La lotta ideologica, il dibattito franco aperto e l’unità delle forze rivoluzionarie. Sull’assemblea del 26 marzo a Roma promossa da Eurostop

Gli avvenimenti degli ultimi giorni, a livello nazionale e internazionale, dimostrano con evidenza ciò che la classe dominante cerca in ogni modo di nascondere. Non bastano l’intossicazione dell’opinione pubblica e la diversione dalla lotta di classe, non bastano i moniti del Papa, le rassicurazioni o le promesse dei politicanti per impedire alla realtà di irrompere nella vita di milioni di uomini e di donne delle masse popolari con la furia di un fiume in piena: è il fiume del movimento oggettivo che abolisce lo stato di cose presenti. Quanto più la borghesia imperialista cerca di rallentarlo, costringerlo e ostacolarlo tanto più genera sconvolgimenti, quanto più vi si oppone tanto più è costretta a ricorrere a crimini e distruzioni indiscriminate per mantenere il suo dominio sulla società.

I bombardamenti di civili con i gas tossici in Siria e il successivo attacco degli USA, la strage di immigrati nel Mediterraneo, gli arbìtri e le vessazioni padronali contro i lavoratori e le lavoratrici, i licenziamenti di massa, la precarietà, la repressione di chi si ribella, la devastazione dell’ambiente e dei territori in nome della speculazione, i dispositivi per eliminare le libertà politiche e i diritti conquistati in questo paese grazie alla vittoria della Resistenza, le mille forme materiali e morali in cui si manifesta la miseria dilagante: tutto dimostra che la società capitalista è arrivata al capolinea e che l’esistenza della borghesia imperialista, delle relazioni economiche, politiche e sociali imposte dal capitalismo sono la causa comune di ogni problema, sofferenza, oppressione e violenza che affligge le masse popolari. Oggettivamente, la situazione è rivoluzionaria.

Nel marasma generale in cui siamo costretti, denunciare il cattivo presente, i misfatti e i crimini della classe dominante e le ingiustizie del capitalismo non basta. L’umanità è chiamata a compiere un passo in avanti nel suo processo evolutivo, è necessario pensare e agire in modo conforme al passo che bisogna compiere: progredire nella rivoluzione socialista, instaurare la dittatura del proletariato e avanzare verso il comunismo.

È il cammino che l’umanità ha iniziato, di cui la Rivoluzione d’Ottobre cento anni fa e poi quella cinese, le lotte di liberazione delle colonie e delle semicolonie in ogni angolo del mondo, la vittoria sul nazifascismo, la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale, sono state luminosa premessa. Un cammino che l’umanità deve riprendere e riprenderà, superando i limiti che lo hanno momentaneamente interrotto, primo fra tutti instaurare il socialismo in almeno uno dei paesi imperialisti.

Dirigere la guerra popolare rivoluzionaria, educare, formare e organizzare le masse popolari per vincerla è il compito dei comunisti. I nemici principali contro cui combattere sono la borghesia imperialista e il suo clero, che nella medesima situazione rivoluzionaria generata dalla crisi generale contendono al movimento comunista la direzione delle masse popolari per intrupparle nella guerra fra poveri e nella guerra imperialista (mobilitazione rivoluzionaria contro mobilitazione reazionaria).

Nel promuovere la mobilitazione rivoluzionaria, i comunisti hanno il compito di contrastare efficacemente le tesi di quanti, nel campo delle masse popolari, alimentano concezioni, posizioni e tesi che nuocciono alla causa del socialismo.

La lotta fra le idee (idee giuste contro idee sbagliate) è parte della lotta per affermare un orientamento giusto (adeguato) alla mobilitazione pratica delle masse popolari organizzate, contrastare le idee sbagliate che alimentano disfattismo, rassegnazione e sfiducia, attendismo e fatalismo.

La lotta contro le idee sbagliate in seno al movimento rivoluzionario è quindi parte della guerra popolare rivoluzionaria e ha la forma della lotta ideologica.

“La grande lotta dei comunisti”, insegnava F.Engels, fondatore insieme a K.Marx del movimento comunista cosciente e organizzato, “non ha solo due forme (la lotta economica e la lotta politica), … ma tre, perché accanto a quelle due va posta anche la lotta teorica”. Insegnamento confermato e sintetizzato poi da V.I.Lenin nella formula “senza teoria rivoluzionaria non ci può essere movimento rivoluzionario” e da Mao Tse-tung: “le idee giuste (…) provengono dalla pratica sociale, e solo da questa. Provengono da tre tipi di pratica sociale: la lotta per la produzione, la lotta di classe e la sperimentazione scientifica. Una volta che le masse se ne sono impadronite, le idee giuste, caratteristiche della classe avanzata, si trasformano in una forza materiale capace di trasformare la società e il mondo”.

La pratica giusta deriva da idee giuste. Un esempio di idea sbagliata rispetto all’atteggiamento da tenere di fronte alle tante manifestazioni del marasma provocato dalla crisi generale è il pensare che “in un momento come questo è necessario unire le forze e denunciare il cattivo presente”: mille piagnistei non cambiano il corso delle cose. Al contrario, quanto più sono evidenti e distruttivi gli effetti della crisi, tanto più è impellente elevare il livello della lotta ideologica per depurare il movimento rivoluzionario dalle analisi, dalle tesi, dalle concezioni e dalle pratiche che lo inquinano e che contribuiscono in modo decisivo a frenare, limitare e ostacolare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.

