Le masse popolari devono approfittare della crisi generale per rovesciare la classe dominante
Per attuare le parti progressiste della Costituzione del 1948, per rompere le catene dell’Unione Europea, dell’Euro (BCE) e della NATO è necessario che gli operai avanzati, i giovani e le donne, tutti gli esponenti avanzati delle masse popolari si arruolino nel P.CARC e rafforzino la Carovana del (n)PCI. Una salda organizzazione comunista della parte d’avanguardia della classe operaia e delle masse popolari è condizione indispensabile. Senza questo, le parole d’ordine restano parole, slogan che si trascinano di manifestazione in manifestazione, di assemblea in assemblea e un po’ alla volta perdono valore, mentre la crisi incalza e i promotori della mobilitazione reazionaria diventano sempre più i portavoce accreditati delle classi dominanti e arruolano quanto di arretrato esiste nel paese.
Chi è già membro del P.CARC o di altri organismi della Carovana deve elevare il proprio stile di lavoro e migliorare la sua capacità di lotta per rendere efficace, largo e fecondo il reclutamento di nuovi membri. Chi esita deve scuotersi di dosso la propaganda rinunciataria e disfattista della borghesia, del clero e della sinistra borghese. Il P.CARC e la Carovana del (n)PCI hanno superato i dubbi prodotti dall’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria che la vittoria dell’Ottobre 1917 in Russia aveva sollevato in tutto il mondo; hanno rotto con la delusione per il fallimento e lo sgretolamento del primo PCI, della Brigate Rosse e del PRC; hanno individuato le piaghe e gli errori che avevano impedito la vittoria e portato alla dissoluzione e alla corruzione e sulla base del marxismo-leninismo-maoismo hanno ripreso la strada della rivoluzione socialista. La rivoluzione socialista non scoppia: lo abbiamo visto chiaramente nella prima parte del secolo scorso. L’instaurazione del socialismo è necessaria: ce lo dice il catastrofico corso delle cose che travolge oggi l’intera umanità. La rivoluzione socialista è la combinazione di organizzazione, di propaganda e di lotte che i comunisti organizzati vengono compiendo giorno dopo giorno in alleanza con tutti quelli che lottano. Essa culminerà nell’instaurazione della dittatura del proletariato e nell’inizio della riorganizzazione socialista dell’economia e dell’intera società. Questa è l’opera in corso, il senso di tutte le lotte che conduciamo. È un’impresa che ha alcuni decenni di storia.
A partire dal 1985, circa 30 anni fa, la Carovana del (n)PCI, impersonata all’epoca dalla redazione della rivista Rapporti Sociali, ha prodotto un’approfondita e articolata analisi sulla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale che era iniziata a metà degli anni ’70. Erano gli anni in cui la borghesia imperialista e il suo clero (papa Woityla) presentavano la decadenza dell’Unione Sovietica, la sconfitta della Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina (1976-1982), il crollo del Muro di Berlino (1989) e la dissoluzione dei primi paesi socialisti e dell’Unione Sovietica (1991) come la dimostrazione che “la storia ha chiuso definitivamente i conti con il movimento comunista”. L’esaltazione della borghesia aveva contagiato anche la sinistra borghese che indicava come pazzi (“crisi? Quale crisi?”) i fautori dell’unica analisi materialista dialettica del movimento economico della società contemporanea. Nelle sue file il “piano del capitale” aveva soppiantato il suo surrogato arcirivoluzionario (lo “stato imperialista delle multinazionali”) e la sinistra borghese si dava a elaborare “contropiani”, la tattica-processo prendeva il posto dell’instaurazione del socialismo e l’organizzazione-processo prendeva il posto del partito comunista: tutto doveva essere nuovo e fluido, la dialettica diventava scetticismo.
