Napoli. L’assemblea che si è tenuta il 12 gennaio scorso all’ex-Asilo Filangieri è stata veramente ricca di insegnamenti, per come ci siamo arrivati e per come si è svolta (vedi al riguardo http://rinascitadigramsci.blogspot.it). È stata una battaglia nella campagna che la Carovana del (n)PCI conduce contro le concezioni disfattiste e le posizioni attendiste e contro soggetti specifici che le promuovono.
L’assemblea è stata indetta da Rete dei Comunisti (RdC), promossa da Michele Franco, membro napoletano dell’organismo. È intervenuto Sergio Cararo, direttore del giornale on line di RdC, Contropiano, e questo ha indicato il rilievo nazionale dell’evento. E’ stato il primo momento pubblico di confronto sulle critiche che da mesi gli organismi della Carovana avanzano a RdC: a giugno con un intervento dell’Agenzia Stampa del P.CARC sulla relazione di Michele Franco al convegno La ragione e la forza indetto da RdC a Roma in quel mese, a cui ha fatto seguito una lunga analisi del Centro di Formazione del Partito Critica alla concezione del mondo della Rete dei Comunisti. A metà dicembre il (nuovo)PCI e la Commissione Gramsci hanno criticato il disfattismo evidente già nel titolo di un Forum indetto da RdC a Roma, Il vecchio muore e il nuovo non può nascere. Il 23 dicembre il Sindacato Lavoratori in Lotta di Napoli è intervenuto a sua volta sulla materia. Per tutto questo intenso lavoro di analisi e di critica qualche interesse è stato manifestato da Franco, ma nessuna risposta è arrivata da alcuno. Il motivo per cui dirigenti di RdC hanno deciso di trattare la materia in pubblico risale a un episodio successo a Natale: un’aggressione nei confronti di Franco, a Napoli, da parte di soggetti che lo accusavano di essersi dissociato dalla lotta di classe in corso negli anni Ottanta. Il (nuovo)PCI segnala la cosa nel suo primo comunicato del 2017: “Michele Franco ha annunciato al P.CARC un dibattito pubblico sullo slogan del Forum RdC di dicembre: se davvero manterrà fede all’annuncio sarà un’eccezione a cui lo ha trascinato il gesto d’indignazione che ha subito a Natale” (comunicato del 5 gennaio 2017).
In ogni caso, quali che siano le ragioni per cui Franco ha promosso l’assemblea e quali le ragioni per cui Cararo ha deciso di parteciparvi, va reso loro merito per averlo fatto. E’ vero che entrambi hanno detto e ripetuto che il dibattito con la Carovana non li interessa e che questo dibattito non interessa i lavoratori, come fossero “beghe di cortile fra organizzazioni inconsistenti”. Questo è del tutto falso, loro stessi hanno potuto constatare che all’assemblea del 12 gennaio hanno partecipato più di cento persone e la grande maggioranza di esse è rimasta fino alla fine, che gli interventi sono stati seguiti con grande partecipazione, che ci si è schierati sulle posizioni differenti. C’era chi diceva che nei vari comunicati non bisogna “fare nomi”, ma restare sulle generali e chi diceva che questo è costume da Repubblica Pontificia del “dire il peccato e non il peccatore”. C’era chi diceva che “rivangare vecchie storie è inutile e dannoso”, riferendosi non solo a vicende del movimento disoccupati degli anni ’90, ma anche all’esperienza delle Organizzazioni Comuniste Combattenti, in particolare delle Brigate Rosse, e c’era chi diceva che il proletariato non dimentica e non si pente e citava testi di militanti delle BR di quei tempi. C’era chi voleva ridurre la discussione all’aggressione a Franco del 25 dicembre e chi invece era interessato ad andare indietro di mezzo secolo quasi. Alla fine, però, tutti convenivano che le storie di cui stavamo parlando dovevano essere trattate, dovevano essere dette soprattutto ai giovani che non le avevano vissute. C’era chi diceva che quello di cui dovevamo trattare era “questione napoletana” e chi diceva che, invece, l’evento era di carattere nazionale. Il carattere nazionale era confermato dalla presenza di un dirigente nazionale di RdC e di uno del P.CARC ma, a parte questo, il fatto è che la lotta era ed è tra idee giuste e idee sbagliate e la necessità di questa lotta si vede bene a Napoli perché qui il movimento delle masse popolari è più ampio e avanzato che nel resto d’Italia.
