[Internazionale] Il reazionario Trump e la tendenza alla guerra

Sull’edizione de Il Manifesto del 3.02.2016 si legge ancora sullo sviluppo dell’azione di governo di Donald Trump, azione di governo che indigna e smuove le coscienze delle masse popolari più progressiste e della sinistra borghese che sembra non capacitarsi di come “uno così” sia salito sul gradino più alto del mondo. Il lampi i tuoni e le saette che The Donald scaglia contro paesi oppressi del proprio continente e del resto del mondo lasciano sbigottiti e atterriti i più anche se sbigottimento e atterrimento non rendono chiaro il quadro e non ci rivelano come quella di Trump sia solo la faccia più meschina e spudorata della borghesia imperialista e come le politiche di aggressione verso altri paesi siano andate avanti anche con Obama, Clinton e altri esponenti democratici. Dentro e fuori dagli Stati Uniti le politiche messe in campo dai gruppi imperialisti americani e sionisti sono di devastazione sociale, culturale e ambientale. La borghesia imperialista, negli Stati Uniti più che altrove, non fa altro che mostrare il suo livello attuale di controllo sociale ed economico, la sua incapacità e impossibilità di pianificare alcunché, il suo essere classe dirigente di un mondo vecchio che, mentre muore, spinge perché nasca il nuovo.
Trump, in realtà, si è insediato alla Casa Bianca in un clima tutt’altro che sereno: centinaia di migliaia di persone hanno invaso le strade di Washington e delle principali città degli USA per affermare la loro assoluta opposizione alle posizioni reazionarie e razziste su cui ha poggiato la campagna elettorale. Una parte di esse è mobilitata direttamente (o attraverso il megafono di personaggi di spicco della cultura e dello spettacolo) dalle fazioni della classe dominante più vicine a Obama e alla Clinton, ma una parte consistente è genuina esponente delle masse popolari statunitensi.
Le tensioni che hanno fatto da sfondo e contesto all’insediamento di Trump sono solo una manifestazione della situazione di crisi politica negli USA, l’altra, egualmente evidente, è stata la sequenza di sgambetti e colpi bassi con cui l’amministrazione Obama ha “preparato il terreno” al passaggio di consegne: dalle crescenti tensioni con la Russia (l’espulsione di 32 diplomatici russi dagli USA, culmine di una campagna di accuse di spionaggio e pirateria informatica dei servizi russi contro Obama e in favore di Trump, fino a truccare l’esito delle elezioni presidenziali) allo strappo con Israele sul riconoscimento dei territori occupati in Palestina. In mezzo le manovre in Turchia e Siria, il posizionamento di truppe nei paesi NATO confinanti con la Russia, ecc. Insomma, Obama ha fatto il possibile per lasciare Trump in una situazione il più possibile ingestibile.
In ballo ci sono le linee di sviluppo della politica estera degli USA e Trump sembra ben deciso a recuperare i rapporti con la Russia per isolare la Cina.
Se al discorso inseriamo i gruppi imperialisti franco-tedeschi, che sviluppano un rapporto di tendenziale conflitto e necessaria unità con gli imperialisti USA, e mettiamo sullo sfondo la Brexit, stiamo parlando dello sgretolamento, anche formale oltre che sostanziale, del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, a conferma del fatto che la borghesia imperialista non riesce più a governare il mondo con le forme e gli istituti con cui lo ha governato fino a oggi.
La relazione fra le grandi mobilitazioni contro Trump e i sommovimenti a livello internazionale è la seguente: le contraddizioni fra gruppi imperialisti e la contraddizione fra borghesia imperialista e masse popolari (quest’ultima è l’aspetto dirigente) rendono particolarmente acuta la contraddizione sul fronte interno degli USA, motivo per il quale i gruppi imperialisti predominanti negli USA cercheranno in ogni modo di affrontarla riversandola all’esterno, cioè contro i governi dei paesi oppressi dall’imperialismo e gli stati “canaglia” e, inevitabilmente, anche contro altre fazioni dei gruppi imperialisti concorrenti.
L’elezione di Trump, il suo insediamento e i suoi primi provvedimenti (come l’abolizione del TTIP) non sono una soluzione, un fattore di stabilità, ma un ulteriore passo verso la guerra imperialista. Di seguito l’articolo da Il Manifesto in cui si tratta di quanto appena scritto.