Quale crisi? La sinistra borghese e i suoi intellettuali non vedevano gli effetti della crisi e non ne concepivano né le cause, né le forme, né le manifestazioni e tanto meno gli sviluppi e le conseguenze. Il fatto è che una crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale è un processo che non si consuma in qualche mese, si sviluppa in decine di anni (la prima durò dal 1900 al 1945 e si concluse solo con la Seconda Guerra Mondiale, da una parte, e la costituzione dei paesi socialisti, dall’altra) e gli effetti di questa seconda erano in un certo modo mitigati e diluiti:
- perché quando si presentò investendo la produzione di beni e servizi, la borghesia imperialista cercò e trovò soluzioni adeguate a fronteggiare temporaneamente gli effetti più gravi e immediati: privatizzazioni, aumento del debito pubblico dei paesi oppressi, sviluppo delle attività finanziarie e speculative al punto che nei 30 anni successivi sono diventate la principale fonte di valorizzazione del capitale;
- dall’influenza che il campo dei primi paesi socialisti continuava ad avere a livello internazionale e dalla forza dei partiti comunisti nei paesi imperialisti, benché complessivamente il movimento comunista fosse da decenni diretto dai revisionisti moderni;
- dalle conquiste strappate dalle masse popolari dei paesi imperialisti con le lotte degli anni precedenti.
Il decorso della crisi generale prese la forma di un lungo tunnel in cui la classe dominante teneva in piedi il sistema attraverso manovre che le consentivano di far fronte alla situazione contingente, ma complessivamente peggioravano la situazione; le masse popolari sono state progressivamente spogliate dei diritti e delle conquiste (in alcuni paesi prima e più a fondo, in altri più lentamente), le condizioni di vita e di lavoro peggioravano; la corsa al profitto ha progressivamente compromesso l’ambiente e consumato risorse naturali (super sfruttamento, inquinamento, devastazione ambientale).
Nel 2008 quella stessa crisi iniziata a metà degli anni ‘70 del secolo scorso è entrata nella sua fase più acuta e irreversibile. Quello che era stato un processo fatto di cambiamenti impercettibili per chi non analizzava la situazione alla luce del materialismo dialettico, del marxismo scientifico, è diventato una valanga che tutto travolge nel mondo e nel nostro paese (chi dice che “solo l’Italia è in crisi” non ha capito di cosa si tratta e le soluzioni che propone sono buone come il cucchiaio è efficace per svuotare il mare). Il sommovimento è tale che la borghesia imperialista non riesce più a governare la società (e il paese) con le forme, i modi, le leggi e le prassi con cui lo aveva governato fino a oggi, la contrapposizione fra classe dominante e classi oppresse è diventata più netta e i loro rispettivi interessi sono più apertamente inconciliabili, sono più apertamente antagonisti. A fronte del degrado materiale e morale, pratico e culturale in cui sta precipitando la società, le masse popolari si mobilitano spontaneamente per resistere. Spontaneamente significa che la loro mobilitazione è guidata dalla necessità di ribellione, dai principi e dalle idee che il vecchio movimento comunista ha sedimentato, dalle idee e dai valori che la borghesia imperialista ancora proietta, combinati con le spinte a rifugiarsi nelle religioni e con le speranze di salvare se stessi e i propri cari senza occuparsi del fatto che la salvezza o è per tutti o non è (e non si tratta di una questione morale: come può salvarsi uno che porta la famiglia all’ultimo piano di un grattacielo in fiamme, pur combattendo con altri che vogliono fare lo stesso, se il fuoco sta già divorando i piani inferiori?).
Siamo qui, ai giorni nostri. Oggi è chiaro a molti che costruire un’alternativa al sistema capitalista è una necessità impellente. Chi anni fa prendeva per pazzi i redattori della rivista Rapporti Sociali oggi si sgola per affermare che “c’è la crisi”. Ma adesso la crisi la vedono e la sentono “tutti”. La questione è superarla. La crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale si supera solo in due modi, quelli con cui fu superata la prima: o le distruzioni di una guerra mondiale, che con le armi moderne e l’inquinamento diventerebbe la fine dell’umanità, o la costituzione di paesi socialisti che permettono all’umanità di compiere un passo avanti nella sua evoluzione. Siamo in una situazione rivoluzionaria in cui la rivoluzione socialista e l’instaurazione di nuovi paesi socialisti sono all’ordine del giorno.
“Situazione rivoluzionaria? Siete pazzi!”. Potremmo dire che è un disco che la Carovana del (nuovo)PCI ha già sentito da anni. Alcuni dicono che siamo pazzi perché in questa situazione rivoluzionaria che noi indichiamo, in verità le masse popolari non si mobilitano per fare la rivoluzione, molte persone si mobilitano in senso reazionario (razzismo, guerra fra poveri, egoismo, individualismo) e molte persone non si mobilitano affatto; quindi “non siamo in una situazione rivoluzionaria”. La situazione è rivoluzionaria non perché le masse fanno già azioni rivoluzionarie, ma perché le condizioni oggettive le spingono a farle; non perché le masse sono già organizzate per fare la rivoluzione, ma perché sono spinte a organizzarsi; non perché vogliono la rivoluzione, ma perché non hanno altra soluzione positiva. “Allora – ci incalzano – se la situazione è rivoluzionaria come dite, perché non scoppia?”. Ecco, qui il discorso si fa articolato e importante.
