Con il referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016, le masse popolari hanno dato un sonoro schiaffone ai vertici della Repubblica Pontificia e ai loro progetti di stravolgimento della Costituzione. Un NO alla riforma che è anche una bocciatura nel suo complesso del programma comune della borghesia imperialista che il governo Renzi ha cercato di portare a termine a tappe forzate, creando scompiglio anche in parte della classe dominante.
Il governo Gentiloni è la fotocopia del precedente, una manovra per prendere tempo e cercare una tregua agli scontri sempre più acuti che imperversano fra i vertici della Repubblica Pontificia su come proseguire nell’attuazione di un programma di lacrime e sangue che non possono permettersi di accantonare per restare al passo nell’arena della competizione internazionale. E ciò che non sono riusciti a fare in maniera aperta, cercheranno comunque di ottenerlo operando sottobanco e con delle forzature. L’obiettivo è lo smantellamento di quanto resta delle conquiste e dei diritti delle masse popolari, quanto già fatto in Gran Bretagna con il governo Thatcher e negli USA con Reagan fra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, e dal governo Schroder, in Germania, a inizio anni 2000.
L’attacco contro “gli sprechi”. In nome di questa “sacra lotta” sono stati smantellati negli anni i servizi che lo Stato erogava per mantenere la coesione sociale e i finanziamenti ordinari, necessari per amministrare i territori. Facendo leva sull’esistenza di inefficienze reali e sulla piaga del clientelismo, che i vertici della Repubblica Pontificia stessa avevano issato a metodo di governo, hanno montato e legittimato campagne di privatizzazioni e svendita del patrimonio pubblico e di licenziamenti. Hanno ridotto gli enti locali ad agenzie di riscossione per conto del governo centrale, privandoli dei mezzi minimi, necessari per gestire adeguatamente le loro funzioni e per mantenere un corpo di tecnici e operai addetti a tempo pieno alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei territori.
Un apparato così ridotto ai minimi termini, depotenziato, gestisce in modo emergenziale ogni imprevisto che rientrerebbe nella gestione ordinaria e si ritrova del tutto impreparato di fronte a eventi che hanno realmente caratteristiche eccezionali. Mentre scriviamo, intere zone del paese sono in ginocchio, sotto la neve e in balia di continue scosse di terremoto, senza luce né riscaldamento da giorni. E’ un’immagine esemplare, non la prima e non l’unica, del grado di disfacimento cui è sottoposta la società sotto il tallone della borghesia, cui si aggiungono i parassitari residui feudali della corte pontificia, le organizzazioni criminali e le agenzie imperialiste straniere che imperversano nel paese: la famosa anomalia italiana. Questi sono i vertici della Repubblica Pontificia che sempre più, come i sovrani di un tempo, pretendono dai sudditi il pagamento di imposte per poi disinteressarsi del loro destino; depredano e devastano il territorio e la coesione sociale come una forza occupante fa in terra straniera!
