[Napoli] “Il proletariato non si è pentito” è uno strumento per la rinascita del movimento comunista

ANCORA SULLA PRESENTAZIONE A PONTICELLI (NAPOLI EST) DE IL PROLETARIATO NON SI È PENTITO – (TESTIMONIANZE E DOCUMENTI RACCOLTI E COMMENTATI DA UN GRUPPO DI COMPAGNI DEL COORDINAMENTO DEI COMITATI CONTRO LA REPRESSIONE A CURA DI ADRIANA CHIAIA,

Abbiamo riprodotto e diffuso il saluto del (n)PCI alla Federazione lombarda del Partito dei CARC[1] in occasione della presentazione de Il proletariato non si è pentito libro del 1984, che presenteremo a Ponticelli il prossimo 24 aprile (alle ore 17.30, a Ponticelli, nella nuova Casa del Popolo in via Luigi Fanciosa, 199). In quel saluto si augura che quella presentazione serva principalmente a

“proiettare la luce della scienza comunista sul processo della rivoluzione socialista e sulla lotta di classe in corso nel nostro paese.”

Questo vale anche per questa presentazione che facciamo a Napoli. La resistenza alla repressione in cui la Carovana del (nuovo)PCI è stata avanguardia in quegli anni è stata contemporaneamente elaborazione scientifica, bilancio del movimento comunista italiano e internazionale e definizione delle linee di sviluppo, per tracciare la strada che fa dell’Italia un nuovo paese socialista. Unità di indirizzo tra le varie Federazioni del Partito sulla teoria rivoluzionaria è il cemento che unisce il Partito, e in questo caso è la vera unità tra Sud e Nord che solo il movimento comunista può realizzare.

Aggiungiamo a quanto scritto dal (nuovo)PCI che Il proletariato non si è pentito è stato ed è uno strumento della lotta di classe, in due sensi.

  1. A) E’ uno strumento della rinascita del movimento comunista, e in particolare della ricostruzione del partito comunista italiano dopo che i revisionisti moderni avevano preso in mano la direzione del PCI della Resistenza e lo avevano corrotto e disgregato (fino a che Occhetto lo ha liquidato anche formalmente nel 1991 e trasformato in PDS) e dopo il fallimento dei due tentativi di ricostruirlo, il primo (1964-66) compiuto dai gruppi marxisti-leninisti che costituirono il PCd’I-Nuova Unità (sotto la direzione di Fosco Dinucci) e il secondo promosso (a partire dal 1970) dalle Brigate Rosse.
  2. B) E’ uno strumento della lotta contro la repressione, della resistenza alla repressione e della solidarietà proletaria.

 

  1. IL PROLETARIATO NON SI È PENTITO È UNO STRUMENTO DELLA RINASCITA DEL MOVIMENTO COMUNISTA.

Il contributo del (n)PCI ha messo in luce vari aspetti per cui Il proletariato non si è pentito è uno strumento della rinascita del movimento comunista. A ciò aggiungiamo due elementi.

  1. CONTINUARE SUL CAMMINO INTRAPRESO

Quando Il proletariato non si è pentito è stato scritto, nel 1984, era in corso all’interno delle BR la lotta tra la linea della loro liquidazione e la linea della loro trasformazione in partito comunista, lotta che è illustrata nell’opuscolo di Pippo Assan del 1988, Cristoforo Colombo,[2] che pure stiamo presentando in più parti d’Italia. In quella lotta la linea della trasformazione in partito comunista venne sconfitta, le BR deviarono nel militarismo. Posero non la linea politica, ma le armi e lo scontro militare come fattori decisivi dell’esito della lotta di classe e questo favorì l’attacco della borghesia che sfruttò i loro errori e limiti per isolarle dalle masse.

La bandiera della ricostruzione del partito comunista è però stata presa in mano da quella che chiamiamo Carovana del (n)PCI, che ha fatto tesoro dell’esperienza delle BR, dei loro successi e della loro sconfitta.[3] E’ in questo contesto infatti che inizia il percorso di cui fanno parte il P.CARC e il (n)PCI. E’ una strada che si apre e si snoda lungo gli ultimi 35 anni della storia del nostro paese, o meglio, una pista che viene aperta e consolidata man mano che il gruppo di testa avanza: il gruppo di testa per un certo periodo si è chiamato Coordinamento dei Comitati contro la Repressione, poi Redazione di Rapporti Sociali (1985), poi CARC (1992), poi Commissione Preparatoria (CP) del congresso di fondazione del (nuovo) Partito comunista italiano (1999) e dal 2004 (n)PCI.