Ecco perché in questo comunicato affrontiamo le posizioni ideologiche espresse nell’assemblea nazionale del 26 marzo a Roma da Rete dei Comunisti (RdC), dal gruppo dirigente di Eurostop e da quanti vi si accodano in nome di una qualche unità di fronte agli effetti disastrosi del capitalismo. Lo facciamo perché questo aggregato ha un ruolo di orientamento verso una parte della classe operaia e dei lavoratori di questo paese (in relazione ai legami con il movimento sindacale) e con la base rossa (in relazione agli organismi di massa che dirige o influenza). Lo facciamo, dunque, perché le concezioni che esprime e le azioni che attua in conformità a quelle concezioni sono nocive alla rivoluzione socialista (allo sviluppo della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari). Il ruolo di promotori di mobilitazioni nazionali, inoltre, come lo è stata nonostante la bassa partecipazione quella del 25 marzo, conferisce a questo aggregato la possibilità di inquinare parte del movimento popolare che si oppone agli effetti della crisi, la possibilità di innescare beghe da cortile spacciate da “dibattito politico”, la possibilità di erigersi a “gruppo egemone” nelle relazioni con autorità e istituzioni della Repubblica Pontificia, anteponendo gli interessi di bottega agli interessi di classe.

Attuiamo la politica che i comunisti attuano da quando il socialismo è uscito dalle belle intenzioni dei filantropi ed è diventato scientifico, la politica da fronte:

1. dibattito franco e aperto relativo all’analisi della situazione, al bilancio del movimento comunista (nel caso in cui si tratta di organizzazioni che si professano comuniste), al programma, ai metodi di lavoro, alla linea generale e alle linee particolari,

2. unità di azione in tutti i casi in cui l’obiettivo almeno immediato è comune,

3. solidarietà reciproca senza condizioni di fronte alla repressione borghese.

Dato che siamo ben fermi sugli ultimi due punti, siamo fermi e intenzionati ad andare fino in fondo anche sul primo. Concezione, analisi, linea, metodi per avanzare fino alla vittoria della rivoluzione socialista non sono una questione tra noi del P.CARC e più in generale della Carovana del (n)PCI e RdC, non si tratta di un match tra organizzazioni né di una schermaglia tra personaggi al modo dei talk show televisivi. Natura della crisi e vie d’uscita, ruolo dei comunisti e natura della loro organizzazione, piano per arrivare all’instaurazione del socialismo, analisi della situazione e linea d’azione o sono giuste perché conformi alla realtà e al bilancio dell’esperienza del movimento comunista o sono sbagliate, non per noi del P.CARC o per RdC, ma per tutti i comunisti, per tutti quelli cioè che si propongono l’instaurazione del socialismo come fine della loro attività. Se le catene dell’Euro, della UE e della NATO le spezziamo creando “un’area alternativa euro mediterranea” (linea, questa, che a quanto ci risulta anche i dirigenti della Piattaforma Sociale Eurostop adesso hanno abbandonato, senza però spiegare chiaramente perché) o con manifestazioni di piazza, con una vittoria elettorale o con referendum oppure instaurando un governo d’emergenza che abbia la forza e la volontà di farlo, non è una querelle tra la Carovana del (n)PCI e RdC o il prof. Vasapollo, ma è una questione che riguarda tutti quelli che sono decisi a farla finita con l’Euro, l’UE e la NATO.

L’unità senza principi la lasciamo a chi non ha principi, a chi non ha fatto e non vuole fare il bilancio dell’esperienza, a chi non ha imparato o non vuole imparare dall’esperienza del movimento comunista, a chi si lamenta che “il nuovo non può nascere”. Noi siamo per la lotta ideologica contro le posizione disfattiste e attendiste, essenziale per uscire dal pantano e dalla secca in cui revisionisti e la sinistra borghese hanno trascinato le masse popolari: “combattere non solo contro il pantano, ma anche contro coloro che si incamminano verso di esso” (Lenin).

Una breve ricostruzione. Da circa un anno la Carovana del (nuovo)PCI ha promosso il dibattito franco e aperto con i dirigenti della RdC per contrastare le posizioni disfattiste e attendiste che essi propagano fra lavoratori avanzati ed elementi avanzati delle masse popolari con le loro elaborazioni, con le loro tesi e con parte della pratica che ne discende.

Alla lotta ideologica i dirigenti di RdC hanno risposto comportandosi da gruppetto, più che da organizzazione politica rivoluzionaria: si sono prima sottratti al dibattito, poi hanno promosso un’opera di denigrazione nei confronti della Carovana, sono arrivati a promuovere tentativi di isolamento (di cui il percorso di costruzione di Eurostop è stato un terreno privilegiato, ma non l’unico) e infine, nelle giornate del 25 e 26 marzo, hanno provato a “passare alle vie di fatto” attraverso provocazioni di livello tanto basso da finirne squalificati essi stessi (schieramento del servizio d’ordine per impedire al nostro spezzone di continuare il percorso del corteo del 25 marzo con Eurostop, affermando, mentendo, che “non siamo aderenti”; denigrazioni all’assemblea del 26 marzo – “andate dai vostri amici della Digos, spie!”-, il tentativo di aggredire la nostra compagna che è intervenuta all’assemblea e quello di cacciarci). Infine, a manovre di espulsione fallite, ci ha pensato Giorgio Cremaschi a girare la frittata di fronte all’assemblea: “il P.CARC decida: per aderire a Eurostop bisogna dissociarsi dalla lotta armata”, a cui ha fatto eco Mauro Casadio di RdC, puntualizzando “dalla lotta armata e dalla clandestinità”.

