“Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come l’araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia, i suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti”
K. Marx, La guerra civile in Francia (1871)
Fare dell’Italia un nuovo paese socialista significa fare dell’Italia un paese che si sorregge su tre pilastri: la dittatura del proletariato, la proprietà pubblica dei mezzi di produzione, la promozione della crescente partecipazione delle masse popolari alle attività propriamente umane e in particolare alla gestione della società.
Dittatura del proletariato è un termine che in certi casi suscita diffidenza e disapprovazione in tanti che pure si definiscono comunisti, a dimostrazione di quanta influenza abbiano le concezioni della sinistra borghese anche in chi ha la falce e il martello nel cuore. In questo articolo trattiamo di questo, con l’occasione della ricorrenza del Centenario delle Rivoluzione d’Ottobre (1917 – 2017) e del 146° anniversario della Comune di Parigi.
Lo Stato e la lotta di classe. Marx ed Engels studiando la natura e l’origine dello Stato sono arrivati alla conclusione che si è uno strumento con cui la borghesia sottomette la classe operaia e il resto delle masse popolari. Pertanto per spezzare il potere della classe dominante la classe operaia deve rovesciare la dittatura della borghesia e instaurarne una propria, utilizzando il potere politico per collettivizzare la proprietà dei mezzi di produzione. Solo la storia poteva però rivelare quali forme doveva assumere concretamente la dittatura del proletariato teorizzata da Marx ed Engels.
Ci sono mille modi per dimostrare che la sintesi a cui arrivarono Marx ed Engels è giusta: tanti quelli che fornisce la storia e tanti quelli che fornisce l’analisi della situazione attuale. Le condizioni politiche in cui le masse popolari di Parigi insorsero e diedero vita alla Comune sono un esempio del primo tipo.
Nella guerra fra l’Impero Prussiano e l’Impero Francese (1870 – 1871), la classe dominante francese diede grande dimostrazione di quanto temesse maggiormente il potere del popolo rispetto alla capitolazione all’impero prussiano.
La guerra, del resto, era combattuta dalle masse popolari (carne da macello e da cannone), come erano le masse popolari a produrre ogni bene e servizio con cui i capitalisti si arricchivano e di cui la nobiltà godeva. Ed erano le masse popolari che pretendevano di decidere per cosa combattere, che cosa produrre e chi dovesse beneficiare della produzione del loro lavoro.
Quando Luigi Bonaparte venne catturato a Sedun (2 settembre 1870), le masse popolari di Parigi insorsero contro la monarchia e imposero la Repubblica. Il governo provvisorio che nacque risultò incerto e diviso: assecondare le rivendicazioni popolari di riforme sociali e per il proseguimento della guerra per sconfiggere i tedeschi oppure accordarsi con i tedeschi per la resa? La seconda ipotesi prevalse: meglio una pace a perdere fra padroni che armare il popolo contro gli invasori (Parigi fu assediata per 5 mesi e i morti furono migliaia). L’8 febbraio, in ragione di un armistizio che l’esercito prussiano rispettò proprio per permettere la formazione di un’autorità titolata a trattare la resa, si tennero le elezioni nella città assediata e il 1° marzo il Parlamento ratificò i trattati preliminari per la pace.
“I proletari di Parigi, diceva il Comitato Centrale nel suo manifesto del 18 marzo, in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti, hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari. (…) Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo” da K. Marx, La guerra civile in Francia (1871)
Fu allora che le masse popolari di Parigi, animate da una classe operaia generosa e combattiva, schiacciate dal tallone di ferro dell’impero di Luigi Bonaparte, prima, tradite dal governo provvisorio, poi, e infine abbandonate all’impero prussiano che accettava la pace al prezzo di condizioni insostenibili, insorsero. Fra lo Stato dei nobili, lo Stato dei borghesi e lo Stato degli invasori scelsero lo Stato del proletariato e scrissero la premessa di una storia che l’umanità non aveva ancora conosciuto e per cui ancora lotta da quando ne ha conosciuto gli sviluppi con la Rivoluzione d’Ottobre.