La borghesia usò tutte le armi a sua disposizione (arresti, intimidazioni, minacce, ecc.) per fermare l’opera del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione prima e dei CARC dopo. Il “collegamento” con i prigionieri delle BR venne usato come pretesto per orchestrare diverse operazioni repressive. La resistenza alla repressione fu l’arma che permise di continuare e sviluppare l’azione della Carovana. Abbiamo sperimentato che era possibile rivoltare contro la borghesia ogni operazione repressiva, e ogni operazione repressiva, se da una parte spaventava e faceva perdere alcuni compagni, dall’altra permetteva che gli altri si rafforzassero e che nuove leve si aggregassero. Questo è stato un grande insegnamento della nostra storia: non temere la borghesia, non temere gli attacchi del nemico. Se la borghesia ci attacca è un bene, vuol dire che la nostra azione colpisce nel segno, come diceva Mao.

Non bisogna farsi abbattere dalle sconfitte, perché le sconfitte non sono “la fine della storia”, non sono la fine della “lotta di classe”, non sono la fine della marcia per instaurare il socialismo. E’ questo il motivo per cui questo libro che presentiamo è stato intitolato “il proletariato non si è pentito”: come scritto nell’introduzione, “il proletariato in quanto classe non può dissociarsi dalle condizioni materiali della propria esistenza se non trasformando l’intera società”.

Le sconfitte sono anzi inevitabili quando si percorre una strada nuova, e soprattutto sono preziose: forniscono importanti insegnamenti, pilastri della teoria rivoluzionaria che ci serve per fare dell’Italia un nuovo paese socialista, che è il compito presente dei comunisti.

La società in cui viviamo, infatti, è del tutto matura per il socialismo.

Tanto è possibile e necessario sostituire alle aziende capitaliste aziende pubbliche che producono beni e servizi (che i lavoratori organizzati riconoscono come necessari alla vita dignitosa della popolazione)che non farlo genera la distruzione dell’apparato produttivo che abbiamo sotto gli occhi.

 

Tanto è necessario e possibile sostituire a un sistema di relazioni internazionali basato sulla concorrenza e la competizione tra paesi un sistema di relazioni internazionali basato sulla collaborazione, sulla solidarietà e lo scambio tra paesiche non farlo porta alla moltiplicazione dei focolai di guerra.
Tanto è necessario e possibile produrre beni e servizi in quantità corrispondente alle necessità e quindi secondo un pianoche non farlo provoca l’inquinamento e la devastazione del pianeta.
Tanto è   necessario e possibile ridurre il tempo che ogni uomo dedica alla produzione e la partecipazione crescente alle attività propriamente umaneche non farlo genera la disgregazione sociale, l’abbrutimento, la moltiplicazione di disoccupati, precari ed emarginati accanto a lavoratori sfruttarti all’osso.

 

Non c’è proprio c’è altra via, e quindi ci arriveremo. Quando e come ci arriveremo dipende da come lavoriamo e anche da circostanze che non determiniamo noi, ma ci arriveremo, perché non c’è altra via per uscire dal marasma presente che la borghesia imperialista e il suo clero con possono che aggravare, costrette come sono dalla crisi generale del sistema di cui sono i funzionari e gestori. Come ci insegnato Lenin, se dieci volte ci troveremo in un vicolo cieco, dieci volte riprenderemo daccapo il nostro lavoro. Se dieci volte ci troveremo in una situazione disordinata di relazioni e compiti tra organismi e tra compagni, dieci volte dipaneremo la matassa e troveremo modo di raggiungere un livello superiore di efficacia. Quando un tentativo va male, quando veniamo sconfitti, la conclusione non è che la cosa non è possibile e che dobbiamo andarcene tutti a casa, ma è capire quali errori abbiamo commesso e come li superiamo, quali sono gli aspetti della situazione di cui non abbiamo tenuto conto o di cui non abbiamo capito in modo giusto in significato, quali linee, metodi e iniziative derivano dal tenerne conto. Adottiamo quindi rigore e profondità nel pensare e costanza e determinazione nell’adempiere i compiti che proclamiamo di assumere.

La conclusione non è nemmeno che la sconfitta si supera con la ripresa dell’attività militare, dicono gli autori di Cristoforo Colombo quando scrivono alla fine degli anni ’80 dello scorso secolo. Gli autori di Cristoforo Colombo scrivono: “La reazione di rigetto assoluto, di antagonismo e di incompatibilità assoluta delle società imperialiste nei loro confronti è stata la verifica del successo dell’opera delle Brigate Rosse e della vittoria della loro attività nella fase detta della «propaganda armata.” E annotano:

Chi sostiene che tale reazione da parte della borghesia è dovuta ai fatti d’arme in sé, agli attentati, alle perdite di uomini subite dalla classe dominante è un cieco o un impostore.