Questi atteggiamenti e comportamenti, ben lontani dall’impedirci di criticare le posizioni ideologiche nocive alla rivoluzione (da qualunque parte vengano: ribadiamo che non è un mach tra noi e RdC, ma di lotta per l’affermazione di concezioni, linee e metodi che fanno avanzare la lotta per instaurare il socialismo), mostrano e qualificano, precisamente, quelle concezioni ideologiche che devono essere contrastate perché nocive alla rivoluzione socialista, perché nocive al campo delle masse popolari, perché espressione delle idee, dei modi e degli atteggiamenti di quella stessa classe dominante che pure RdC e il gruppo di testa della Piattaforma Sociale Eurostop sostengono di voler combattere.

Quattro questioni di metodo

1. Contraddizioni entro il movimento comunista, il movimento rivoluzionario e le masse popolari oppure contraddizioni fra il campo delle masse popolari e la classe dominante. Nel movimento comunista e nel movimento rivoluzionario il dibattito politico è sano, è uno strumento di lotta, è giusto anche quando è duro e senza sconti. Quanto più la situazione è rivoluzionaria (cioè la rivoluzione socialista è possibile e necessaria) tanto più lo scontro ideologico è necessario ed è necessario che sia “senza sconti”. Se il dibattito ideologico è basso, ciò significa che il movimento comunista e il movimento rivoluzionario sono di basso livello, incapaci di porre le questioni dirimenti per costruire la rivoluzione socialista. L’unità senza principi, la conciliazione di posizioni inconciliabili, il quieto vivere sono una manifestazione di debolezza del movimento comunista e rivoluzionario e sono metodo di chi non sa (ancora) come contribuire alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato. Detto ciò, le contraddizioni nel movimento comunista e nel movimento rivoluzionario sono contraddizioni nel campo delle masse popolari, sono “contraddizioni in seno al popolo” e per quanto duro il dibattito (ed è giusto che sia duro) vanno trattate in modo diverso dalle contraddizioni con il nemico di classe. Trattare le contraddizioni nel campo delle masse popolari ha come obiettivo ultimo l’educazione, la formazione e l’elevazione della coscienza della parte avanzata delle masse popolari, l’affermazione di idee, criteri e principi che devono guidare la pratica con cui le masse popolari organizzate trasformano la realtà. L’aspetto principale del dibattito politico è contribuire alla definizione di una giusta direzione del movimento comunista e rivoluzionario: è una lotta fra vero e falso e fra vecchio e nuovo in cui le contraddizioni esistono, è normale che esistano, e la cui sintesi è la scoperta di una unità superiore, valida per tutto il movimento comunista e rivoluzionario (non necessariamente riconosciuta da tutte le sue componenti, ma valida alla prova della pratica). Trattare le contraddizioni in seno al popolo, a cui appartiene il dibattito politico, con un qualunque altro obiettivo che non sia la definizione di una superiore unità sulla base della scienza, significa confonderle con le contraddizioni fra il campo delle masse popolari e il campo della classe dominante. È l’errore dei dirigenti di RdC: all’antagonismo verso la classe dominante sostituiscono l’antagonismo con altre componenti del movimento comunista e rivoluzionario, al dibattito per la ricerca di una superiore unità basata sulla scienza, sostituiscono l’affermazione con ogni mezzo della loro verità empirica e raccogliticcia, al dibattito franco e aperto (anche duro) sostituiscono i metodi propri della classe dominante: voci di corridoio, denigrazione, tentativi di isolamento, criminalizzazione. Sono compagni che sbagliano. E i loro errori si riflettono su quanti li seguono perché riterranno “normale” trattare il dibattito politico e la lotta ideologica entro il movimento rivoluzionario con gli strumenti e gli argomenti tipici di chi vuole “disintegrare il nemico” anziché perseguire una’unità superiore nel campo della scienza della rivoluzione socialista.

Un inciso: questo vale anche a proposito dell’episodio dell’aggressione a Michele Franco, esponente di RdC e di USB a Napoli. Anziché cianciare e far girare sottobanco la voce che il P.CARC e il (n)PCI sono i mandanti degli schiaffi, i dirigenti di RdC si domandino seriamente: non è il loro modo di trattare le “contraddizioni in seno al popolo” che crea il brodo di coltura perché poi qualcuno “discute” a suon di schiaffi anziché attraverso il dibattito franco e aperto, per quanto aspro, netto, rigoroso? Che differenza c’è tra il comportamento di chi ha aggredito Michele Franco e il comportamento del prof. Vasapollo che il 26 marzo ha minacciato una compagna del P.CARC se non che nel secondo caso qualcuno ha impedito al professore di portare a compimento le sue minacce?

