Presentazione de Il proletariato non si è pentito[1] a Ponticelli, Napoli
Il saluto del compagno Ulisse, segretario generale del Comitato centrale del (nuovo)Partito comunista italiano
La relazione del compagno Ciro Iacomino, segretario della sezione Napoli Est del P.CARC
L’intervento di Luigi Sito, presidente del Sindacato Lavoratori in Lotta
Parliamo ancora della seconda presentazione in Italia de Il proletariato non si è pentito che si è tenuta a Ponticelli (Napoli) il 24 aprile.[2] Così come in occasione della prima presentazione, nel dicembre scorso, il compagno Ulisse del (nuovo)PCI ha mandato un saluto agli organizzatori dell’iniziativa. Il Centro di Formazione del P.CARC riporta informazioni sull’iniziativa e su questo libro, per ragioni che vengono spiegate nei saluti del (nuovo)PCI e in altri testi: bisogna impiegare risorse nella formazione, nella ricerca scientifica, nello studio, anche per l’esperienza più avanzata della lotta di classe che si è espressa negli anni ’70 e ’80, quella delle Brigate Rosse, di cui questo libro tratta.
Il Centro di Formazione del P.CARC ha contribuito a costruire l’iniziativa a Ponticelli perché serva a imparare e insegnare a essere rigorosi nel pensare, come Ulisse in questo suo saluto. Vedremo infatti, leggendo il libro, come la borghesia imperialista, oltre ad assassinare, imprigionare e torturare compagni e compagne, impiegò grandi risorse per diffondere tra il proletariato e le masse popolari diversione, confusione, falsificazione sul piano intellettuale e morale, usando allo scopo Antonio Negri e vari dissociati di varie organizzazioni. Leggendo gli scritti dei dissociati dell’epoca, impareremo quanto è importante imparare a pensare in modo rigoroso e scientifico, e che imparando a farlo acquistiamo un’arma decisiva per vincere la guerra contro la borghesia imperialista.
Nel suo saluto, che riporto di seguito, Ulisse sottolinea, dunque, che imparare a pensare è difficile, ma possibile e necessario, che bisogna pensare in modo rigoroso, che nel Partito si impara a farlo e si insegna a farlo.
Il saluto del compagno Ulisse, segretario generale del Comitato centrale del (nuovo)PCI
20 aprile 2017
Alla Sezione Vittorio Agnino – Napoli Est del P.CARC
Cari compagni,
ringrazio i dirigenti della Sezione Vittorio Agnino – Napoli Est del Partito dei CARC, che ci hanno invitato e dato la possibilità di parlarvi. Ne approfitto per illustrare perché noi riteniamo molto utile studiare e far conoscere Il proletariato non si è pentito.
Questo libro mostra che lo Stato della borghesia italiana, fin dalla sua costituzione nel 1861, ha condotto contro le masse popolari italiane, a incominciare dai contadini del Meridione, un’incessante opera di repressione feroce, senza farsi scrupolo di violare le sue stesse leggi. Esso quindi educa all’odio di classe e alla lotta di classe. La presentazione di questo libro che denuncia la repressione cade nel momento giusto. Siamo alla vigilia della Festa della Liberazione, il 25 aprile, anniversario della vittoria dei Partigiani sui fascisti e sui nazisti e non lontano dal 1° Maggio, Giornata Internazionale della lotta dei lavoratori contro i loro sfruttatori. Due giornate che ora la borghesia e la sinistra borghese cercano di far passare come feste di tutte le italiane e gli italiani: sfruttati e sfruttatori, proletari e capitalisti, eredi dei partigiani e seguaci dei fascisti, tutti insieme. Questo libro illustra bene che la miseria, l’ignoranza e tutte le altre le disgrazie delle masse popolari italiane, sono dovute principalmente ai signori italiani. Insegna quindi che se signori di altri paesi, in particolare se gli imperialisti americani con la NATO devastano il nostro paese e lo usano come base per l’aggressione di altri paesi, lo fanno con il consenso, la collaborazione e il servilismo dei capitalisti e del clero italiani. Insegna che l’amore per gli oppressi e gli sfruttati, per le donne angariate e gli immigrati, per i bambini delle masse popolari italiane, senza odio contro gli italiani che li sfruttano e opprimono, diventa compassione, carità e misericordia: cose con cui preti e signori nascondono i loro crimini. Insegna che dobbiamo regolare i conti con i capitalisti italiani.