La rivoluzione socialista non scoppia, si costruisce. Come la crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale è un processo, anche la rivoluzione socialista lo è. Non è automatico che una situazione rivoluzionaria si concluda con una rivoluzione. Perché ciò avvenga è necessaria l’esistenza di un partito comunista che abbia adeguate capacità e caratteristiche. Fra le capacità c’è quella di avere (va conquistata, è una lotta, non la si ottiene proclamandola) una concezione del mondo giusta e di usarla per fare una giusta analisi della situazione, definire una giusta strategia, giuste tattiche e linee.
Per quanto riguarda le caratteristiche che il partito comunista deve avere, il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria (che ha portato alla costituzione dell’URSS, della Cina e di tutti gli altri paesi del campo socialista, che ha portato alla liberazione dei paesi oppressi dall’imperialismo) aiuta a individuarne alcune. Fra le principali vi è quella di essere un partito capace di operare indipendentemente dalle leggi che la classe dominante impone. I comunisti devono darsi i mezzi della propria politica e in primo luogo assicurarsi le condizioni della loro indipendenza ideologica e organizzativa dalla borghesia. Abbiamo pubblicato sul numero 11-12/2016 l’intervista al Segretario Generale del (nuovo)PCI proprio sulla questione e in questo numero ne pubblichiamo una seconda – qui sotto – che entra nel merito della relazione fra i due partiti della Carovana del (nuovo)PCI, uno clandestino e uno pubblico (il P.CARC): è un’innovazione nel processo di costruzione della rivoluzione socialista che tiene conto delle particolari condizioni del nostro paese. Ma tiene conto, in definitiva, dell’obiettivo di farla, questa rivoluzione, senza limitarsi a “fare il tifo”, a testimoniarla come atto di fede.
Strategia e tattica per la rivoluzione socialista in Italia. Sempre dal prezioso bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria, la Carovana del (nuovo)PCI ha assunto la Guerra Popolare Rivoluzionaria come strategia, calandola nelle condizioni concrete del nostro paese in questa fase. Nel 2004 è stato fondato il (nuovo)PCI e questo è stato un passo avanti decisivo: un gruppo di comunisti si riuniva coscientemente per condurre la Guerra Popolare Rivoluzionaria che ha come obiettivo l’instaurazione del socialismo in Italia. La conduzione di questa guerra, a maggior ragione nella sua prima fase, quella della difensiva strategica, avviene in condizioni che in larga parte sono decise dalla classe dominante e dagli accidenti causati dal decorso della crisi generale. Quando nel 2008 è iniziata la fase acuta e terminale della crisi il movimento comunista cosciente e organizzato (il (nuovo)PCI e la sua Carovana) erano ancora troppo deboli, non avevano ancora conquistato la fiducia di larghe masse e quindi non avevano ancora l’effettiva direzione del movimento delle masse popolari e della lotta di classe. Si è reso necessario elaborare una tattica che, di fronte al precipitare della crisi: 1. consentisse alle masse popolari di sprigionare l loro forze per fare fronte ai suoi effetti peggiori; 2. favorisse la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato; 3. contrastasse con efficacia le spinte alla mobilitazione reazionaria promosse dalla borghesia imperialista. Quella tattica è la linea del Governo di Blocco Popolare (GBP).