Se nel campo della medicina, della fisica, della chimica, ecc. fosse prevalso il modo del gruppo dirigente di RdC, le scienze avrebbero avuto uno sviluppo enormemente inferiore perché interessi di cortile o di bottega avrebbero prevalso sulla ricerca, sulla sperimentazione e sulla sintesi che sono alla base del progresso umano. Quanto prima i dirigenti di RdC comprenderanno questo, tanto prima saranno più sereni nella lotta ideologica e meno dannosi, complessivamente, per la rivoluzione socialista.

2. Assumersi la responsabilità di quello che si dice e si fa oppure alimentare la contraddizione tra teoria e pratica. La borghesia imperialista e il suo clero, in particolare in Italia dove il Vaticano è a capo del governo occulto, irresponsabile e di ultima istanza del paese, alimentano a piene mani la contraddizione fra teoria e pratica, la doppia morale. Per ogni politicante borghese, per ogni vescovo, per ogni personaggio pubblico è normale, anzi è alla base del suo successo, dire una cosa e farne un’altra, dire una cosa qui e dire il suo opposto , dire una cosa oggi e dire il suo opposto domani. Nel nostro paese questo costume ha coinvolto e caratterizzato anche il movimento comunista e rivoluzionario, tanto da conferire alla contraddizione fra teoria e pratica un ruolo specifico nell’ostacolare la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato: si fa i “duri e puri” e poi ci si accorda con autorità e istituzioni della Repubblica Pontificia, si criticano autorità e istituzioni della Repubblica Pontificia, ma dato che si è integrati con il loro sistema li si critica fin quando e fin dove autorità e istituzioni lo consentono e lo tollerano. Condizione di partenza per avere un ruolo positivo nel marasma attuale è rifiutare e ribaltare la doppia morale e gli atteggiamenti e i comportamenti che ne derivano: parlare chiaro, legare ciò che si dice e ciò che si fa. Nella lotta ideologica con i dirigenti di RdC e con il gruppo di testa di Eurostop in cui sono egemoni, vige invece la doppia morale. Per isolare il P.CARC hanno usato sotterfugi di vario genere e tipo pur di non trattare apertamente le questioni ideologiche: indizione di riunioni senza convocarci benché fossimo aderenti dalla prima ora, strumentalizzazione dell’aggressione a Michele Franco a Napoli per instillare il dubbio (perché per dirlo apertamente ci hanno messo 4 mesi) che “il mandante fosse la Carovana del (nuovo)PCI”, denigrazione verso operai e lavoratori in riunioni “segrete” – tanto segrete che sono il segreto di Pulcinella (“sono amici della polizia, sono terroristi, sono pericolosi”), articoli su Contropiano in cui si usano toni e argomentazioni per instillare il dubbio che la Carovana è manovrata dai servizi segreti, equiparazioni fra la Carovana e “la lotta armata”, ecc.

I dirigenti di RdC e del gruppo di testa di Eurostop sono compagni che sbagliano e perseverando in questi errori arrecano danno non alla Carovana del (nuovo)PCI (oggetto di denigrazioni, criminalizzazione e persecuzione poliziesca e giudiziaria – nemici ben più temibili di sei o sette rancorosi – da più di 30 anni), ma al movimento comunista, rivoluzionario e popolare intero. I casi sono due: o sanno per certo, hanno le prove, di quello che dicono, e allora dovrebbero renderle pubbliche e darvi grande risalto perché tollerare nel movimento comunista e rivoluzionario infiltrati dei servizi segreti, della polizia o di chi altro è una grave omissione che sfiora la complicità; oppure stanno dicendo ai lavoratori avanzati, alle masse popolari avanzate che per una ragione o per l’altra li seguono e hanno fiducia in loro che essere e fare i chiacchieroni sciocchi, come fanno loro, è cosa buona e giusta, quando invece è cosa molto sbagliata. Alimentare confusione e diversione nel movimento comunista, rivoluzionario e popolare, infatti, è grave quanto tollerare le infiltrazioni di spioni e servizi segreti.

Se i dirigenti della RdC e del gruppo di testa di Eurostop sono inequivocabilmente convinti di quello che dicono a denti stretti, lo gridino con grande clamore e attirando la giusta attenzione di operai, lavoratori e masse popolari, mostrino le prove, mostrino ciò che sanno e dicano perché lo sanno. Altrimenti, oltre ad assumere un ruolo ignobile e fare una figura meschina, prima di tutto stanno remando contro il movimento rivoluzionario e contro tutto il campo delle masse popolari.

Ad esempio, il prof. Vasapollo che va dicendo in giro che ha ricevuto lettere minatorie da parte del (nuovo)PCI e che il (nuovo)PCI ha recapitato tali lettere anche al Rettore della Sapienza, università in cui il professor Vasapollo insegna, arrecandogli grave danno, renda pubbliche quelle lettere: faccia un gesto di verità rivoluzionaria anziché spargere veleno bofonchiando a denti stretti.

