, lo scorso 12 gennaio.

Il compagno di Massa chiude il suo discorso dicendo che il libro è un buon strumento contro chi denigra gli italiani (“gli italiani sono per natura individualisti, vili, ignoranti, fascisti, berlusconiani, renziani, ecc.) perché è un inno alla classe operaia del nostro paese. In realtà, ricorda il compagno del Centro di Formazione, il testo esalta il ruolo delle popolazioni che hanno abitato la penisola risalendo indietro nei millenni.

Alcuni, in campo borghese ma anche nel movimento comunista, hanno dato e danno una spiegazione razziale, geografica, climatica e comunque “naturale” dell’arretratezza e della “anomalia” del nostro paese rispetto agli altri paesi capitalisti europei. Queste spiegazioni, varie e apparentemente scientifiche, di un fatto reale, sono tutte disfattiste rispetto al movimento comunista che propone alle masse popolari di mettere fine alle piaghe storiche del nostro paese. Esse sono prive di ogni fondamento scientifico. Esse sono smentite dal ruolo universale di avanguardia che per la seconda volta nella sua storia il nostro paese ha avuto nel Rinascimento e dalla spiegazione scientifica dei fattori sociali della sua successiva decadenza. [14]

Un compagno di Prato dice di avere già letto il libro, ma con la lettura collettiva ha iniziato a comprenderlo più a fondo. Il libro, inoltre, non è produzione di un genio della scienza o di un individuo di intelligenza particolare, ma sintesi di una prassi collettiva, e il corso serve a legare la parola scritta alla pratica della lotta di classe. Tutto questo, poi, serve a riprendere la pratica a un livello superiore, è, cioè, strumento per fare meglio quello che si sta facendo, come nel caso di questo compagno, il quale sta costruendo una associazione di immigrati e autoctoni che mette al centro la questione del lavoro utile e dignitoso, e di recupero di zone abbandonate e lasciate al degrado.

Il compagno riconosce che mettendosi a confronto con la concezione che il testo spiega significa affacciarsi su una terra nuova, e questa è una cosa che mette in difficoltà. Lui è nato negli anni ’80 dello scorso secolo, e negli anni ’90, quando ha cominciato a riflettere sul mondo in cui viveva, ha trovato un movimento comunista frammentato e frantumato.

Il segretario federale toscano gli parla della prima ondata della rivoluzione proletaria,[15] e di quante conquiste ha prodotto in Italia. Il MP è ricco, gli dice, perché non è prodotto di un individuo, ma è sintesi di una esperienza storica che è iniziata nei primi anni ’80 e che ha fatto un bilancio di quella prima ondata. La domanda era: “La regressione del primo movimento comunista significa che il comunismo non è possibile?” Il gruppo di persone di cui parla si è messa a studiare, e ha cercato di capire perché non si era riusciti a fare la rivoluzione nei paesi imperialisti. Ha elaborato una scienza. Perché però nonostante questa elaborazione questo gruppo, la Carovana del (n)PCI,[16] è ancora piccola? La ragione sta nel fatto che per fare la rivoluzione ci vogliono comunisti e comuniste adeguati al compito, e che per formare tali “uomini e donne nuovi” ci vuole tempo, e bisogna sperimentare, e facilmente si sbaglia, perché è un terreno nuovo.

Oltre a questo, aggiungerà più oltre il compagno del Centro di Formazione, c’è la difficoltà del fatto che parecchi si ritengono “comunisti bell’e fatti”, dotati di intelligenza e di coraggio sufficienti a fare qualsiasi rivoluzione. Molti di essi sono anche in buona fede. Quando si chiede loro perché, allora, non l’hanno ancora fatta o non la fanno (parecchi di loro non dedicano alla cosa alcun impegno e alcun euro ed esprimono quello che pensano su Facebook, WhatsApp e altro, pensieri soprattutto di frustrazione e ira), rispondono che è perché le masse popolari non li seguono. Una linea distintiva per capire se si è comunisti o meno, in effetti, non sta tra l’essere coraggiosi o vili, intelligenti o stupidi, colti o ignoranti, fedeli alla storia o traditori, ma tra chi pensa di essere già adeguato all’opera (a fare dell’Italia un nuovo paese socialista) e chi sa di non esserlo, e quindi si mette alla scuola del partito per diventare tale. Tutto il processo è sintetizzato in VO55, dice il segretario federale della Toscana.[17]

