Di seguito la lettera che Clara ha inviato alla nostra Agenzia Stampa, come contributo all‘appello lanciato dal (n)PCI alle donne delle masse popolari in vista dell’8 Marzo.
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Cari compagni, ho letto con grande emozione l’Appello del (n) PCI in occasione di questo 8 marzo, Giornata Internazionale della Donna.
È un appello che parla alla testa, grazie alla spiegazione scientifica, lucida e oculata dell’origine della doppia oppressione che colpisce le donne delle masse popolari: di classe e di genere, e di come i rapporti economici e sociali imposti dalla società borghesia siano funzionali all’oppressione delle donne, di cui stupri e femminicidi sono una delle tante manifestazioni. Ma parla anche al cuore, e lo scalda, perché mostra le prospettive radiose che la lotta apre di fronte a noi: donne e uomini delle masse popolari.
Leggendo l’appello del (n) PCI ho pensato alla mia personale esperienza: donna, giovane, proletaria, oppressa doppiamente, destinata, stanti i rapporti sociali vigenti, a soffocare nel lavoro di cura verso un fratello gravemente malato, in una condizione di estrema precarietà familiare (in quanto siamo orfani di madre e nostro padre ha una certa età) ed isolamento sociale.
A causa dei tagli al welfare mio fratello, gravemente malato, è costretto ad una situazione di isolamento e di precarietà e con lui il resto della mia famiglia. Da senso comune, io, unica figlia femmina cosa avrei dovuto fare se non rimanere a casa per curare tutta la famiglia, rinunciando così ai miei studi, alle mie passioni e relazioni?
All’epoca avevo 18 anni, decisi di dire NO a questo destino e me ne andai via di casa, in un’altra città, “rompendo con il passato”. Ma il senso di colpa mi attanagliava: ho fatto, per anni, la “spola” tra una vita nuova, in una nuova città alle prese con l’Università e il resto delle mie attività e la “vecchia” fatta di lavori e lavoretti, spesso sfiancanti e malpagati, per contribuire alla bene e meglio all’economia familiare, sostenere mio padre, mio fratello, arrabattandomi per capire cosa dovessi fare: tornare a casa? Abbandonare gli sudi e mettermi a lavorare a tempo pieno? Insomma, galleggiavo, cercando di fare “quello che potevo” per mettermi “la coscienza a posto”. Poi, però, la sera quando ero a letto pensavo, rimuginavo e mi chiedevo come avrei fatto in futuro, con prospettive lavorative quasi nulle (una laurea in Filosofia…), un fratello malato, un padre anziano…e allora tutti i miei sforzi apparivano vani e il senso di impotenza, la paura prendevano il sopravvento. La borghesia ti da tanti modi per affogare la paura, almeno per un giorno, o per una sera: droghe, psicofarmaci, alcool, psichiatri, psicologi, presi uno per uno oppure tutti insieme…poi, ho incrociato il movimento comunista e partecipando alla lotta di classe ho preso coscienza di una serie di cose: che ai bisogni immediati e materiali della mia famiglia avrei dato risposta tanto più mi sarei messa nell’ottica di rispondere ai bisogni materiali e immediati di tutti, lottando, quindi, per un’alternativa generale. Ho preso coscienza che solo la lotta per l’abolizione della divisione della società in classi, da cui derivano tutte le altre forme di oppressione, quella verso le donne compresa: un residuato delle società feudali e di concezioni medioevali perpetuate dal capitalismo perché funzionali al proprio sistema di oppressione, può emancipare i proletari. Ho alimentato la voglia di riscatto, che ricavavo dalla mia esperienza, con l’esempio delle masse popolari, donne, uomini, giovani, anziani, che durante la prima ondata della rivoluzione proletaria hanno lottato per loro e per noi. Tante, troppe storie, nella maggior parte dei casi (se non nella totalità) escluse dai programmi didattici di scuole e università.
La mia è un’esperienza piccola, piccolissima, ma volevo raccontarla, è un pensiero a tutte le donne e a tutti gli uomini che lottano, con i loro mezzi, con la loro coscienza, per resistere agli effetti della crisi a cui mi sento unita nella condivisione comune di un’esistenza da proletaria che si sta emancipando grazie alla lotta, cosciente e determinata, per l’instaurazione del socialismo nel nostro Paese.
Ebbene, auguro a tutte le donne e a tutti gli uomini delle masse popolari di proseguire nella loro lotta non solo più per resistere, ma per imparare ad essere promotori consapevoli della battaglia per costruire il “nuovo mondo”, che può nascere, e che si chiama socialismo.
Clara