Ma sarebbe sbagliato limitarsi a questo motivo, sarebbe addirittura fuorviante. È infatti molto diffusa l’idea che la borghesia è riuscita a mantenersi al potere e a sconfiggere i movimenti rivoluzionari delle classi oppresse grazie alla repressione feroce e senza scrupoli. Questa tesi è assolutamente sbagliata, è una concezione disfattista. Se infatti fosse vera, nessuna rivoluzione sarebbe possibile: alle classi dominanti basterebbe reprimere abbastanza ferocemente per venirne a capo. E invece in altri paesi le rivoluzioni hanno vinto. Quest’anno è il centenario della vittoria della rivoluzione socialista in Russia, della Rivoluzione d’Ottobre che dette i natali all’Unione Sovietica e scatenò nel mondo la prima ondata della rivoluzione proletaria. Anche in Italia nel 1945 la Resistenza ha vinto e da lì è nata la Costituzione del 1948 con le sue misure e principi progressisti che poi i capitalisti e il clero hanno in gran parte scartato, aggirato o addirittura apertamente violato.
Ebbene questo libro fornisce molti documenti, specialmente nella seconda e terza parte, che mostrano che la borghesia riuscì a stroncare le Organizzazioni Comuniste Combattenti, e in particolare le Brigate Rosse, a causa delle deviazioni dalla concezione comunista del mondo dei loro dirigenti e militanti. È la principale lezione che noi comunisti abbiamo tratto dalla lotta di classe degli anni ’70. È grazie a questa lezione che abbiamo dedicato tante energie all’assimilazione del marxismo-leninismo-maoismo e che oggi insistiamo perché cresca il numero dei compagni che si impegnano ad assimilare la concezione comunista del mondo, crescano i corsi di formazione e crescano le iniziative di propaganda.
La rivoluzione socialista è possibile e necessaria, ma non scoppia: è una guerra che le masse popolari e in primo luogo gli operai fanno contro la borghesia. Ma le masse popolari sono in grado di farla solo se i comunisti formano un partito che conquista la fiducia delle masse popolari e sulla base di questo le dirige a lottare contro la borghesia fino a instaurare il socialismo. Le masse popolari, anzi l’umanità intera hanno bisogno del socialismo e del comunismo, ma è come una popolazione che ha bisogno di una casa per proteggersi dalle intemperie che montano sempre più forti da ogni parte: la casa non sorge perché ne hanno bisogno. Anche se in natura c’è tutto quello che occorre per fabbricarla, non basta: occorrono organizzazione, un progetto, un piano e una direzione. E la borghesia e il clero ricorrono a ogni mezzo perché le masse popolari non siano capaci di darseli: pensare per chi non è stato educato dall’infanzia a farlo è l’attività più difficile e faticosa per gli esseri umani. Ci vuole il particolare sforzo che ogni comunista individualmente fa e la particolare disciplina che si dà, più la scuola del Partito, per imparare a pensare al livello necessario per fare la rivoluzione socialista.
La combattività delle masse popolari cresce e si diffonde solo se esse si ritrovano con un centro che si è reso esso stesso, con la sua attività, in grado di coagulare e catalizzare il loro malcontento e incanalarlo verso un obiettivo giusto. Non è la combattività delle masse popolari che crea il centro (lo abbiamo visto in Italia nel Biennio Rosso, in Germania, in Austria e in vari altri paesi nella stessa epoca); è l’avere un centro che si è conquistato la loro fiducia che rende le masse popolari combattive. Ora è proprio un partito comunista autorevole, che è già centro di riferimento per le ampie masse e che indica una giusta via di lotta, quello che ancora manca nel nostro paese.