Le società imperialiste (di tutti i paesi imperialisti, non solo dell’Italia) hanno mostrato e mostrano che possono tollerare al loro interno e riassorbire gli attentati e le perdite di uomini, anche di membri della classe dominante, prodotti dagli scontri tra le varie cosche armate della stessa classe dominante (dall’eliminazione di Enrico Mattei all’eliminazione di Roberto Calvi, dalla strage di Peteano all’eliminazione del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa) nonché gli attentati fascisti e parastatali (dalla strage di Piazza Fontana alla strage di Bologna), al punto che gli uni e gli altri sono diventati prassi normale in ogni paese imperialista e con un numero di perdite, tra i membri della classe dominante, molto superiore finora a quello causato dall’attività delle BR e di organismi affini.

E’ insostenibile anche la tesi che la reazione di rigetto della classe dominante è legata agli attentati commessi dalle Brigate Rosse e da organismi affini. Infatti basta che gli autori degli attentati si convertano, che cessa tale reazione nei loro confronti (vedasi Peci, Franceschini, Barbone, Viscardi: per citare solo un esemplare per ogni specie della confraternita dei «pentiti»). E, convertiti, gli stessi autori di attentati a nome delle BR, diventano apprezzati invitati di salotto. Per contro (cosa particolarmente significativa per chi vuole capire) l’ostilità, venuta meno nei confronti degli autori degli attentati, viene riversata pari pari e moltiplicata contro supposti o reali membri delle BR cui è addebitabile solo l’appartenenza alle stesse. Ciò conferma che non è l’azione militare e l’attentato che sono incompatibili e inaccettabili dalla società imperialista, ma il progetto politico, le potenzialità che l’azione militare, l’attentato contenevano in sé allo stadio di potenziale. Per cui è evidente che, se si tolgono queste potenzialità, o se queste potenzialità non sono mai esistite (ad es. negli attentati individualistici di anarchici e di altri esponenti di situazioni e correnti marginali), per la classe dominante gli attentati diventano fatti di ordinaria amministrazione, situazione con cui convivere. Le azioni militari delle Brigate Rosse hanno provocato una reazione di rigetto solo perché invece erano fattori di sviluppo, elementi di crescita ed affermazione di quelle potenzialità. Su questo devono riflettere coloro che vedono come nostro principale compito presente la ripresa o continuità dell’attività militare. Se non è interna a un progetto di mobilitazione del proletariato e delle masse popolari per la conquista del potere, l’attività militare diventa un fenomeno di devianza sociale e quindi una componente non antagonistica della società imperialista. Quindi il nostro compito principale del presente è la costruzione teorica e pratica del progetto non la ripresa dell’attività militare.[4]

  1. LA GRANDE INNOVAZIONE PORTATA DALLE BRIGATE ROSSE È STATA CHE LA RIVOLUZIONE ERA UN PROCESSO E INIZIAVA DA SUBITO.

Alla fine degli anni ‘60 e all’inizio degli anni ‘70 in Italia come in altri paesi vi fu una grande stagione di lotte (il ‘68 e l’Autunno caldo). La lotta per strappare nuove conquiste di civiltà e di benessere raggiunse il suo culmine e toccò il suo limite: per andare oltre doveva trasformarsi in lotta per la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo. Le Brigate Rosse raccoglievano e davano espressione politica alla necessità di conquistare il potere e di trasformare la società che le stesse lotte rivendicative alimentavano nella classe operaia e nelle masse popolari. Da qui venivano il sostegno, l’adesione e il favore delle masse popolari nei confronti delle Brigate Rosse, testimoniati dal loro radicamento in fabbriche importanti (FIAT, Alfaromeo, Siemens, Pirelli, Petrolchimico, ecc.), ma più ancora dalle misure che la borghesia dovette adottare per contrastarne l’influenza e isolarle dalle masse e dal persistere della loro influenza anche dopo la loro sconfitta. Esse nei fatti posero all’ordine del giorno che la rivoluzione si costruisce a cominciare da subito, a partire dalla costituzione di un partito che sia all’altezza della situazione. Hanno cioè rotto con l’idea della rivoluzione che aveva predominato tra i partiti comunisti dei paesi imperialisti nel periodo tra 1900- 1945 che o riducevano la rivoluzione socialista a un’insurrezione scatenata dal partito oppure pensavano che sarebbe partita da una rivolta delle masse popolari determinata dall’aggravarsi delle loro condizioni materiali.