Da qui vengono i soggetti che cianciano di lotta agli sprechi, che conducono puntualmente contro qualche “fannullone” che ha raccolto qualche briciola, mentre gettano tranquillamente miliardi di euro nei vortici della speculazione, regalandoli al sistema di riciclaggio e di investimenti di stampo mafioso, come le fantomatiche “grandi opere”, inutili e dannose. Un esempio: nel mese di Gennaio è stato pubblicato uno studio della CGIA di Mestre (Associazione Artigiani e Piccole Imprese, mica i Tupamaros…), che mette in evidenza come l’80% delle cosiddette “sofferenze” bancarie (ovvero i crediti che queste non riescono più a recuperare) sono causati dai “grandi clienti” (il 10% circa dei correntisti, grandi gruppi industriali e finanziari); lo stesso 10% che poi continua a beneficiare dell’80% dei crediti erogati, anche nel 2016 appena concluso (chissà quanti di voi si saranno visti negare un mutuo in questo 2016….). Se non fosse chiaro traduciamo: i grandi gruppi finanziari e industriali non pagano i debiti con le banche, ma queste comunque continuano a erogare loro credito. Quel credito che negano a famiglie e piccole imprese artigiane, mentre percepiscono lauti aiuti con soldi pubblici per ripianare quelle cosiddette “sofferenze”. Un esempio su tutti, ma non l’unico: miliardi di euro di “sofferenze” del Monte dei Paschi di Siena sono da addebitare a De Benedetti, alla Marcegaglia, a Don Verzè con il suo Ospedale S. Raffaele, solo per citarne alcuni; debiti che vengono appianati con i soldi che servirebbero per dare a migliaia di disoccupati un lavoro utile e dignitoso, che con il loro lavoro potrebbero essere mobilitati a ricostruire un paese che cade a pezzi. Soldi pubblici che mancano sempre per i servizi, per gli ospedali, per i trasporti, per le scuole, per le bonifiche dei siti inquinati, ecc. Se un proletario non paga il mutuo gli pignorano la casa, se a non pagare è la Marcegaglia, il debito glielo paghiamo noi!
Un giorno sì e l’altro pure ci parlano della fine della crisi, della ripresa e della ripresina, mentre fioccano le notizie di licenziamenti di massa (Almaviva, Coop, Auchan, ecc.) e arriva l’attacco frontale all’istituto del Contratto Nazionale di Lavoro (CCNL), che si è concretizzato con la firma dell’infame accordo fra gli industriali metalmeccanici e FIOM-FIM-UILM (vedi articolo Assemblea operaia di Firenze… a pag. 6). Il CCNL dei metalmeccanici, dopo l’abolizione dell’articolo 18, il Job’s Act, il modello Marchionne, nel nostro paese è il muro che i padroni hanno bisogno di abbattere per dare corpo al superamento della pratica dei contratti collettivi di lavoro, per avere mano libera nelle fabbriche, per colpire le avanguardie di lotta e abbassare i salari, per rompere l’unità della classe e cercare di legare ogni singolo lavoratore al destino della singola azienda. Respingere il contenuto del contratto firmato da FIOM, FIM e UILM è uno dei fronti della lotta per applicare la Costituzione, e, dato il ruolo dei metalmeccanici nella definizione delle relazioni fra padroni e lavoratori di tutte le categorie e in tutto il paese, ha un’importanza decisiva.
L’organizzazione e la mobilitazione della classe operaia è interesse di tutte le masse popolari dato che è la base essenziale e l’ingrediente decisivo per ogni trasformazione sociale (basti ricordare il ruolo che ebbe in Italia dal dopoguerra in poi e fino agli anni ‘80).
I vertici della Repubblica Pontificia sono in equilibrio precario, cercano di sopravvivere giorno per giorno, ma ogni loro mossa alimenta la spirale della crisi, le contraddizioni al loro interno e fra loro e le masse popolari. La loro credibilità è ai minimi termini: sempre meno hanno il coraggio di mostrarsi e ogni governo che installano diventa oggetto di un diffuso disprezzo popolare, frutto inevitabile del programma che continuano a perseguire.
Questo è, per sommi capi, il contesto in cui ogni operaio, ogni lavoratore, ogni disoccupato, giovane, donna, immigrato è chiamato a fare la sua parte, a mobilitarsi per costituire il Governo di Blocco Popolare, a mobilitarsi per la rinascita del movimento comunista.
Bando a qualsiasi illusione! Bando al disfattismo e bando all’attendismo.
TANTO LA MALATTIA ARRIVA FRA 30 ANNI!
Ecco sintetizzata la filosofia della classe dominante, estratta dalle intercettazioni di Ettore Pagani, vice presidente del consorzio COCIV che sta costruendo il Terzo Valico del TAV fra Piemonte e Liguria, che così rispondeva a chi gli stava parlando del rischio amianto nei cantieri.