Il 7 maggio del 1892 nasceva a Josip Broz Tito, il comandante che guidò, durante la seconda guerra mondiale, l’Esercito Popolare di liberazione della Jugoslavia nella Resistenza e liberazione dalle truppe naziste tedesche. Tito, in qualità di segretario del Partito Comunista, aveva lanciato nel maggio 1941 un proclama che invitava i popoli di Jugoslavia alla resistenza contro l’invasore nazifascista. Nell’estate del 1941 i partigiani di Tito conquistarono momentaneamente gran parte del territorio serbi, ma furono ricacciati in Bosnia dalle truppe tedesche. In Bosnia i gruppi di Tito si riorganizzarono e le formazioni partigiane arrivarono a contare diverse migliaia di combattenti di tutte le nazionalità. Così, i partigiani riuscirono a liberare un quinto del territorio nazionale e costituirono il Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (Avnoj), virtualmente il primo Parlamento del nuovo Stato, mentre l’armistizio del settembre 1943 vide accogliere nelle file dei partigiani iugoslavi interi battaglioni di italiani sbandati.
Alla fine del novembre 1943 venne costituito il Comitato di Liberazione Nazionale con funzioni di governo provvisorio, che approvò un progetto di Costituzione federale per la futura Jugoslavia, con ampio riconoscimento dei diritti dei vari gruppi etnici. La liberazione del paese progredì, fino alla liberazione di Belgrado nell’ottobre 1944, anche con il concorso delle truppe sovietiche. Seguendo l’esempio della Serbia pure le altre previste entità federali formano propri governi sulla base del CLN e le elezioni per la Costituente del novembre 1944 segnarono la vittoria del Fronte nazionale e la liquidazione della monarchia, che venne formalmente dichiarata decaduta dall’Assemblea nazionale. Mentre l’esercito popolare conduceva a termine l’ultima vittoriosa offensiva, i Consigli di liberazione della Serbia, della Croazia, della Slovenia e delle altre nazionalità e regioni, costituirono i rispettivi governi federali, e la Jugoslavia si proclamò “democratica e federativa”.
La Jugoslavia ha sempre avuto un ruolo contraddittorio all’interno della galassia dei paesi socialisti del ‘900. Uno dei punti di rottura di Tito e dei suoi seguaci con il Comintern nel 1948 fu rispetto al ruolo del partito di fronte alle strutture statali: a indicare l’attenuazione del ruolo del partito in Jugoslavia il partito comunista fu trasformato in lega dei comunisti. Quella di Tito fu certamente una posizione arretrata, tanto da essere indicato da Mao come non organico ai paesi socialisti di tutto il mondo, in un testo “La Jugoslavia è un paese socialista?”. Questa contraddizione fu affrontata in vario modo in vari paesi socialisti e segnò il passo dello sviluppo della prima ondata della Rivoluzione Proletaria. Per approfondire l’argomento consigliamo la lettura dell’articolo di Mao, contenuto ne Le Opere di Mao Zedong, pubblicato dalle Edizioni Rapporti Sociali e l’opuscolo Primi Paesi Socialisti sempre edito Rapporti Sociali.
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