A tutti quelli che contrappongono il triste presente al luminoso futuro, diciamo che bisogna cercare nel presente gli elementi per arrivare al luminoso futuro. Bisogna individuare la successione di passi che partendo alle cose come sono oggi, dalla realtà come è oggi, fanno “montare la maionese della lotta di classe”, fanno crescere l’organizzazione delle masse popolari e la loro coscienza rivoluzionaria, fanno montare una serie di battaglie su tutti i fronti, cioè su tutte le questioni dell’economia, della politica e della cultura, le battaglie che terminano con l’instaurazione del potere delle masse popolari organizzate intorno al partito comunista, l’eliminazione del potere della borghesia e del clero e la loro espropriazione.

La rivoluzione socialista è un processo promosso e guidato dal partito comunista, campagna dopo campagna, nel corso del quale il partito

  • si rafforza e si consolida,
  • raccoglie e forma le forze rivoluzionarie organizzando gli elementi avanzati della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari, oltre che nelle proprie file, nelle organizzazioni di massa che si aggregano attorno al partito (fronte rivoluzionario),
  • costruisce, estende e rafforza passo dopo passo un nuovo potere che si contrappone a quello della borghesia e lo stringe in una morsa crescente fino a soppiantarlo, di regola attraverso una guerra civile che la borghesia scatena quando si trova alle strette, impadronendosi dell’intero paese e instaurando il socialismo. Questo processo è la costruzione della rivoluzione e si configura come una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.
  1. IL PROLETARIATO NON SI È PENTITO È STATO ED È ANCHE UNO STRUMENTO DELLA LOTTA CONTRO LA REPRESSIONE E DELLA SOLIDARIETÀ PROLETARIA.

E’ il risultato del lavoro di un gruppo di compagni del Coordinamento nazionale dei comitati contro la repressione, formatosi negli anni ’80.

Erano gli anni in cui la crisi generale iniziava a manifestare i suoi effetti, ma nessuno sapeva ancora che genere di crisi fosse: il movimento rivoluzionario degli anni ’70 non aveva elaborato un’analisi scientifica del movimento economico e politico dalla società.

Furono gli anni della disfatta delle BR, causata dalla deriva militarista in cui erano precipitate dopo aver abbandonato il proposito di ricostruire il partito comunista e della conseguente campagna repressiva di massa, gli anni degli arresti, delle leggi speciali “antiterrorismo” di Kossiga, delle carceri speciali e dei braccetti della morte, della tortura e uccisione di militanti rivoluzionari: il 28.03.1980 i reparti speciali dei carabinieri di Dalla Chiesa avevano ucciso a freddo quattro membri delle BR in via Fracchia a Genova. Il PCI e la CGIL intanto collaboravano attivamente con il regime DC, con la parola d’ordine dell’“unità nazionale” nella repressione di massa e nell’attacco alle conquiste dei lavoratori, secondo la linea della “politica dei sacrifici”.

Furono gli anni del pentitismo. Patrizio Peci, arrestato nel 1980, quello che darà le indicazioni a dalla Chiesa per il massacro di Via Fracchia, sarà il primo di una lunga serie che porterà in carcere centinaia di militanti delle BR e di altre organizzazioni combattenti e di compagni che avevano solidarizzato o collaborato con loro. Arrivammo a più di quattromila prigionieri politici

Furono gli anni dell’avvio della dissociazione dalla lotta di classe, di discorsi come “siamo stati sconfitti, la borghesia ha vinto”, “non è possibile fare la rivoluzione”, “la classe operaia non è un soggetto rivoluzionario”, “il mondo è cambiato”: tutti i discorsi che ancora sentiamo ripetere dalla sinistra borghese.

In quel contesto si collocano la lotta contro la repressione promossa dal Coordinamento nazionale dei comitati contro la repressione e Il proletariato non si è pentito. Quali sono le questioni, gli aspetti che il libro mette in luce per quanto riguarda la lotta contro la repressione? Indico i principali, quelli utili per l’oggi, per condurre la rivoluzione socialista oggi

  1. La solidarietà di classe. Allora era la solidarietà con i prigionieri politici, ma è quella che vale ancora oggi e sempre per tutti i comunisti, i rivoluzionari, gli oppositori alla classe dominante. Non era ne è solidarietà umana, né è solidarietà perché si tratterebbe di “poverini colpiti dalla ferocia della borghesia”, ma solidarietà di classe.