Assumersi la responsabilità di quello che si dice e si fa è intollerabile per i politicanti e i personaggi della Repubblica Pontificia, ma è necessario per i rivoluzionari. Assumersi la responsabilità di quello che si dice e si fa è l’unico modo efficace per dividere il campo delle masse popolari dal campo della classe dominante, consente di essere giudicati dalle masse popolari, è la condizione per non temere per ciò che si dice e per ciò che si fa.

Se uno dice che la situazione generale è drammatica e che è necessario cambiarla, che è necessaria una rivoluzione, ma dice anche (e si comporta come se) la rivoluzione socialista non è possibile, è responsabile delle tesi che afferma e delle azioni che fa: non subirà una reazione da parte delle forze repressive, la subirà da parte di quei settori delle masse popolari che un giorno chiama alla ribellione e a cui il giorno dopo dice che ribellarsi non è possibile (questa non è una giustificazione, ma una spiegazione, dell’aggressione di Natale a Michele Franco – puntualizzazione per chi preferisce leggere fra le righe, anziché leggere le righe).

3. Indicare i portavoce di linee, analisi e metodi (“fare i nomi”) o cucinare la confusione in un unico, grande calderone. Legato al punto precedente, i dirigenti di RdC e il gruppo di testa di Eurostop, seguiti su questo da vari esponenti del movimento e ben supportati dal senso comune di Vaticano (si dice il peccato, ma non il peccatore) e borghesia imperialista (vizi privati e pubbliche virtù) ritiene intollerabile che nella lotta ideologica la Carovana del (nuovo)PCI tratti delle tesi sbagliate e delle tesi giuste indicando pubblicamente i nomi di chi le esprime e le attua. “Non è il modo”, dicono. Ma probabilmente il problema reale è che “è il modo in cui siamo costretti a prenderci la responsabilità di quello che diciamo e facciamo”. È un discorso che attiene, propriamente, alla responsabilità.

Se ci limitassimo a dire “la RdC sbaglia in questo o in quello” faremmo un cattivo servizio alla lotta ideologica, per tre motivi:

– che si affermi una linea giusta non è esclusivo interesse della Carovana del (nuovo)PCI, ma di tutto il movimento comunista, di tutto il movimento rivoluzionario e di tutto il campo delle masse popolari. Se si indica chi ha espresso una tesi o un comportamento sbagliato, si permette al partito, all’organizzazione o al collettivo di cui il compagno che ha espresso la tesi sbagliata fa parte, di avere un ruolo nel correggerlo. Se un compagno del P.CARC esprime una tesi disfattista, il P.CARC è ben contento se un’altra organizzazione lo critica e lo corregge: difendere gli appartenenti per spirito di corpo è uso della classe dominante, che deve dimostrare di proteggere i suoi agenti e sottoposti da ogni possibile “attacco” e ha nell’esistenza e coesione del corpo il proprio obiettivo;

– se facciamo combaciare le posizioni arretrate e sbagliate di un singolo con le posizioni dell’organismo, noi squalifichiamo l’intero organismo dal condurre la lotta ideologica al suo interno. Ad esempio siamo convinti che il modo di condurre il dibattito politico con la Carovana del (nuovo)PCI non è condiviso da tutti i membri di RdC, dobbiamo indicare precisamente quali sono quelli che esprimono una linea arretrata per valorizzare la sinistra, l’avanzato, presente in quell’aggregato e permettere che abbia maggiori strumenti e un maggiore orientamento per affermare invece concezioni e tesi avanzate;

– se omettiamo i nomi di chi sostiene concezioni, tesi e linee sbagliate siamo complici delle conseguenze negative che il singolo esponente (magari dirigente dell’organismo che rappresenta) imprime all’organismo e che si riflettono sulle masse popolari che gli danno ascolto.

Fare i nomi di chi afferma concezioni e tesi arretrate e sbagliate, come di chi afferma concezioni e tesi avanzate e giuste, è uno strumento della lotta ideologica e in quanto tale non va temuto da chi non ha niente da nascondere.

Ci sono compagni che dicono “fare i nomi nei comunicati pubblici aiuta le forze della repressione”. Questi compagni vivono in un mondo fatato molto distante dalla realtà: un mondo in cui la polizia politica chiede il permesso prima di fare perquisizioni, non usa microfoni direzionali per spiare riunioni, non manda infiltrati per trascrivere il contenuto delle assemblee, non ascolta telefonate e conversazioni confidenziali. Questi compagni contribuiscono alla situazione che chi ha una qualche esperienza del movimento rivoluzionario riassume con segreto alle masse e conosciuto dalle forze della repressione della borghesia. La clandestinità del Partito, delle sue strutture e dei suoi membri è una cosa seria (vedi le interviste al compagno Ulisse, segretario Generale del (nuovo)PCI 12) e non va confusa con le caricature che servono solo a indebolire il movimento rivoluzionario. L’organizzazione del Partito, delle sue strutture e dei suoi membri è la sola cosa da preservare ad ogni costo, le idee del Partito, la sua analisi, la sua linea, la sua strategia e la sua tattica devono invece essere conosciute il più possibile: ometterle alle masse popolari per non farle conoscere alla borghesia è un errore fra i più grossolani.

