Avvertenze. Pubblichiamo stralci di questo scritto di Lenin (scritto in tedesco nel dicembre 1916, estratto da Opere, vol. 23, traduzione rivista sull’originale – testo reperibile anche sul sito http://www.nuovopci.it – Classici del marxismo) considerando due differenze decisive: la Svizzera del 1916 non è l’Italia del 2017, nel 1916 la Prima Guerra Mondiale era già in corso e la Svizzera era neutrale, circondata da stati belligeranti. Tuttavia, differenze importanti a parte, le posizioni di principio sono questioni ideologiche decisive per il partito comunista e per il movimento rivoluzionario, nel 1916 come oggi, in Svizzera come in Italia.
Sottolineiamo qui, anche il passaggio finale sulla dialettica interna al partito socialdemocratico, esemplare sintesi dei motivi per cui nel movimento comunista la lotta ideologica è parte essenziale della lotta rivoluzionaria.
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Tra i socialdemocratici svizzeri di sinistra esiste una posizione unanime riguardo alla necessità di respingere, in rapporto alla guerra attuale, il principio della difesa della patria. Anche il proletariato, o quanto meno i suoi elementi migliori, sono orientati contro questo principio.
Sembra pertanto che sulla questione più scottante del socialismo contemporaneo in generale e del partito socialista svizzero in particolare esista la necessaria unità. Eppure, se si esamina il problema più da vicino, si finisce inevitabilmente per concludere che questa unità è solo apparente.
In realtà non c’è la minima chiarezza – e ancor meno unità – di idee sul fatto che chi si pronuncia contro la difesa della patria si pone per ciò stesso obiettivi eccezionalmente alti sia quanto alla concezione guida sia quanto all’attività rivoluzionaria del partito che proclama questa parola d’ordine, a patto, s’intende, che non si tratti di una dichiarazione a vuoto. Proclamare questa parola d’ordine diventa una dichiarazione a vuoto se ci si limita a proclamare il rifiuto di difendere il proprio paese, senza aver chiara coscienza, cioè senza rendersi conto di che cosa questo rifiuto implica, senza capire che tutta la propaganda, l’agitazione, l’organizzazione, in breve, tutta l’attività del partito deve essere radicalmente rinnovata, “rigenerata” (per usare l’espressione di Karl Liebknecht) e adeguata a compiti rivoluzionari di livello più alto dell’attuale.
Esaminiamo con cura e in dettaglio cosa significa rifiutare di difendere la patria, se lo consideriamo una parola d’ordine politica da prendere sul serio, che dobbiamo realizzare in concreto.
- In primo luogo, noi chiamiamo i proletari e gli sfruttati di tutti i paesi belligeranti e di tutti i paesi minacciati dalla guerra a rifiutare la difesa della patria. Oggi, attraverso l’esperienza di vari paesi belligeranti, noi sappiamo con assoluta precisione che cosa significa in realtà il rifiuto di difendere la patria nella guerra in corso. Significa negare tutti i fondamenti della moderna società borghese e minare alle radici il regime sociale vigente [perché la guerra attuale è il suo sbocco inevitabile e non è possibile non fare la guerra ma mantenere in vita la moderna società borghese]; questo non solo in teoria, non solo “in generale”, ma nella pratica, immediatamente. Ebbene, non è forse evidente che questo può farsi solo alla condizione non solo di essere giunti nel campo della teoria alla saldissima convinzione che il capitalismo è ormai pienamente maturo per essere trasformato in socialismo, ma anche di essere andati oltre e di ritenere che questa trasformazione, cioè la rivoluzione socialista, è realizzabile in pratica, immediatamente, subito?
Eppure, quando si parla del rifiuto di difendere la patria quasi sempre si trascura proprio questo punto. Nel migliore dei casi si riconosce “teoricamente” che il capitalismo è maturo per essere trasformato in socialismo, ma non si vuole nemmeno sentir parlare dell’immediato e radicale rinnovamento di tutta l’attività del partito per renderla adeguata ai compiti della rivoluzione socialista imminente!
Si obietta che il popolo non sarebbe ancora preparato!
Ma qui siamo di fronte a una incongruenza perfino ridicola. Delle due l’una.
O noi non dobbiamo proclamare il rifiuto immediato di difendere la patria, oppure noi dobbiamo svolgere o cominciare a svolgere immediatamente un’azione metodica di propaganda per la realizzazione immediata della rivoluzione socialista. Beninteso, in un certo senso il “popolo” è “impreparato” sia al rifiuto di difendere la patria sia alla rivoluzione socialista. Ma da ciò non consegue che noi abbiamo il diritto di rimandare per ben due anni – due anni! – l’inizio della preparazione sistematica della rivoluzione [Lenin si riferisce al periodo trascorso tra l’agosto 1914, quando iniziò la prima Guerra Mondiale e il dicembre del 1916]!
