Il 20 gennaio Trump si è insediato alla Casa Bianca, in un clima tutt’altro che sereno: centinaia di migliaia di persone hanno invaso le strade di Washington e delle principali città degli USA per affermare la loro assoluta opposizione alle posizioni reazionarie e razziste su cui ha poggiato la campagna elettorale. Una parte di esse è mobilitata direttamente (o attraverso il megafono di personaggi di spicco della cultura e dello spettacolo) dalle fazioni della classe dominante più vicine a Obama e alla Clinton, ma una parte consistente è genuina esponente delle masse popolari statunitensi.
Le tensioni che hanno fatto da sfondo e contesto all’insediamento di Trump sono solo una manifestazione della situazione di crisi politica negli USA, l’altra, egualmente evidente, è stata la sequenza di sgambetti e colpi bassi con cui l’amministrazione Obama ha “preparato il terreno” al passaggio di consegne: dalle crescenti tensioni con la Russia (l’espulsione di 32 diplomatici russi dagli USA, culmine di una campagna di accuse di spionaggio e pirateria informatica dei servizi russi contro Obama e in favore di Trump, fino a truccare l’esito delle elezioni presidenziali) allo strappo con Israele sul riconoscimento dei territori occupati in Palestina. In mezzo le manovre in Turchia e Siria, il posizionamento di truppe nei paesi NATO confinanti con la Russia, ecc. Insomma, Obama ha fatto il possibile per lasciare Trump in una situazione il più possibile ingestibile.
In ballo ci sono le linee di sviluppo della politica estera degli USA e Trump sembra ben deciso a recuperare i rapporti con la Russia per isolare la Cina.
Se al discorso inseriamo i gruppi imperialisti franco-tedeschi, sul cui rapporto di tendenziale conflitto e necessaria unità con gli imperialisti USA abbiamo scritto più volte, e mettiamo sullo sfondo la Brexit, stiamo parlando dello sgretolamento, anche formale oltre che sostanziale, del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (a proposito del fatto che la borghesia imperialista non riesce più a governare il mondo con le forme e gli istituti con cui lo ha governato fino a oggi – vedi l’articolo La situazione è rivoluzionaria… a pag. 1).
La relazione fra le grandi mobilitazioni contro Trump e i sommovimenti a livello internazionale è la seguente: le contraddizioni fra gruppi imperialisti e la contraddizione fra borghesia imperialista e masse popolari (quest’ultima è l’aspetto dirigente) rendono particolarmente acuta la contraddizione sul fronte interno degli USA, motivo per il quale i gruppi imperialisti predominanti negli USA cercheranno in ogni modo di affrontarla riversandola all’esterno, cioè contro i governi dei paesi oppressi dall’imperialismo e gli stati “canaglia” e, inevitabilmente, anche contro altre fazioni dei gruppi imperialisti concorrenti.
L’elezione di Trump, il suo insediamento e i suoi primi provvedimenti (come l’abolizione del TTIP) non sono una soluzione, un fattore di stabilità, ma un ulteriore passo verso la guerra imperialista.