Creare un simile centro resta quindi il problema da risolvere. Ma è un problema risolvibile. Nessuno dei grandi partiti comunisti è nato grande, lo è diventato. Ebbene è quello che noi stiamo facendo con la linea del Governo di Blocco Popolare: ricostruire un centro autorevole perché conquista la fiducia delle masse popolari, che con un simile centro dispiegheranno i miracoli di combattività e di eroismo che hanno dispiegato in altre analoghe circostanze.
Il fattore chiave, determinante per fare con successo la rivoluzione socialista è, oggi come lo era ieri, un partito comunista che padroneggia e applica con creatività e abnegazione il marxismo-leninismo-maoismo, senza riserve né intellettuali né morali. Noi vogliamo essere questo e una scuola di formazione per tutti quelli che decidono di associarsi con noi. Arruolarsi è l’appello che rivolgiamo a ogni persona di buona volontà, a ogni lavoratore avanzato, a ogni giovane e a ogni donna generosi, capaci di dedicarsi a un’impresa difficile ma necessaria e quindi destinata alla vittoria.
Siate rigorosi nel pensare. La borghesia fa di tutto per distogliere le masse popolari dal fare la rivoluzione, pone mille ostacoli a che imparino a pensare. Ma non è in grado di impedire a noi comunisti né di pensare né di ispirare le masse popolari e mobilitarle per fare la rivoluzione socialista fino a instaurare il socialismo.
Il terreno è fertile e la stagione propizia per avanzare nella rivoluzione socialista.
È in questa prospettiva che a nome di tutti i membri del (nuovo) Partito comunista italiano auguro successo al vostro lavoro.
Compagno Ulisse, segretario generale del Comitato centrale del (n)PCI.
Note dalla relazione introduttiva del compagno Ciro Iacomino, segretario della sezione Vittorio Agnino del P.CARC.
Questa, ha detto il compagno Iacomino, è stata l’iniziativa politico/culturale che la sezione mensilmente, dall’inizio dell’anno, ha incominciato a inserire nel programma ordinario delle proprie attività aperte all’esterno e il cui tema conduttore è “Il nuovo Assalto al Cielo, a 100 anni dall’Ottobre”.
Ha detto poi che non era nostra intenzione fare una celebrazione nostalgica degli anni in cui in Italia sembrava che stesse scoppiando la rivoluzione, né concentrarci sul ricordo di compagni che ne furono protagonisti, come furono quelli delle Brigate Rosse.[3]
Il nostro intento principale è stato quello di rendere quella esperienza attuale, di analizzarla in modo concreto e vivo, e cioè esaltarne gli aspetti positivi e individuarne i limiti per avanzare oggi nella costruzione della rivoluzione nel nostro paese. Abbiamo voluto fare conoscere storia e bilancio degli anni ’70 a compagni e compagne più giovani perchè si rafforzino moralmente, prendendo esempio dei rivoluzionari che resistono nelle carceri imperialiste. Abbiamo voluto continuare a sviluppare la lotta ideologica nell’ambito delle forze che si rifanno al comunismo, contro le tendenze disfattiste ed attendiste, contro coloro che danno la lotta di classe per sconfitta e contro chi pensa che la rivoluzione sia una cosa che arriverà, e basta stare ad aspettarla, magari preparandosi all’evento. Queste sono deviazioni dal pensiero e dalla pratica del movimento comunista, e negli anni ’80, quelli su cui si concentra il libro, queste deviazioni, in particolare il disfattismo, furono fondamento della dissociazione.