Torniamo al compagno di Prato, che è nato a Piombino e quindi è nato e cresciuto in un ambiente dove il primo PCI ha avuto massima forza e potere. E’assillato dal revisionismo moderno, quello che prese la guida del partito dopo il 1956, con Togliatti. Intende l’inizio dell’antistalinismo, l’allontanamento dal marxismo leninismo, l’affermazione che “mai più ci sarebbero state guerre o rivoluzioni”, e tutti quegli altri aspetti che sono entrati a fare parte del senso comune, dice, che si sono estesi a livello capillare, che ingombrano la strada. Chiede: “Perché tutto questo è così radicato? E questo revisionismo, in definitiva, cos’è?”

Secondo il compagno del CdF una ragione per cui la concezione del mondo dei revisionisti è così radicata non è difficile da capire. Hanno preso la direzione del movimento comunista sessanta anni fa, e nella storia un periodo del genere è abbastanza lungo per fare abbastanza danno, soprattutto tenendo conto che si tratta di un periodo in un movimento come quello comunista che dura da centosettanta anni circa. Quanto al capire cosa è, e ai rimedi, la cosa richiede analisi di dettaglio: assicura che andremo a fondo della materia durante il corso. L’importante è non risolvere la questioni attribuendo la colpa del tutto a “chi ha tradito”. Traditori ce ne saranno sempre, ma il problema è nel saperli contrastare. È la sinistra del movimento comunista che si deve chiedere perché non è riuscita a farlo. Questo è un tema centrale che intendiamo portare come contributo alle discussioni che si terranno ad Amsterdam a settembre in celebrazione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre.[18]

Il segretario della sezione del Partito dei CARC di Firenze Rifredi parla del movimento carsico di cui aveva trattato il compagno di Prato, movimento del “nuovo che sta nascendo”.[19] Per lui il corso MP è cosa che ha fatto emergere cose sepolte sotto tonnellate di propaganda falsa. Lui lo ha fatto quando era operaio e ha visto come il MP mettesse le cose in ordine, in linea, il che per lui ha significato l’inizio di una crisi profonda, ma salutare. Lui si è avvicinato al P.CARC ma dopo 8 o 9 anni ancora non si fidava. Con la teoria esposta nel MP ha iniziato vedere la realtà.

Dice che nella Carovana del (nuovo)PCI si impara a pensare. Il padrone insisteva  perché pensasse solo a lavorare (non ci teneva nemmeno a che i lavoratori pensassero a come rendere il lavoro più semplice e produttivo. Non ha tuttavia molto chiara la differenza tra convincere ed esporre, di cui parlava il compagno del CdF.

Si riferisce al fatto che il compagno ha spiegato che il corso non ha la pretesa di convincere chi lo frequenta del fatto che ciò che il libro dice è vero. Il corso si dilunga perché i temi sono tali da richiedere tempo per essere compresi. Sono nuovi, in opposizione al senso comune. Abbiamo poi anche a che fare con studenti di livello scolare basso, e molti, anche di livello scolare alto, sono ignoranti della lingua italiana e della storia. Ci vuole quindi tempo per capire quello di cui stiamo parlando. Per credere che quello di cui stiamo parlando è vero serve un altro passaggio, un altro tipo di insegnamento, e un altro ancora serve per capire che quello di cui stiamo parlando è uno strumento per cambiare la realtà, o un’arma, come dirà il compagno di Massa. Qui sta la differenza tra esporre e convincere. Per la convinzione è necessario un movimento della volontà di chi ascolta. Si può studiare all’infinito, e dimostrare in infiniti modi che la rivoluzione socialista è possibile e che dipende da noi, ma che uno ci creda o no dipende da lui. Si può spiegare all’infinito e in infiniti modi cosa è l’acqua e come ci si nuota, ma sta a chi ci ascolta decidere di tuffarsi, e solo allora potrà capire di cosa stiamo parlando e se quello che diciamo è vero.[20]


Tutto questo, che riguarda in primo luogo i comunisti e le comuniste, e quanto si sintetizza con il termine “riforma intellettuale e morale”, su cui Gramsci ha dedicato scritti preziosi e ancora da scoprire, e che, in parole semplici significa comprendere che la rivoluzione è possibile e che sta a noi farla (aspetto intellettuale) e nel farla (aspetto pratico, che investe la morale).