La solidarietà di classe è anche solidarietà umana e sostegno contro la ferocia della borghesia, ma è qualcosa di molto di più. E’ prima di tutto solidarietà con chi sta dalla stessa parte della barricata. Diciamo NO alla divisione tra buoni e cattivi, così come ha fatto il movimento NO TAV che ha respinto il tentativo delle autorità di dividerli tra “buoni e cattivi”, “pacifici e violenti” e ha fatto della resistenza e lotta contro la repressione uno strumento per estendere la solidarietà, lo schieramento di forze contro la TAV e il governo che la vuole imporre con la forza e per mettere in moto la mobilitazione contro la devastazione ambientale anche in altre parti del paese. Chi decide chi sono i buoni e chi sono i cattivi? Gli sfruttatori, gli oppressori, i guerrafondai? La lotta contro la repressione fu subito lotta contro la differenziazione. Questo fu un altro grande insegnamento, il primo, che avrebbe accompagnato tutta la storia della Carovana: quello di giudicare mettendo sempre e comunque al centro la lotta di classe e gli interessi della classe operaia e delle masse popolari.

  1. La denuncia e la lotta contro il carcere speciale e le condizioni infami a cui erano sottoposti i prigionieri politici, contro la tortura che allora venne sistematicamente impiegata nelle carceri contro i prigionieri delle BR e delle altre OCC. Non è una “parentesi chiusa”, perché è la stessa tortura che abbiamo visto all’opera al G8 di Genova, alla Diaz e a Bolzaneto nel 2001. Questo libro denuncia tutto questo e promuove la mobilitazione contro tutto questo, ma non in maniera terroristica, cioè non per diffondere timore, paura.
  2. La lotta contro il pentitismo e la dissociazione. Il Coordinamento nazionale dei comitati contro la repressione ingaggiò una dura battaglia politica contro il dilagante fenomeno del pentitismo e della dissociazione dalla lotta di classe, individuato e denunciato come causa del pessimismo e del disfattismo sempre più diffuso tra le fila del movimento comunista. Il Coordinamento nazionale dei comitati contro la repressione e gli organismi che vi aderivano sono diventati un baluardo e un punto di riferimento contro la disfatta. La pubblicazione de Il proletariato non si è pentito (1984), è uno dei contributi più organici contro la dissociazione dalla lotta di classe. Il pentitismo è stato l’attacco militare alle BR, la dissociazione è stata l’attacco portato per linee interne, come fecero i revisionisti moderni in URSS e nel PCI. Sono stati e sono i nostri limiti ed errori e non la forza e la ferocia della borghesia la causa delle nostre sconfitte. Quindi si tratta di qualcosa di cui abbiamo in mano noi la soluzione, perché dipende da noi correggere i nostri limiti e superare i nostri errori. A questo serve il bilancio dell’esperienza.
  3. Le leggi speciali (legge Reale del 1975, la legge Cossiga del 1979, l’art. 90 del 1975) e i tribunali speciali, la violazione della Costituzione contro cui lottiamo imponendo anzi l’attuazione delle sue parti progressiste, e dichiarando legittimo tutto ciò che risponde agli interessi della masse popolari anche se è illegale secondo lo Stato della borghesia imperialista.

Queste nostre presentazioni di questo libro sono altrettante occasioni per inviare il nostro un saluto ai compagni delle Brigate Rosse ancora prigionieri, testimoni viventi della ferocia della classe dominante, ma testimoni anche della sua paura e della sua debolezza. A Terni, ad Alessandria, a L’Aquila, a Latina, a Rebibbia e altrove, sono ancora rinchiusi più di venti prigionieri delle BR. La solidarietà nei loro confronti è un onore e un dovere per chi vuole farla finita con gli sfruttatori che opprimono le masse popolari italiane, devastano e saccheggiano il nostro paese e spremono profitti per conto dei gruppi imperialisti europei, americani, sionisti e altri.

 Paolo Babini

Partito dei CARC – Centro di Formazione

[1] Vedi in http://www.carc.it/2017/04/18/10485/.

[2] Vedi in http://www.nuovopci.it/scritti/cristof/indlibr.htm.

[3] Vedi lo Statuto del (n)PCI, art. 5: “Il (n)PCI è l’erede e il continuatore del movimento comunista del nostro paese, del primo PCI sezione italiana della prima Internazionale Comunista e spina dorsale della gloriosa Resistenza antifascista e della lotta contro il regime DC, delle Brigate Rosse espressione più avanzata anche se insufficiente della lotta rivoluzionaria degli anni ’70 per ricostruire il Partito comunista, difendere le conquiste di civiltà e benessere e strapparne di nuove.” (in La Voce del (nuovo)PCI, n, 39 – anno XIII – novembre 2011, e in http://www.nuovopci.it/voce/voce39/statuto.html).

 

 

[4] Cristoforo Colombo, cit., Introduzione.

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