Che in una certa riunione il compagno x dell’organizzazione y ha detto e fatto questo o quello sono notizie che gli apparati repressivi conoscono bene, se la riunione non si svolge secondo i criteri della clandestinità. Pertanto tenere segreto il contenuto delle riunioni e delle assemblee contribuisce solo a creare un muro con le masse popolari (e alimenta l’irresponsabilità di chi vi partecipa rispetto alle masse popolari) e non ha alcun valore di tutela rispetto agli apparati della repressione.

Rendere pubblico il contenuto di un’assemblea, criticare apertamente quanto emerge di sbagliato e arretrato e sostenere quanto emerge di giusto e avanzato è uno strumento di educazione al dibattito franco e aperto, una pratica di cui il movimento rivoluzionario, in particolare in Italia, ha bisogno come dell’aria che respiriamo (così come abbiamo bisogno della conoscenza e dell’uso del bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria). È una pratica che abbiamo adottato, che adottiamo, che adotteremo e promuoveremo fra quanti vogliono rompere il rito cardinalizio per cui si dice il peccato, ma non il peccatore e il rito borghese di mostrare in pubblico le virtù e nascondere i vizi e le storture.

Dobbiamo fare la rivoluzione socialista, non stiamo organizzando un pic-nic con gli amici.

4. Dibattito o intimidazioni. Al netto dei classici giochetti per impedire il nostro intervento all’assemblea del 26 marzo (far finta di essersi dimenticati di segnare la nostra compagna che si iscriveva a parlare), l’intervento è avvenuto e ha “rotto” la melassa della retorica. Nella gazzarra che è seguita, il prof. Vasapollo ha dato dimostrazione del suo livello dialettico: insulti alla compagna, minaccia di romperle una sedia in testa, altre minacce fisiche, al punto che, il copione lo imponeva, è stato trascinato fuori da uno dei suoi soci. Il prof. Vasapollo non considera, o se ne sbatte, che aggredire un membro di un altro partito comporta una seria e grave responsabilità al di là di quanto il partito stia “simpatico o meno” alla sua platea. Minacciare una compagna a 20 giorni dalla mobilitazione (storica per il contenuto e la forma di lotta, storica per il ruolo di rottura, storica per il ruolo di migliaia di donne nella sua organizzazione) dell’8 marzo è probabilmente la più plateale manifestazione della doppia morale: grandi proclami contro sessismo e violenza di genere, minacce e tentativi di aggressione all’atto pratico. Solleviamo il discorso non tanto per marchiare Vasapollo di doppia morale e sessismo, quanto per dare dimostrazione pratica che dietro la gazzarra, i fatterelli, le denigrazioni, le provocazioni ci sono questioni ideologiche, cioè quello di cui i dirigenti di RdC (in questo caso Vasapollo e fare il nome serve a non tirare tutti in ballo e metterli tutti sullo stesso piano) sono profondamente e intimamente convinti decide di quello che fanno o non fanno.

Alcune questioni di merito

Per non trattare apertamente le questioni ideologiche, i dirigenti di RdC e il gruppo di testa di Eurostop fanno della lotta ideologica e del dibattito politico una gran gazzarra. Alla gazzarra non ci stiamo e poniamo noi apertamente le questioni che a causa della doppia morale i nostri detrattori non vogliono porre o non sanno porre.

La dissociazione dalla lotta di classe. Cremaschi dice: “per aderire a Eurostop il P.CARC deve dissociarsi dalla lotta armata”. Lasciamo perdere il fatto che a ogni occasione i “requisiti” per aderire a Eurostop sono cambiati e hanno avuto in comune l’unico aspetto di “non toccare la suscettibilità delicata dei dirigenti di RdC e di non mettere in discussione le loro decisioni arbitrarie”, per cui dopo un anno e mezzo di boicottaggi, viene fuori che il problema è la dissociazione dalla lotta armata. Il punto è: a quale lotta armata si riferisce Cremaschi? A quella in corso in Donbass contro i nazisti sostenuti da USA e UE? A quella in corso in Palestina contro i sionisti? A quella in Irlanda o nei Paesi Baschi? Di cosa sta parlando Cremaschi, di quale lotta armata? Facciamo opera di chiarezza nel fumoso aut aut di Cremaschi: intende la lotta armata che le Brigate Rosse e le altre Organizzazioni Comuniste Combattenti hanno condotto in Italia negli anni ‘70. Parla cioè di una forma di lotta specifica e precisa che ha caratterizzato la lotta di classe e il movimento rivoluzionario del nostro paese e di cui oggi non vi sono manifestazioni che non siano i rivoluzionari prigionieri, alcuni in carcere da decenni. Dissociarsi da quella lotta armata, oggi, ha solo tre significati:

– intrupparsi nella concezione del mondo e della storia della borghesia imperialista che ha il solo interesse di denigrare e criminalizzare una fase della lotta per la rivoluzione socialista in Italia, che ha interesse a omettere il contributo che quella esperienza ha dato al movimento rivoluzionario del nostro paese (vedi Cristoforo Colombo), al netto delle deviazioni militariste utili alla criminalizzazione: le Brigate Rossa hanno incarnato il secondo tentativo di costruzione del Partito Comunista contro la deriva economicista ed elettoralista imposta al PCI dai revisionisti moderni, hanno dimostrato praticamente che la rivoluzione socialista in un paese imperialista è possibile, hanno rotto con il disfattismo e l’attendismo seminato a piene mani dalle teorie della Scuola di Francoforte (uno su tutti: Toni Negri). Le Brigate Rosse sono state sconfitte per motivi ideologici, per le concezioni del loro gruppo dirigente, per il primato del militarismo, ma la loro esperienza è insegnamento (imparare dagli errori), non vergogna (accodarsi al nemico), per la rinascita del movimento comunista;