- In secondo luogo, cosa si oppone alla politica della difesa della patria e della pace sociale? La lotta rivoluzionaria contro la guerra, le “azioni rivoluzionarie di massa”. Così è riconosciuto nella risoluzione del congresso del partito tenuto ad Aarau del novembre 1915. Si tratta, senza dubbio, di una risoluzione eccellente, ma… ma la storia del partito dopo quel congresso, la sua condotta effettiva mostrano che questa risoluzione è rimasta sulla carta!
Qual è l’obiettivo della lotta rivoluzionaria di massa? Ufficialmente il partito non ha detto niente al riguardo e in generale non si parla affatto di questo problema. Si considera del tutto naturale o si riconosce apertamente che l’obiettivo [della lotta rivoluzionaria di massa] è il “socialismo”. Al capitalismo (o all’imperialismo) si contrappone il socialismo.
Ma questa posizione è assolutamente illogica (sul piano teorico) e priva di contenuto sul piano pratico. Illogica, perché troppo generale, troppo vaga. (…) Ma oggi non si tratta di contrapporre genericamente due sistemi sociali. Si tratta invece di opporre la pratica concreta della concreta “lotta rivoluzionaria di massa” ad un male concreto, cioè all’odierno rincaro della vita, all’odierno pericolo di guerra o alla guerra in corso.
Tutta la II Internazionale, dal 1889 al 1914, ha opposto il socialismo in generale al capitalismo e proprio a causa di questa “generalizzazione” troppo generica è arrivata al fallimento [nel 1914 i maggiori partiti aderenti alla II Internazionale accettarono di collaborare alla guerra agli ordini dei rispettivi governi]. Essa in effetti ha trascurato, non si è occupata del male specifico della sua epoca. Questo male è proprio quello che, quasi trent’anni or sono, il 10 gennaio 1887, Federico Engels indicava con le seguenti parole:
“… Un certo socialismo piccolo-borghese si è ricavato il suo spazio in seno allo stesso partito socialdemocratico e perfino nel suo gruppo parlamentare. Esso consiste in questo: si riconoscono giuste le concezioni basilari del socialismo moderno e l’esigenza del trapasso di tutti i mezzi di produzione in proprietà sociale, ma si ritiene e si dichiara che questa trasformazione sarà realizzata solo in un futuro lontano, tanto lontano che non ha alcuna influenza sull’attività pratica di oggi. In tal maniera per il presente si indirizzano gli uomini a un puro e semplice lavoro di rattoppatura sociale …” (F. Engels, La questione delle abitazioni, prefazione).
L’oggetto concreto della “lotta rivoluzionaria di massa” può consistere soltanto nelle misure concrete della rivoluzione socialista, non nel “socialismo” in generale.
I compagni olandesi nel loro programma, pubblicato nel n. 3 del Bollettino della Commissione socialista internazionale (Berna, 29 febbraio 1916), hanno indicato con precisione queste misure concrete: annullamento dei debiti dello Stato (del debito pubblico), espropriazione delle banche, espropriazione di tutte le grandi imprese. Invece quando da noi si chiede di indicare esattamente queste misure concrete, come hanno fatto i compagni olandesi, se si propone di inserire queste misure concrete in una risoluzione ufficiale del partito e di illustrarle metodicamente e nelle forme più popolari nell’agitazione e nella propaganda quotidiane del partito, nelle assemblee, negli interventi in Parlamento, nelle proposte di legge, si riceve sempre la stessa risposta dilatoria, elusiva e sostanzialmente sofistica: il popolo non è ancora preparato, ecc. ecc.!
Bene, se non è ancora preparato, il nostro compito è di iniziare subito questa preparazione e di portarla avanti inflessibilmente!
- In terzo luogo, il partito ha “riconosciuto” che occorre la lotta rivoluzionaria di massa. Benissimo! Ma è capace il partito di promuovere e dirigere una lotta rivoluzionaria di massa? Si sta preparando a questo compito? Studia questi problemi, raccoglie il materiale necessario? Crea organizzazioni e organismi adeguati? Discute questi problemi in mezzo al popolo, con il popolo?
Niente di tutto questo! Il partito continua ostinatamente e senza deviare d’un passo a procedere sulla sua vecchia carreggiata esclusivamente parlamentare, sindacale, riformista, legalitaria. Il partito continua a essere incontestabilmente incapace di promuovere e dirigere la lotta rivoluzionaria di massa. È chiaro e noto a tutti che il partito non si prepara affatto a questo compito. (…)
E allora?
Allora è assolutamente giusto dire che:
o le masse popolari svizzere patiranno la fame, una fame ogni settimana più terribile e correranno il rischio di essere coinvolte da un giorno all’altro nella guerra imperialista, cioè di farsi massacrare per gli interessi dei capitalisti,
oppure esse seguiranno il consiglio della parte migliore del suo proletariato, raduneranno tutte le loro energie e faranno la rivoluzione socialista.