Il libro tratta ampiamente della lotta contro il pentitismo e la dissociazione che in quegli anni si diffusero come un cancro tra le fila delle Organizzazioni Comuniste Combattenti, sconfitte, ha detto il compagno, non per la potenza del nemico di classe ma per ragioni di debolezza interna. Il compagno ricorda che oggi tra le file del movimento di resistenza operaio e popolare vi sono organizzazioni che si dicono comuniste ma che diffondono in mille salse disfattismo e attendismo: secondo loro “la rivoluzione socialista è necessaria e auspicabile, ma non abbiamo le forze per farla”, “la rivoluzione socialista scoppierà, prima o poi, ma non si sa dove, non si sa quando, non si sa come”, “non vi sono le condizioni per una rivoluzione socialista e chi lo afferma o è un pazzo o uno sbirro!”.
Chi afferma questo dice il falso, e chi ci crede sbaglia. Siamo invece in una situazione rivoluzionaria che si sviluppa in maniera crescente. Questa crisi, che è crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, pone condizioni oggettive che spingono allo sviluppo della rivoluzione socialista.[4] I gruppi imperialisti sono in sfrenata concorrenza l’uno contro l’altro e per questo hanno bisogno di rompere le regole del sistema economico-politico-sociale creato in Italia dopo la Resistenza. Hanno abbandonato la maschera “da volto umano” del capitalismo negli anni della crescita economica, durata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla metà degli anni ’70. Ora di “umano” non hanno altro da presentare che il gesuita Bergoglio, travestito da “povero” Francesco, dedito a spandere parole di misericordia ed elemosina. Intanto la Comunità internazionale degli stati imperialisti, di cui il Vaticano è componente integrale, manifesta il suo disinteresse verso la vita delle masse popolari e di tutti i popoli della terra, ne peggiora le condizioni, imponendo miseria e guerra, mentre strati ampi delle masse popolari e dei popoli rispondono con la mobilitazione continua e spontanea, lottano per difendere lavoro, diritti, scuola, sanità e ambiente.
Dove si deve indirizzare questa mobilitazione? Dipende da noi comunisti organizzati nei partiti,[5] da quanto sappiamo fare nostra, come arma, la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, da quanto impariamo così a essere dirigenti del processo rivoluzionario in corso.
Oggi la maggior parte delle forze che si dicono comuniste è alla coda del movimento di resistenza spontaneo della classe operaia e delle masse popolari. Si limitano al sostegno delle specifiche lotte, taluni scalpitando per qualificarsi come voce di quelle lotte nelle istituzioni borghesi, altri attendendo qualcosa che prima o poi, pensano, succederà.
Noi, dice il compagno, lottiamo per elevare la nostra concezione comunista del mondo attraverso lo studio del marxismo-leninismo-maoismo e per contrastare le tendenze disfattiste e attendiste. Senza di questo non si costruisce la rivoluzione: non c’è movimento rivoluzionario senza teoria rivoluzionaria, e nemmeno c’è senza una riforma intellettuale e morale dei comunisti. Il compagno esprime una verità sperimentata nel movimento comunista: i comunisti, se vogliono trasformare il mondo, devono trasformarsi. Lo dissero anche i compagni che scrissero, nel settembre 1981, ad Alberto Buonavita:
“… come dovresti sapere, la coscienza di un proletario, nella metropoli imperialista, non è candida come un giglio né rossa e comunista per natura, ma appare piuttosto come un campo di battaglia, un luogo di scontro e di lotta ideologica tra le classi.”[6]
Scrivono: “I meriti di ieri sono medaglie che servono poco, anzi nulla, e i nuovi compiti richiedono abilità tutte da conquistare.”[7]
Insomma, per costruire una nuova società dobbiamo diventare uomini e donne nuovi, e questo comporta scontro e sofferenze, come li comporta un parto. Chi non ha voluto farlo, dice il compagno, a Napoli è stato Massimo Amore, che non ha voluto assumere i nuovi compiti che richiede fare qualcosa di nuovo, mai fatto prima, e cioè la rivoluzione in un paese imperialista, e che ha lasciato il fronte di combattimento nel settembre del 2015.