– sottomettersi alla concezione del mondo dei riformisti e dei revisionisti per cui “il socialismo è possibile senza rivoluzione socialista e senza dittatura del proletariato”. Chi vuole vincere senza combattere, non vuole vincere. Non vuole vincere perché ha da perdere qualcosa in questa società o non vuole combattere perché è illuso che la borghesia imperialista si faccia da parte in buon ordine. In entrambi i casi, si tratta di una strada che ha come sbocco il perpetuarsi del capitalismo, la sottomissione delle masse popolari alla borghesia imperialista, la mobilitazione reazionaria delle masse popolari, la lotta fra settori delle masse popolari dello stesso paese e la lotta delle masse popolari di un paese contro le masse popolari di un altro paese in nome degli “interessi nazionali”. Questa è l’esperienza del movimento comunista, questi sono i fatti;

– contribuire a isolare i rivoluzionari prigionieri, assumere il ruolo di quelli che dicono: “avete lottato, adesso pagate il prezzo delle vostre resistenze alla “redenzione”: la borghesia imperialista ha vinto, le masse popolari hanno perso e voi pagate il prezzo della sconfitta”.

Noi non ci dissociamo da niente. L’esperienza delle Brigate Rosse e delle altre Organizzazioni Comuniste Combattenti fa parte della storia della lotta di classe, fa parte del movimento rivoluzionario: dissociarsi dalla storia anziché imparare dagli errori e usare gli insegnamenti per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato è un classico atteggiamento da disfattisti. Il proletariato non si è pentito, è il titolo di un libro che è stato un manifesto contro la dissociazione e il pentitismo negli anni ‘80: se non si è pentito il proletariato, se il proletariato e le masse popolari non devono pentirsi, chi vuole avere un ruolo positivo nella loro mobilitazione non può pretendere e auspicare il contrario. Equivale a pretendere che si fossero pentiti i partigiani, i gappisti, i sappisti. Noi alziamo una bandiera che ha attraversato secoli e storie, situazioni e condizioni, che è stata alzata a sua volta da donne e uomini che non hanno nulla di cui pentirsi, nulla da cui dissociarsi: è la storia del movimento comunista e della rivoluzione socialista.

Dividere fra buoni e cattivi. “Dissociatevi dalla lotta armata” dice Cremaschi, “dissociatevi dalla clandestinità” dice Casadio (del (nuovo)PCI, diciamo noi, perché la fumosità di questa tesi lascia intendere “la clandestinità del P.CARC”): “fate i buoni” esortano i dirigenti di RdC e il gruppo di testa di Eurostop. Fare i buoni: ma chi sono i buoni? Con quali criteri si individuano e si scelgono? Chi li sceglie? Nel campo delle masse popolari non esistono buoni o cattivi, esistono tendenze arretrate o avanzate, giuste o sbagliate, combattive o disfattiste e l’unico criterio per definire ognuna è se contribuisce e favorisce la rivoluzione socialista o la ostacola.

Le categorie che usano autorità e istituzioni della Repubblica Pontificia, i loro giornali, le loro televisioni, i vertici delle strutture sindacali o politiche che influenzano e controllano sono funzionali a promuovere la divisione delle masse popolari. Noi siamo per l’unità dei buoni e dei cattivi, dei lavoratori dipendenti, di quelli pubblici e di quelli autonomi, degli uomini e delle donne, dei giovani e degli anziani, degli italiani e degli immigrati, unità funzionale alla rivoluzione socialista. Se si mettono avanti gli interessi generali delle masse popolari e della classe operaia, tutte le divisioni oggettive che derivano dalla società capitalista e sono il riflesso della divisione in classi della società si mostrano per quello che sono, contraddizioni in seno al popolo che si possono risolvere solo instaurando il socialismo. Se si mettono avanti i criteri e i principi propri della classe dominante, le divisioni e le contraddizioni che esistono oggettivamente e quelle che la classe dominante alimenta in ogni momento e in ogni circostanza diventano il terreno della guerra per bande fra le masse popolari.

Per essere pratici: la linea del P.CARC nelle grandi manifestazioni nazionali è quella di favorire le condizioni per il Governo di Blocco Popolare non quella di denunciare il marasma in cui siamo immersi né quella di aizzare alla ribellione con azioni militanti fini a se stesse. Ma mai e poi mai prenderemo le distanze da chi legittimamente si ribella e attacca i palazzi e i simboli del potere. Mai e poi mai impediremo ai ribelli di riempire le piazze, mai ci uniremo alla criminalizzazione, alla delazione, alla selezione preventiva. Spaccare le vetrine e incendiare banche non rientra in quello che noi definiamo “fare la rivoluzione”, ma non riteniamo l’insubordinazione e la ribellione verso le autorità e istituzioni della Repubblica Pontificia un “favore al nemico”. Anzi è la retorica da pompiere delle mobilitazioni, è la dissociazione preventiva, è la condanna a posteriori (magari accanto a grandi proclami di solidarietà a chi incendia Londra o Parigi), è la persistente volontà di distinguersi come “responsabili e affidabili” agli occhi delle autorità e delle istituzioni della Repubblica Pontificia che fa il gioco di eventuali provocatori ed eventuali infiltrati, che alimenta la divisione fra buoni e cattivi.