In effetti, dice il compagno di Firenze, si fa presto a parlare di rivoluzione e di socialismo, ma bisogna poi dire come si fa a fare tutto questo. Ne approfitta per parlare di un’altra idea assai diffusa, anche tra quelli che si dichiarano rivoluzionari e comunisti, i quali ultimi dichiarano che la rivoluzione non si può fare perché il nemico è onnipotente, cioè, detta in altri termini, perché il nemico non ce lo consente. Premessa a questo è l’idea è che questo nemico sia un soggetto che ha pienamente controllo della situazione, che ha un piano per mantenere il dominio, e non cade foglia che lui non voglia.

Tutto questo non può essere, spiega il compagno del CdF. La borghesia imperialista è composta da miriadi di individui, ciascuno dei quali ha una propria mira, cioè fare il proprio interesse, e una propria idea a ciò finalizzata. La classe borghese quindi non ha una visione unitaria della realtà e quindi non può avere un piano. L’azione dei molti ciascuno dei quali ha come obiettivo il proprio fine individuale, nella storia ha prodotto oggettivamente un progresso generale, ma oggi produce solo disastri. A chi crede che la borghesia è onnipotente chiedete perché non sistema le cose in modo che spariscano guerre, miserie, inquinamento e tutte le devastazioni che la crisi che avanza produce. È più facile che risponda il papa, secondo il quale tutto questo succede per opera del demonio. La borghesia non è onnipotente, e perciò sarà sconfitta dal movimento comunista, che a differenza di lei ha elaborato una scienza, attorno alla quale si forma il partito, una visione unitaria della realtà, grazie alla quale si lega alle masse popolari e lega le masse popolari tra loro. Tutto ciò la borghesia nemmeno lo comprende, e per lei e per i suoi intellettuali noi siamo pazzi, anzi “scienziati pazzi”, perché pensiamo con la scienza di iniziare la costruzione di un mondo migliore, nuovo e luminoso, quello che loro non considerano possibile, perché per loro sempre ci saranno gli sfruttati, che soffriranno, così come pensano in definitiva i preti. Noi siamo altro. La compagna che è intervenuta per prima ha spiegato come il percorso che facciamo è difficile e scabroso, ma gli orizzonti che si aprono davanti a noi bisogna vederli per capire di che genere sono la luminosità e la trasparenza che si offrirono agli occhi di chi, prima di noi, ha parlato di sole dell’avvenire.

Altre questioni sono state poste, e su ciascuna abbiamo individuato risposte o abbiamo pianificato di rispondere in dettaglio durante il corso. Il segretario federale della Toscana ha concluso dicendo che queste tematiche vanno trattate con metodo scientifico, e il corso è un modo per farlo. Nel prossimo mese e mezzo il corso si intreccia con una serie di iniziative che sono legate come filo conduttore alla tendenza alla guerra, che è anche tendenza della classe operaia a organizzarsi per la guerra. Noi promuoviamo la partecipazione integrale al corso ma ogni interessato può informarsi per partecipare a qualche sessione.[21]

[1] Manifesto Programma del (nuovo)PCI, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2004.

[2] MP, p. 82.

[3] In letteratura, le opere più famose al riguardo sono quelle di Aldous Huxley (Il mondo nuovo, 1932) e di George Orwell (1984, 1949)

[4] Vedi al riguardo Marx-Engels, Introduzione ai Lineamenti fondamentali (Grundrisse) di critica dell’economia politica, in Opere Complete, Editori Riuniti 1989 – vol. 29 pagg. 33-41, e La Voce del (n)PCI, n. 51, pagg. 12-13.