Chi resta sul fronte a combattere, dirà dopo il compagno Paolo Babini, del Centro di Formazione del P.CARC, dal suo esempio può apprendere cosa significa non trasformarsi, mantenere vecchi limiti che prima gli hanno impedito di crescere e poi lo hanno corroso, può vedere che i “meriti di ieri”, se non si usano come terreno per avanzare, diventano pietre che ci trascinano a fondo.
Massimo Amore e i “meriti di ieri”
Il caso di Massimo Amore, ex dirigente della Carovana del (n)PCI, è istruttivo, e perciò è stato ed è oggetto di analisi e discussione a livello locale e nazionale. “Merito di ieri” di Amore è stato quello di dirigere le forze della Carovana del (n)PCI a Napoli. Amore però ha disertato[8] e le sue posizioni politiche odierne sono criticabili: doveva avanzare, e invece si è fermato, con quanto di negativo questo comporta sul piano intellettuale e morale a vari livelli, in forme varie riguardo il suo caso personale, i collettivi in cui opera, il contesto generale in cui vive.
Noi non ci contrapponiamo a lui come individuo. Combattiamo i limiti di cui è personificazione. I limiti che oggi sono visibili nell’opera che porta avanti sono espressioni di tendenze generali, e quindi presenti anche all’interno della Carovana. C’è chi pensa di essere già capace, adeguato allo scopo, di essere già un “buon comunista”, e chi invece sa che comunisti si diventa, e questo vale soprattutto per i comunisti dei paesi imperialisti. Infatti nei paesi imperialisti i comunisti non sono riusciti a fare alcuna rivoluzione, il che significa che non sono stati adeguati al compito, che devono rendersi tali, che si devono trasformare.
Amore si reputava e probabilmente si reputa adeguato allo scopo, e pensa che se la rivoluzione non c’è è perché non arriva, non perché lui non la costruisce. Chi ragiona e opera allo stesso modo, sia esso fuori o dentro il P.CARC, non va oltre il punto in cui lui si è fermato. È avanzato fino a quel punto, e fino a quel punto ha guidato le forze della Carovana, ma impersonava anche i limiti della Carovana, limiti che trenta anni fa erano di tutti noi, e cui egli non si è mai liberato.
Oggi le forze locali della Carovana del (nuovo)PCI devono avanzare oltre quei limiti, e riflettere sul caso di Amore solo come esempio per capire cosa significa fermarsi, restare in attesa della rivoluzione o seguire i disfattisti. Devono fare uno sforzo morale e intellettuale particolare per elevarsi oltre i loro limiti attuali. A Napoli esiste una classe operaia, esiste un vasto proletariato urbano disgregato, esiste un mondo intellettuale dominato dalla sinistra borghese ma anche con venature comuniste, esistono grandi risorse finanziarie, nelle campagne e regioni attorno (in particolare in Puglia e in Sicilia) esiste una radicata storia comunista. Quelli che tengono l’occhio fisso sul sottoproletariato e sulla malavita organizzata sono arretrati, influenzati dalla borghesia che in campo culturale adora il folklore e adora scandalizzarsene. Napoli, la Campania, il Mezzogiorno sono società ricche, con una attività culturale intensa e storicamente lunga: Tommaso Campanella, Giambattista Vico e altri napoletani e meridionali hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo della filosofia europea culminato nella dialettica di Hegel, la Repubblica Partenopea è stata un fenomeno unico e d’avanguardia nella confluenza della società italiana nella rivoluzione francese e Vincenzo Cuoco ne fu storico di grande scienza, il Regno delle Due Sicilie aveva raggiunto uno sviluppo agricolo e industriale di alto livello e Napoli ne era il centro (quindi formazione di un proletariato agricolo e industriale), Stanislao Cannizzaro è uno dei pochi italiani che figurano nei libri di chimica di tutto il mondo, Francesco De Sanctis e Antonio Labriola sono attori fondamentali dello sviluppo intellettuale italiano, i Fasci Siciliani, le Quattro Giornate sono eventi memorabili come le occupazioni delle terre, e il PCI a Napoli non è stato solo Amendola, Napolitano e il loro gruppo infame.