Non c’è niente di più immorale e disumano che la rassegnazione, la sottomissione e il servilismo. Con la rassegnazione tutto è perduto! Con la ribellione tutto è possibile. Chi predica contro la ribellione e condanna la ribellione, lavora a favore della borghesia e del clero, confluisce e collabora con i difensori dell’ordine borghese (…). Le forme di ribellione sono tanto più giuste quanto più sono efficaci per eliminare l’ordine sociale che ci opprime! Ribellarsi è giusto! È legittimato a criticare i ribelli, solo chi indica e pratica forme di ribellione più efficaci (dal Comunicato (n)PCI, 19.10.2011).

Negli anni abbiamo difeso, e difenderemo, praticandoli, gli spazi di agibilità politica che la classe dominante vuole eliminare con colpi di mano e provocazioni. Abbiamo una linea chiara per tradurre in pratica questo orientamento: è legittimo tutto quello che è conforme agli interessi delle masse popolari, anche se è considerato illegale dalle leggi della borghesia. Per questi motivi denunciamo pubblicamente e rispediamo al mittente ogni tentativo di dividere il movimento popolare fra buoni e cattivi qualunque sia il pretesto con cui l’operazione viene promossa.

La manifestazione del 25 marzo a Roma ha pagato il prezzo dell’impostazione data dal gruppo di testa degli organizzatori, una impostazione evidente dai risultati pratici (160 persone sequestrate, 22 fogli di via, la spaccatura del corteo e la “blindatura” di 2000 partecipanti, perquisizioni fin dentro la piazza del concentramento, una partecipazione oggettivamente bassa) e rivendicata da loro stessi.

La retorica del “grande corteo perfettamente riuscito” (per chiarezza: abbiamo partecipato e contribuito quanto altre organizzazioni e partiti, nessuna “smarcatura” da parte nostra) serve solo a nascondere una concezione retriva e dannosa che permette agli apparati repressivi di sguazzare fra i buoni, i cattivi e le tante “sfumature” fra le due categorie.

Conclusioni.

Da cosa nasce il comportamento dei dirigenti di RdC e del gruppo di testa di Eurostop? Il livore è l’espressione della loro debolezza ideologica e della mancanza di una prospettiva per dare le gambe alle parole d’ordine No Euro, No Ue, No Nato. Gli oppositori più ostinati della creazione di un governo d’emergenza popolare sono ostili nei nostri confronti perché il P.CARC e il (n)PCI non solo perseguendo la linea del Governo di Blocco Popolare mettono a nudo la pratica tipica della sinistra borghese di lanciare parole d’ordine progressiste senza darsi i mezzi per realizzarle, ma smascherano anche le basi ideologiche dell’opposizione alla linea del Governo di Blocco Popolare, cioè il disfattismo (“la rivoluzione è impossibile”) e l’attendismo (“la rivoluzione scoppierà prima o poi”). Lo sviluppo del movimento No Euro, No Ue, No Nato farà sparire quel livore.

A questo punto, ognuno può tirare delle conclusioni ed è bene che le tiri. Chi è convinto che si tratti di questioni di lana caprina che non attengono al marasma in cui siamo immersi e alla via per porvi termine definitivamente con la rivoluzione socialista, si renda conto che protestare senza costruire la rivoluzione socialista gli garantirà un posto fra quelli che portano la loro testimonianza: interessante (a volte), ma inutile. Chi è convinto che “sia tutto normale, perché è sempre stato così”, rifletta che il “è sempre stato così” è uno dei motivi (non l’unico) per cui né in Italia né in alcun altro paese imperialista è stata fatta la rivoluzione socialista: la sottomissione al senso comune corrente anziché la trasformazione del movimento rivoluzionario alla luce della concezione comunista del mondo. Dove “non è stato così” la rivoluzione, invece, i comunisti l’hanno guidata, la classe operaia e le masse popolari l’hanno fatta, anche dove le condizioni oggettive erano meno favorevoli, come in Russia: molti citano Lenin, ma in genere si guardano bene dal tentare di emulare il suo rigore e prendere i suoi insegnamenti rispetto alla lotta ideologica e al dibattito politico. Infine, chi si rende conto che di “normale” non c’è nulla, che entro il movimento comunista e rivoluzionario ognuno (singolo e organismo) concorre alla definizione di unità superiore attraverso la lotta ideologica, è utile che si esprima.

Ai comunisti non serve l’unità senza principi, serve unità su princìpi, criteri, idee e pratiche giuste. Questa è l’unità che ci serve.

1 COMMENT

  1. Ottimo. A compagni e compagne del partito e interessati chiedo di diffondere questo documento via Facebook, condividendolo e inviandolo come messaggio agli amici. A questo servono gli amici.

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