[5] Stalin secondo la cultura dominante è considerato tutto fuorché un teorico: lo si presenta anzi come un dittatore feroce che elimina gli avversari e manipola le masse popolari, e lo si mette molto spesso a fianco di Hitler. Si usano categorie come la malvagità (sua) e la stupidità (delle masse popolari) inutili a fini della comprensione scientifica della realtà (possono semmai fare parte della concezione clericale del mondo). Il giudizio del (nuovo)PCI (e non solo), è differente. In VO55 si riporta uno scritto che sfata la propaganda borghese e clericale di Stalin tiranno e intollerante. Al contrario il lettore incontrerà in Stalin un dirigente, un maestro saggio e paziente. Certo uno scienziato, non un perdigiorno o un demagogo secondo cui “tutte le opinioni pari sono, ognuno ha diritto di tenersi le sue” (è il motivo ricorrente in tanti discorsi che si presentano come favorevoli alla “unità dei comunisti”). Ma è mai immaginabile che nel pieno di un’epidemia si pratichi la linea che “va bene qualunque cura”, che la cura del me- dico e quella del ciarlatano “pari sono”? Nella vita reale, chi agisce ha bisogno della verità, non di opinioni e la verità, se non la si ha ancora, la si cerca e la si verifica nella pratica. (VO55, p. 41)

[6] Correvo pensando ad Anna, Deapress, Firenze, 2017.

[7] Vedi al riguardo http://www.carc.it/2016/07/06/6858/

[8] La Voce del (nuovo)PCI, n. 55, marzo 2017, [da qui in poi VO55, N. d. R.], p.41.

[9] Già tra i cinquanta e i cento corsi di questo tipo sono stati condotti nelle principali città d’Italia.

[10] Vedi in http://www.carc.it/2017/05/11/italia-cosa-spinge-una-banca-in-attivo-a-licenziare-1569-persone/

[11] Alcuni di quegli operai sono stati protagonisti della lotta recente alla Rational di Massa, la cui importanza è diventata in breve arco di tempo di importanza nazionale. Vedi al riguardo http://www.carc.it/2017/04/30/aggiornamenti-dalla-rational-dai-passi-per-la-cooperativa-allassemblea-con-paolo-maddalena/.

[12] Questo è in linea con la storia di tutto il movimento comunista. Parlo soprattutto  di Gramsci, la cui produzione scientifica raccolta nei Quaderni del carcere è un contributo preziosissimo per chi è all’opera nella costruzione della rivoluzione nei paesi imperialisti. Sopra cito anche la scuola nel carcere dell’Asinara.

[13] MP,p. 259.

[14] MP. p. 282.

[15] La prima ondata della rivoluzione proletaria è un fenomeno mondiale che inizia con la Rivoluzione d’Ottobre. la sua ultima grande espressione è la Rivoluzione Culturale in Cina. Dagli anni ’70 dello scorso secolo inizia la seconda ondata della rivoluzione proletaria.

[16] Si chiama Carovana perché è un insieme di collettivi e individui che si sono messi in viaggio per un percorso di esplorazione in una terra dove nessuno è mai stato, cioè quella della rivoluzione in un paese imperialista che ancora è da farsi.

[17] VO55, pagg.26-34.

[18] The Continuing Validity of the October Revolution, 23 – 24 settembre 2017, organizzato dalla International League of People’s Struggle (ILPS) e da People’s Resource for International Solidarity and Mass Mobilization (PRISMM)

[19] Dato che non è evidente alla superficie, chi ha una visione superficiale delle cose non lo vede. È il caso dei dirigenti della Rete dei Comunisti che insistono nel fare convegni e scritti sul “nuovo che non può nascere”. Vedi in http://contropiano.org/documenti/2016/12/15/vecchio-muore-non-puo-nascere-ad-un-passaggio-fase-storica-087042.

[20] Abbiamo casi, e non pochi, di chi nega la rivoluzione anche quando è in atto e quando è avvenuta, come don Ferrante nei Promessi Sposi negava l’esistenza della peste a Milano, in quanto non corrispondeva alle coordinate dei suoi pensieri, e così facevano i governanti di Milano di quegli anni, per nascondere la situazione al popolo. I dogmatici come Ferrante non capiscono la rivoluzione se non corrisponde allo schema che hanno in testa, e i borghesi, per i quali la rivoluzione è peggio della peste, considerano un impegno prioritario negarne la possibilità e l’esistenza.

[21] Per informazioni sul programma, si può chiamare il docente (Paolo Babini) al numero 3314381531.

 

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