Compagni e compagne del P.CARC e delle altre forze della Carovana a Napoli hanno il compito di dare seguito a questo patrimonio, acquisire le capacità per farlo, e una chiave è quella di cui parla Ulisse nel suo saluto: imparare e insegnare a pensare con rigore, nel Partito e come Partito.
Note dall’intervento di Luigi Sito (Giggino) segretario generale del Sindacato Lavoratori in Lotta (SLL).
Il Sindacato Lavoratori in Lotta è uno degli organismi che ha dato grandi contributi alla Carovana del (nuovo)PCI. Il compagno inizia leggendo i versi di Brecht che sono a pagina 4 del libro di cui stiamo parlando.
I deboli non combattono. Quelli più forti
lottano forse per un’ora.
Quelli ancora più forti lottano per molti anni. Ma
quelli fortissimi lottano per tutta la vita. Costoro
sono indispensabili.[9]
Il compagno dedica questi versi a Vittorio Agnino, scomparso pochi mesi fa, un proletario che divenne comunista, e che fu tale fino al suo ultimo respiro. Infatti le sue ultime parole, rivolte a Giggino. sono state: “Noi vinceremo. Come siamo riusciti a vincere nelle lotte dei disoccupati a Napoli noi vinceremo e faremo dell’Italia un nuovo paese socialista.”
Il compagno Giggino, nel suo intervento, ha raccontato la storia del movimento di disoccupati di cui è stato protagonista e dirigente, a partire dagli anni di cui il libro parla. Sempre, dice, prestarono attenzione a quanto scrivevano compagni e compagne attivi nelle Organizzazioni Comuniste Combattenti. Studiarono quello che scrivevano, e da ciò presero anche orientamenti quando furono incitati a lottare per conquistare il lavoro. Da allora a oggi hanno sempre sentito affinità con quella esperienza. Racconta che invece i dirigenti dei disoccupati attivi a Napoli centro, quando avevano per le mani i documenti di compagni e compagne delle OCC li bruciavano. In effetti, due tendenze e due linee c’erano e ci sono rispetto all’esperienza delle OCC a Napoli, come dirà più oltre nel suo intervento il compagno Pino Guerra.
I compagni Guerra e Sito non intendono dividere i comitati dei disoccupati e soggetti politici operativi a Napoli negli ultimi trenta e più anni tra “tifosi delle BR” e dissociati. Distinguono tra chi ha espresso, rispetto alle BR, attenzione critica, e in ogni caso solidarietà contro la repressione, rispetto a chi fino dai tempi in cui è stato scritto Il proletariato non si è pentito, si è dissociato, e vedono la continuità tra chi ieri si è dissociato e oggi è tra gli attendisti e disfattisti, chi pretende di dirigere le masse popolari inducendo ad aspettare gli eventi o spargendo tra loro l’idea che la rivoluzione socialista è impossibile. Dissociazione, attendismo e disfattismo effettivamente sono espressioni di una stessa linea nel corso dei decenni, impersonata non sempre dagli stessi individui, ma talvolta sì.
Il compagno Giggino spiega che nei primi anni, quando si costituì l’organizzazione di lotta, la linea che orientava il movimento era quella degli attendisti e disfattisti. Un gruppo di noi, dice, una volta preso coscienza di ciò, indisse un’assemblea che espresse una nuova linea, e i disfattisti furono messi fuori dal movimento. La nuova linea prevedeva che il successo era possibile, che il lavoro si poteva conquistare e che bisognava lottare fino in fondo per farlo, e infatti vinsero. Ciò dimostrava che la strada imboccata dai disfattisti ed attendisti era sbagliata, e che era sbagliata la loro concezione. Ancora oggi, a distanza di trent’anni continuano su quella strada, dice, quando dicono che la rivoluzione socialista è impossibile[10] oppure, quando sono costretti ad ammettere che è possibile, e che magari sta arrivando, si mettono in attesa. Noi oggi abbiamo più chiaro cosa significa combattere contro la loro concezione, per la trasformazione del vecchio nel nuovo mondo.