La rivoluzione socialista? Un’utopia! Una cosa certo possibile, ma in un’“epoca lontana e praticamente non definibile”!
Questa rivoluzione non è più utopistica del rifiuto di difendere la patria in questa guerra o della lotta rivoluzionaria di massa contro questa guerra. Non bisogna farsi inebriare dalle proprie parole né spaventare dalle parole degli altri. Quasi tutti sono pronti ad accettare la lotta rivoluzionaria contro la guerra. Ma si deve pur immaginare l’immensità del compito di mettere fine a questa guerra con la rivoluzione! No, non è un’utopia! La rivoluzione sta avanzando in tutti i paesi. Oggi non si tratta più di scegliere tra continuare a vivere in maniera tranquilla e sopportabile o buttarsi invece nell’avventura. Oggi si tratta di decidere se continuare a soffrire la fame ed essere mandati al massacro per interessi estranei, per gli interessi di altri, o se fare invece grandi sacrifici per il socialismo, per gli interessi dei nove decimi dell’umanità.
(…) Non possiamo sapere in anticipo quanto tempo sarà necessario per avere la meglio, quando cioè le condizioni oggettive consentiranno la vittoria di questa rivoluzione. Dobbiamo quindi sostenere ogni minimo miglioramento, ogni miglioramento effettivo della situazione economica e politica delle masse. La differenza tra noi e i riformisti (cioè, in Svizzera, i grütliani) non sta nel fatto che noi siamo contrari e loro sono favorevoli alle riforme. Non è questo il punto. La realtà è che essi si limitano alle riforme e quindi si degradano alla semplice funzione di “infermieri del capitalismo”, secondo la efficace espressione di un (raro!) collaboratore rivoluzionario della Schweizerische Metallarbeiterzeitung (n. 40). Noi invece dicia6mo agli operai: votate pure per la proporzionale, ecc., ma non limitate a questo la vostra attività. Mettete piuttosto in primo piano la propaganda sistematica dell’idea della rivoluzione socialista immediata. Preparatevi a questa rivoluzione e operate a tale scopo i cambiamenti profondi che si rendono necessari in tutta l’attività del partito! Le condizioni della democrazia borghese ci costringono troppo spesso ad assumere questa o quella posizione su tutta una serie di piccole e minute riforme. Ma bisogna saper prendere o imparare a prendere posizione a favore delle riforme in modo tale che – per dirla in termini alquanto semplificati onde essere più chiari – in ogni nostro discorso della durata di mezz’ora dedichiamo cinque minuti alle riforme e venticinque alla rivoluzione imminente.
La rivoluzione socialista non può essere realizzata, se non si combatte un’accanita lotta rivoluzionaria di massa, una lotta che costa molti sacrifici. Ma sarebbe incoerente accettare la lotta rivoluzionaria di massa, riconoscere come giusta l’aspirazione a metter fine subito alla guerra e al tempo stesso respingere la rivoluzione socialista immediata! La prima senza la seconda sarebbe soltanto parole a vuoto!
Non si può, d’altra parte, evitare di combattere duramente all’interno del partito. Saremmo solo sdolcinati e ipocriti e faremmo la politica filistea dello struzzo, se pensassimo che sia possibile che in generale nel Partito socialdemocratico svizzero regni la “pace interna”. Non si tratta di scegliere tra la “pace interna” e la “lotta intestina”. (…) In realtà, la questione si pone in termini diversi: o le forme attuali di lotta interna, che camuffano la lotta e demoralizzano le masse, o invece una lotta aperta, di principio, tra la tendenza internazionalista rivoluzionaria e la tendenza grütliana, all’interno e all’esterno del partito.
Una “lotta intestina” in cui H. Greulich si avventa sugli “ultra-radicali” o sulle “teste calde”, senza chiamare per nome questi mostri e senza definire esattamente la loro politica, mentre R. Grimm pubblica nella Berner Tagwacht articoli assolutamente incomprensibili per il 99 per cento dei lettori, articoli pieni di allusioni e di ingiurie contro gli “occhiali stranieri” o i “reali ispiratori” dei progetti di risoluzione sgraditi a Grimm, una tale lotta interna demoralizza le masse, che vi ravvisano o intuiscono una sorta di “rissa tra i capi”, senza comprendere di che cosa si tratta nella sostanza.
Ma una lotta in cui la tendenza grütliana all’interno del partito – ben più importante e pericolosa di quella che opera fuori delle sue file – è costretta a contrastare apertamente la sinistra, una lotta in cui le due tendenze intervengono in ogni occasione con le loro posizioni autonome e con la loro politica e si scontrano sul terreno dei principi, demandando realmente alla massa dei compagni di partito, e non solo ai “capi”, la soluzione delle principali questioni di principio, una tale lotta è necessaria e utile, in quanto sviluppa nelle masse lo spirito di autonomia e la capacità di assolvere la propria funzione storica rivoluzionaria.