Una lotta ideologica comporta magari sofferenze ed eccessi di passione e anche il modo attraverso cui ci siamo arrivati di certo ha influito e influisce, ma il valore dell’assemblea va confrontato alle solite assemblee soporifere dove questo o quel professore o esperto tira fuori il suo pezzo, parla in modo che lo capiscono solo gli addetti ai lavori, manda agli altri garbate critiche e alla fine si va insieme a cena; dove ciascuno si fa i suoi affari, si cura i suoi contatti nei corridoi, sta fisso al suo cellulare. In questa assemblea tutti erano fissi su chi interveniva, inclusi quelli che si assiepavano in fondo al corridoio. Cararo e Franco dicono che con quella assemblea il dibattito, per parte loro, è finito. Perché spegnere la vitalità che eventi di questo genere esprimono? Il nuovo di cui RdC parla, quello che secondo i suoi dirigenti non può nascere, è questo. La rivoluzione non è un pranzo di gala e nemmeno un dibattito accademico.
Cararo, in particolare, ha detto che “scelgono loro con chi discutere e con chi no” e che per discutere, come in un matrimonio, bisogna volerlo entrambi. Cararo non considera che le questioni che trattiamo non sono di carattere intimo come un matrimonio, non sono di carattere individuale come la scelta di sposarsi, ma riguardano tutto il movimento rivoluzionario e hanno portata e importanza storica. Crede che RdC nel movimento rivoluzionario non abbia voce in capitolo né influenza? Ce ne ha, invece. È un’organizzazione i cui vertici godono della fiducia di strati delle masse popolari, una fiducia sufficiente perché si facciano avanti, si assumano le responsabilità che loro spetta di assumere. Oggi continuano a fare la voce dell’opposizione, la sinistra della sinistra borghese, che a sua volta sta a sinistra della destra borghese, e quindi sono anello di questa catena. Il compito che è loro assegnato, e che la Carovana del (n)PCI segnala loro, è di unirsi ai sinceri democratici, ai sindacalisti onesti, a quelli che non hanno rinnegato la storia del movimento comunista, a tutti questi soggetti che hanno il riconoscimento e la fiducia di ampi strati delle masse popolari e porsi come uomini e donne di governo, componenti di un governo di emergenza che dia forma di legge ai provvedimenti che le masse popolari assumono per far fronte agli effetti più devastanti della crisi, che sostengano e promuovano le autogestioni delle fabbriche, che assegnino gli immobili vuoti occupati a chi li occupa, che realizzino le parti progressiste della Costituzione, che facciano tutto quello che dicono si dovrebbe fare, contando sulla forza delle masse popolari, che è inesauribile.
Franco, Cararo e anche altri hanno pensato e voluto che questa assemblea fosse la parola fine di un discorso, ma in realtà di quel discorso è stato solo un passo. Da un lato, è un discorso che si impone oggettivamente, come la ripresa del corso delle acque con il disgelo, dall’altro, se fosse possibile mettere a tacere tutto quello che sta emergendo, non sarebbe un bene per nessuno. Non per le masse popolari, che da queste discussioni traggono insegnamenti (che non traggono dalle lezioni cattedratiche), non lo sarebbe per la Carovana, che per avanzare deve fare i conti con le concezioni disfattiste e con le posizioni attendiste che dirigenti di RdC proiettano direttamente e indirettamente sulle masse popolari, ma non farebbe bene nemmeno a loro. Questo dibattito è necessario per la rivoluzione che avanza e se la rivoluzione non avanza, avanza la reazione e se la reazione avanza le prime vittime, come abbiamo visto nella storia, sono quei politici di sinistra incerti, eternamente dubbiosi sul da farsi, attendisti di tempi migliori, ecc.
Ci vogliono nuove assemblee di questo tipo, a partire da Napoli, che è un centro di importanza nazionale per il movimento delle masse popolari, in cui si possono coinvolgere forze come P.CARC, SLL, RdC, Insurgencia, Iskra, ex OPG, 081, Mensa Occupata e tutte le altre. Insisteremo per farne, creando le condizioni perché si facciano, non perché spinti da fatti esterni, come “il fatto di Natale” in cui è stato coinvolto Franco, ma perché lo vogliamo.