Nel 2003, dice, come lavoratori aderirono al SIN.Cobas. Presero posizione a favore di un compagno espulso dalla CGIL, reo di aver dato solidarietà a un compagno di un organismo che si richiamava al nome e alla pratica delle Brigate Rosse, M. Galesi, morto in una sparatoria, e di M. D. Lioce che era stata arrestata. Era Valter Ferrarato, compagno del P.CARC, per il quale fecero un comunicato di solidarietà. La direzione nazionale del SIN.Cobas, con in testa il segretario, venne a Napoli per fare sì che ritirassero il comunicato. Non accettarono e il giorno dopo furono espulsi dal sindacato. Un anno dopo, nel 2004, nacque il SLL, l’anno stesso della nascita del (n)PCI. Non sa se fu una coincidenza, ma in ogni caso nel SLL sono orgogliosi di essere nati nello stesso anno di quel partito.
Dice che mai sono pentiti né sottomessi a una borghesia imperialista che vuole il monopolio della violenza, né intendono sottomettersi a quanto Giorgio Cremaschi ha chiesto a una assemblea a Roma, il 26 di marzo. L’episodio è descritto nel passo seguente:
Cremaschi dice: “per aderire a Eurostop il P.CARC deve dissociarsi dalla lotta armata”. Lasciamo perdere il fatto che a ogni occasione i “requisiti” per aderire a Eurostop sono cambiati e hanno avuto in comune l’unico aspetto di “non toccare la suscettibilità delicata dei dirigenti di RdC e di non mettere in discussione le loro decisioni arbitrarie”, per cui dopo un anno e mezzo di boicottaggi, viene fuori che il problema è la dissociazione dalla lotta armata. Il punto è: a quale lotta armata si riferisce Cremaschi? A quella in corso in Donbass contro i nazisti sostenuti da USA e UE? A quella in corso in Palestina contro i sionisti? A quella in Irlanda o nei Paesi Baschi? Di cosa sta parlando Cremaschi, di quale lotta armata? Facciamo opera di chiarezza nel fumoso aut aut di Cremaschi: intende la lotta armata che le Brigate Rosse e le altre Organizzazioni Comuniste Combattenti hanno condotto in Italia negli anni ‘70. Parla cioè di una forma di lotta specifica e precisa che ha caratterizzato la lotta di classe e il movimento rivoluzionario del nostro paese e di cui oggi non vi sono manifestazioni che non siano i rivoluzionari prigionieri, alcuni in carcere da decenni. [11]
Come si vede da ciò che dice Cremaschi, la questione della dissociazione è ancora all’ordine del giorno. Il compagno Giggino conclude cogliendo l’occasione per inviare il nostro saluto ai compagni delle Brigate Rosse ancora prigionieri, testimoni viventi della ferocia della classe dominante, ma testimoni anche della sua paura e della sua debolezza. Ci sono ancora rinchiusi più di 30 prigionieri delle BR. La solidarietà nei loro confronti, dice, è un dovere per chi vuole farla finita con gli sfruttatori che opprimono le masse popolari italiane.
La presentazione del libro, cui sono seguiti altri interventi di cui prevediamo di dare relazione, si è conclusa con una cena, il cui ricavato è andato al fondo per sviluppare la ricerca scientifica, [12] a cui ciascuno ha possibilità di contribuire con versamenti
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[1] Il proletariato non si è pentito, Autori vari, a cura di Adriana Chiaia, ed Rapporti Sociali, 2016 (2° ed.), vedi in http://www.carc.it/2016/11/10/il-proletariato-non-si-e-pentito-autori-vari-a-cura-di-ariana-chiaia/
[2] Ne parliamo in http://www.carc.it/2017/04/20/napoli-il-proletariato-non-si-e-pentito-e-uno-strumento-per-la-rinascita-del-movimento-comunista/
[3] Dobbiamo però tenere a mente che esistono ancora alcune decine di compagni e compagne ancora imprigionati e che resistono, e a essi manifestiamo la nostra solidarietà e promuoviamo la solidarietà delle masse popolari nei loro confronti.