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Sempre più Trump Truppen: minacce a Messico e Australia
La Casa sbianca. Procede anche l’operazione «culturale» contro ambiente e strati più deboli della popolazione
L’amministrazione Trump celebra due settimane in carica in un paese in subbuglio. A Washington continuano i lavori per completare il governo ma la formalità della conferma parlamentare dei ministri designati è degenerata in battaglia campale. Mercoledì sera si è ufficialmente insediato al dipartimento di stato Rex Tillerson, l’ex Ad della Exxon corporation e una delle figure più controverse del gabinetto per i palesi conflitti di interesse, compresi gli stretti rapporti d’affari che lo legano a Wladimir Putin.
L’OPPOSIZIONE ha continuato a registrare la propria opposizione al petroliere ma in ultima analisi i democratici non hanno i numeri per bloccare le nomine. In alternativa i senatori hanno preso a boicottare le commissioni preposte, mossa puramente simbolica dato che i repubblicani hanno modificato il regolamento per permettere la conferma anche senza la partecipazione della minoranza. Con questo sistema è stato ratificato ieri Scott Pruitt l’avvocato dei petrolieri preposto alla rottamazione della agenzia di protezione ambientale (Epa), dicastero che egli stesso ha definito «superfluo».
LO SCOMPIGLIO viene rivendicato dai trumpisti come segno che il presidente sta mantenendo fede al proprio mandato di «decostruzione dell’ordine costituito», un’opera esplicitata finora dalla raffica di decreti presidenziali. Iniziati col proclama solenne di una giornata di «devozione patriottica», gli ordini ad oggi sono una dozzina e prendono di mira principalmente l’ambiente, annullando normative e autorizzando oleodotti (compreso quello che attraversa le terre Sioux) e popolazioni deboli e marginalizzate: cooperazione internazionale (vietata se i fondi sono per la pianificazione famigliare), abrogazione della sanità pubblica e interdizione agli immigrati musulmani.
LA NARRAZIONE DELLA VITTORIA trumpista è stata finora quella della riscossa della working class esautorata ma all’atto pratico nella stanza di bottoni sono entrati banchieri della Goldman Sachs (tre ministri), la destra teocon (a loro è dedicata la nomina del ultra conservatore Neil Gorsuch alla corte suprema) e la lobby militarista e anti islamica (con generali posti ai punti nevralgici della difesa.)
Pur in questo quadro la parte più inquietante dell’operazione Trump rimane la gestione del più ampio progetto politico e «culturale» affidato ad un trust ordinovista di indirizzo alt-right. Il «secondo uomo più potente del mondo» è infatti il «consigliere strategico» Steve Bannon che ha lo scopo dichiarato di creare un «nuovo ordine politico». Nella visione di Bannon rientra la decostruzione della società multiculturale predicata sul percorso dei diritti civili degli ultimi 50 anni, una implicita supremazia bianca, una forte corrente «machista» sotto le spoglie di una abolizione della «correttezza politica» e la restaurazione degli «anni d’oro di un capitalismo giudeo-cristiano». Già direttore del portale alt-right Bretibart News e produttore cinematografico, Bannon è un esperto guastatore culturale ed è da lui che emanano gli effetti più perniciosi della riconversione trumpista dell’esperimento americano.
L’OPERA DI BANNON ha molto a che vedere con gli eventi avvenuti a Berkeley ieri notte quando nella culla della contestazione degli anni ‘60, è esplosa la protesta che ha messo a ferro e fuoco il centro della città universitaria. Causa scatenante è stato un comizio di Milo Yiannopolous programmato sul campus californiano. Yiannopolous è un esponente di estrema destra di ultima generazione, apertamente gay e antifemminista, educato a Cambridge opera come «fascio punk», con proclami shock contro «il cancro della giustizia sociale» e le immancabili crociate contro la correttezza politica, ribadite l’estate scorsa alla convention di Cleveland. Il recidivo trollismo gli sono valsi il bando perpetuo da Twitter.
Yiannopolous è il diretto delfino di Bannon che lo ha assunto a Breitbart e di cui è attualmente un «senior editor» e dunque direttamnte legato al principale «commissario politico» di Trump. Per il resto, nelle ultime 48 Trump ha «avvertito» l’Iran per il lancio di un missile balistico, minacciato l’invio di truppe per contrastare l’illegalità in Messico («bad hombres» nel lessico del presidente) e attaccato il telefono in faccia all’alleato conservatore australiano Malcolm Turnbull per un diverbio su mille profughi che gli Usa si erano impegnati ad accogliere.

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