La Comune di Parigi nacque dall’insurrezione del 18 marzo 1871, fu istituita il 28 marzo dopo le elezioni dirette a suffragio universale che sostituirono tutte le cariche esistenti in precedenza e, ben prima che i suoi frutti potessero maturare, a maggio fu schiacciata nel sangue della repressione di quegli stessi generali e battaglioni che sotto i colpi dei prussiani si erano arresi, scagliati dai prussiani stessi a regolare i conti con quelle masse popolari che istituirono il primo embrione di paese socialista della storia. Tanto grande il panico in cui piombarono le classi dominanti di ogni paese che l’esercito francese volle cancellare ogni traccia della Comune e dei comunardi, ammazzandone più di 20 mila e imprigionandone o scacciandone altrettanti; Bismarck liberò 100mila prigionieri di guerra affinché fossero reintegrati nell’esercito francese e scagliati contro gli operai; il Vaticano eresse a monito perpetuo la Basilica del Sacro Cuore di Parigi per eliminare ogni possibile fraintendimento su quale fosse “l’ordine naturale” a cui appartiene, non di fronte a dio, ma di fronte ai capitalisti.
L’esperienza della Comune si concluse lasciando aspirazioni e insegnamenti alle masse popolari di ogni paese. In particolare essa dimostrò che la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini (Marx), ma deve invece costruire uno Stato adatto ai propri scopi storici, un potere che contiene in se il germe della sua estinzione.
La rivoluzione d’ottobre e la dittatura del proletariato. Fu Lenin, riprendendo il bilancio fatto da Marx, a raccogliere più compiutamente gli insegnamenti della Comune e a sintetizzarli in Stato e rivoluzione, nel 1917. Il testo costituisce un punto fondamentale nella teoria del movimento comunista contro le derive elettoraliste e riformiste con cui i partiti della Seconda Internazionale rimandavano la questione della dittatura del proletariato a un imprecisato avvenire.
Il Partito bolscevico, facendo propri gli insegnamenti della Comune di Parigi, si pose apertamente l’obiettivo di superare i due grandi limiti che l’avevano caratterizzata: lo spontaneismo e la titubanza nel mettere fuori gioco i nemici. Alla luce della concezione comunista del mondo, Lenin diresse il Partito a perseguire concretamente l’obiettivo di instaurare la dittatura del proletariato, a crearne i presupposti nella pratica della lotta di classe, a dotarsi di un piano preciso per farne l’obiettivo cosciente della parte avanzata della classe operaia.
La pratica della rivoluzione sovietica mostrò (cosa che non riuscì compiutamente alla Comune di Parigi) quale forma assumeva la dittatura del proletariato e quali forze poteva mobilitare attingendo dall’inesauribile fonte della classe operaia e delle masse popolari.
“La grande misura sociale della Comune fu la sua stessa esistenza operante. Le misure particolari da essa approvate potevano soltanto presagire la tendenza a un governo del popolo per opera del popolo. Tali furono l’abolizione del lavoro notturno dei panettieri; la proibizione, pena sanzioni, della pratica degli imprenditori di ridurre i salari imponendo ai loro operai multe coi pretesti più diversi (…). Altra misura di questo genere fu quella di consegnare alle associazioni operaie, sotto riserva d’indennizzo, tutte le fabbriche e i laboratori chiusi, tanto se i rispettivi capitalisti s’erano nascosti, quanto se avevano preferito sospendere il lavoro”
K. Marx, La guerra civile in Francia (1871)
Il socialismo è in primo luogo la dittatura del proletariato. La concezione romantica della rivoluzione socialista come processo alternativo alla dittatura del proletariato è un vezzo della sinistra borghese e, pertanto, nella misura in cui lo influenza, una tara del movimento rivoluzionario. I cantori della Comune di Parigi libertaria e democratica non si prendono la responsabilità della sua sconfitta (un po’ come i cantori del socialismo democratico di Allende), mentre tuonano contro “il burocratismo e lo statalismo autoritario che ha fatto degenerare la Rivoluzione d’Ottobre, tradendone lo spirito”. Parlano di spirito e di rivoluzione come se la classe operaia e le masse popolari potessero permettersi il lusso di combattere e perdere, di combattere per la gloria. Non imparano dalla storia e pretendono che altri non imparino al pari loro.
Chi parla di socialismo, di potere dei lavoratori, di partecipazione attiva delle masse popolari alla gestione della società, senza dittatura del proletariato, parla di un nonsenso. Nella moderna società e finché l’umanità non avrà superato la divisione in classi, nel comunismo, possono esistere solo la dittatura della borghesia o la dittatura del proletariato, cioè la dittatura delle uniche due classi in grado di muovere l’intera società, di dirigerla: la prima perché detiene la ricchezza, la seconda perché la produce. O una o l’altra. Chi non parteggia per la dittatura del proletariato, parteggia per quella della borghesia; chi non è per il socialismo è per il capitalismo, non ci sono terze vie.