[4] La definizione di questa come crisi generale di sovrapproduzione assoluta da capitale è stata una delle scoperte più importanti della Carovana del (nuovo)PCI, negli anni della sua origine, quando si costituì Coordinamento dei Comitati contro la Repressione, cui si deve la pubblicazione di questo libro, e che fu la prima aggregazione della Carovana a livello nazionale. La crisi, la cui fase terminale è iniziata nel 2008, cominciò nella metà degli anni ’70. Ne parlavano i rivoluzionari prigionieri al processo Moro il 17 gennaio 1983, come riportato in questo libro a p. 400: “L’attuale è crisi generale del Modo di Produzione Capitalista: è crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale, che si protrae da oltre un decennio.”
[5] In Italia i partiti comunisti adeguati allo scopo, cioè in grado di fare dell’Italia un nuovo paese socialista, sono due, uno clandestino, il (nuovo)PCI, e uno, il P.CARC, che opera pubblicamente, negli spazi di agibilità per i comunisti conquistati con la Resistenza e che la borghesia imperialista ancora non è riuscita a chiudere. La ragione per cui in Italia servono due partiti, cioè l’azione di due partiti è garanzia di successo, è spiegata in http://www.nuovopci.it/voce/comunicati/com2015/com.15.06.04.html.
[6] Lettera aperta ad Alfredo Buonavita che è stato brigatista, in Il proletariato non si è pentito, cit., p. 369.
[7] Ivi, p. 370.
[8] Vedi in http://www.nuovopci.it/voce/comunicati/com2015/com.15.10.20.html
[9] Colgo qui l’occasione per ricordare un altro indispensabile, Gianni Maj, scomparso il 3 aprile scorso. Vedi in http://www.carc.it/2017/04/30/saluto-a-gianni-maj-operaio-comunista-e-avanguardia-del-consiglio-di-fabbrica-della-philco/. Il fratello Giuseppe Maj lo ha ricordato con queste parole: “…ogni individuo prima o poi muore fisicamente, ma quello che resta è quello che ha fatto nella sua vita. Questo continua a vivere in tutti quelli che direttamente o indirettamente hanno avuto a che fare con la persona che si è spenta. Se, come nel caso di Gianni, si è spenta una persona che ha dedicato la parte migliore di se stesso e della sua vita alla lotta per il futuro dell’umanità, per aiutare l’umanità a porre fine all’epidemia che l’affligge, al sistema sociale capitalista che abbiamo ereditato dal passato, quello che lui ha fatto resta nel patrimonio dell’umanità.” Queste parole valgono anche per Vittorio Agnino. Spiegano cosa significa il continuare a vivere dopo la morte fisica secondo la concezione comunista del mondo.
[10] Il compagno si riferisce alle critiche da lui avanzate a Michele Franco, dirigente di Rete dei Comunisti a Napoli, con un comunicato scritto il 23 dicembre scorso, dove metteva in collegamento il comportamento di Franco negli anni ’90, quando invitava i disoccupati che dirigeva a lasciare la lotta, con le parole d’ordine di Rete dei Comunisti in un convegno di qualche giorno prima a Roma, dove i relatori insistevano sul fatto che “il nuovo non può nascere”, che, cioè, la rivoluzione socialista non è possibile.
[11] vedi in http://www.carc.it/2017/04/11/la-lotta-ideologica-il-dibattito-franco-aperto-e-lunita-delle-forze-rivoluzionarie/
[12] Vedi in http://www.carc.it/ricerca-scientifica/