Nel 2010 Marchionne a Pomigliano aveva giurato che la FIAT (ora FCA) avrebbe triplicato la produzione a condizione che venisse rimosso l’intralcio di diritti “ormai superati”, leggi “antiquate” e sindacati “ideologici”. Pomigliano è la dimostrazione che le promesse dei padroni sono balle e i politicanti, i sindacalisti e i giornalisti che le spacciano per buone sono loro complici! A sette anni di distanza, la fabbrica-caserma che avrebbe dovuto sfornare centinaia di migliaia di nuove auto ha tutti i sintomi di una fabbrica condannata a morte.
I fatti, in breve. A novembre dell’anno scorso FCA comunica che 500 operai (più eventuali altri 600) devono essere trasferiti “temporaneamente” da Pomigliano a Cassino per avviare la produzione del nuovo Suv Stelvio.
A dicembre, senza consultare gli operai, FIM, UIM, FISMIC e Associazione Quadri FCA firmano l’accordo per rendere operativo il trasferimento: dicono che permetterà agli operai attualmente in contratto di solidarietà a Pomigliano di tornare a lavorare a tempo e stipendio pieno e agli operai che andranno a Cassino di avere un bonus di 500 euro. La FIOM non firma perché l’accordo non prevede che i trasferimenti siano su base volontaria, il bonus di 500 euro non è garantito per tutto il periodo di trasferimento e per Pomigliano non c’è un piano produttivo.
Il 20 gennaio la FIOM convoca le assemblee in cui, pur ribadendo che non è un buon accordo, chiede e ottiene dagli operai il mandato a sottoscriverlo per poter partecipare al tavolo delle trattative sul piano industriale per Pomigliano che partiranno a marzo. È lo stesso sistema con cui, dove si sono effettivamente tenute (quindi brogli a parte), la FIOM ha fatto passare l’infame CCNL dei metalmeccanici nelle assemblee di fabbrica del dicembre scorso. “Tra gli operai manca la spinta a opporsi all’accordo” è il modo con cui la direzione FIOM giustifica la sua resa alle imposizioni padronali, l’ulteriore allineamento ai sindacati collaborazionisti e l’adesione alla linea padronale di aziendalizzazione del contratto di lavoro.
A partire dalla fine di gennaio, alcuni operai del Comitato ex licenziati e cassintegrati FCA iscritti al Si Cobas iniziano un intervento sistematico fuori dai cancelli di Pomigliano (fuori perché, benché abbiano vinto la causa contro il licenziamento, FCA gli paga lo stipendio ma non li ha reintegrati sul posto di lavoro), con il sostegno e la partecipazione di partiti, organismi e singoli del posto. Con volantinaggi, comizi, assemblee in piazza, concerti e altre iniziative denunciano l’operato dell’azienda e dei sindacati complici, mettono in guardia che la deportazione prepara lo smantellamento dello stabilimento, chiamano a organizzarsi nel Comitato NO Cassino e a opporsi alle deportazioni. E il 20 febbraio in una nuova assemblea convocata dalla FIOM gli operai votano all’unanimità una mozione presentata dal Si Cobas che rigetta l’accordo firmato a dicembre e pone una serie di condizioni importanti per il trasferimento temporaneo a Cassino.
La lezione. Il ricatto e il terrorismo padronale sono rafforzati dal disfattismo e dalla rassegnazione predicati dai sindacati di regime e da altri agenti padronali. Ma non è vero che alla FCA e in tutte le altre aziende non c’è niente da fare! Ovunque qualcuno, anche un piccolo gruppo, vuole promuovere la resistenza e si organizza per farlo, la resistenza dei lavoratori si sviluppa.
Pomigliano conferma la lezione di Melfi, dove con la lotta contro i sabati comandati un piccolo gruppo di operai avanzati ha preso in mano la lotta contro il sistema Marchionne e l’ha estesa ad altre fabbriche FCA del centro-sud.
Conferma la lezione della ex Lucchini di Piombino, di Almaviva, di Alitalia e di altre aziende. Conferma la lezione del movimento NO TAV: contro le misure antipopolari ci si mobilita per evitare che vengano decise e, se nonostante questo vengono prese, ci si mobilita per boicottarne l’attuazione.
Allo stesso tempo la INNSE di Milano come la Ginori di Sesto Fiorentino, l’esito del referendum sull’acqua del 2011 e quello contro la riforma costituzionale targata Renzi indicano forte e chiaro che per raggiungere risultati stabili, estendere la ribellione e cambiare il corso delle cose occorre creare una rete di organismi operai e popolari decisi a prendere in mano il paese, a formare un loro governo nazionale.
Bisogna rafforzare la resistenza, generalizzarla, estenderla e dare a tutti i gruppi e gli organismi della resistenza l’obiettivo comune di costituire un loro governo d’emergenza. Questo dà anche gambe per marciare alle parole d’ordine “attuare la Costituzione del 1948” e “rompere con Euro, UE e Nato”.
Bisogna passo dopo passo trasformare questa resistenza in attacco, perché è l’unica via di salvezza per le masse popolari di tutto il paese!