Le tappe della Carovana del (nuovo)PCI. La redazione del Bollettino (1979 – 1998) e le pubblicazioni delle Edizioni Rapporti Sociali (all’epoca Giuseppe Maj Editore) che hanno sostenuto e alimentato la lotta contro dissociazione e pentitismo e favorito un bilancio organico dell’esperienza della lotta armata in Italia (pubblicazione di Politica e rivoluzione, Il proletariato non si è pentito, I fatti e la testa);
la redazione della rivista Rapporti Sociali (1985-2008) che ha elaborato nel dettaglio la teoria della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e il bilancio dei primi paesi socialisti;
il convegno di Viareggio e la fondazione dei CARC (1992) che riconoscono la fase difensiva del movimento delle masse, pongono all’ordine del giorno la ricostruzione del PC e si danno i mezzi per perseguirla;
il riconoscimento e l’assunzione del maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista e la precisa definizione dei compiti che poneva all’epoca la ricostruzione del PC (1994-1995; pubblicazione delle Opere di Mao e di 10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del Partito Comunista);
La pubblicazione del Progetto di Manifesto Programma (1998);
La costituzione della Commissione Preparatoria del Congresso di fondazione del (nuovo)PCI e la pubblicazione de La Voce del (nuovo)PCI (1999);
La fondazione del (nuovo)PCI (2004);
La pubblicazione del Manifesto Programma del (n)PCI (2008);
La linea del Governo di Blocco Popolare come tattica per avanzare nella rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato (2009).
Fermezza nella strategia, flessibilità nella tattica. La sinistra borghese non è capace di dirigere la rivoluzione socialista (che in effetti non vuole fare, neanche concepisce), ma ha ancora oggi e nonostante le ripetute sconfitte a cui ha portato il movimento popolare, una grande influenza fra le larghe masse, di certo molto superiore a quella che abbiamo noi comunisti. Ma, proprio in ragione di questo seguito, è in larga parte influenzabile dalle masse popolari (o inizia a fare ciò che le masse popolari indicano, oppure perde il suo seguito… sono finiti i tempi delle promesse elettorali, i riformisti sono ormai senza riforme). Pertanto può avere un ruolo nel favorire la rivoluzione, mettendosi a disposizione delle organizzazioni operaie e popolari affinché esse costituiscano un loro governo di emergenza, il Governo di Blocco Popolare.
Un governo la cui formazione non dipende dall’esito di elezioni politiche: i vertici della Repubblica Pontificia fanno e disfano a loro piacimento, formano governi, li sciolgono e li cambiano a loro uso e consumo. Se le organizzazioni operaie e popolari creano le condizioni necessarie (se il loro coordinamento diventa la ramificazione locale di una mobilitazione nazionale, se spingono a organizzarsi e coordinarsi chi oggi non lo è ancora, se perseguono coscientemente l’obiettivo di costituire un governo del paese dal basso e se si mobilitano per rendere ingovernabile il paese a ogni altro governo espressione della classe dominante) lo possono imporre a un qualunque parlamento che non esiterà a ratificarne la fiducia. E allora sarà un’altra fase della lotta, che le masse popolari condurranno con nuovi strumenti e in nuove condizioni.
Un governo composto da quei sinceri democratici, esponenti progressisti delle amministrazioni locali, esponenti sindacali e portavoce dei movimenti popolari che godono della fiducia da parte delle masse, ma un governo strettamente dipendente dalle organizzazioni operaie (nelle aziende capitaliste) e dalle organizzazioni popolari (nelle aziende pubbliche e a livello territoriale) .
Un governo che persegue un programma generale (che le organizzazioni operaie e popolari attuano con l’ausilio, il sostegno e le risorse degli apparati statali e governativi) di sei misure:
– assegnare a ogni azienda compiti produttivi (di beni o servizi) utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale (nessuna azienda deve essere chiusa),
– distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi,
– assegnare ad ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per partecipare alla gestione della società (nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato),
– eliminare attività e produzioni inutili o dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti,
– avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione,
– stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione o scambio con tutti i paesi disposti a stabilirle.
“Ma questo non è il socialismo!”, “tutti questi discorsi per affidare il governo popolare in mano ai politicanti della sinistra borghese?”. Vero, questo non è il socialismo, ma la costituzione del Governo di Blocco Popolare è uno strumento per avanzare nella Guerra Popolare Rivoluzionaria condotta dal (nuovo) PCI.
Se le organizzazioni operaie e popolari lo costituiscono, se i comunisti le orientano, le guidano e le dirigono nel costituirlo, il movimento comunista avrà fatto, farà, dei passi importanti: 1. avrà creato la condizione migliore in cui le masse popolari imparano a dirigere la società, pur restando in presenza di rapporti di produzione capitalisti (è quindi molto meno idealista rispetto al credere che “la rivoluzione scoppia” a un certo punto e, soprattutto, che dopo la rivoluzione qualcuno o qualcosa è capace di dirigere il nuovo paese socialista); 2. i rapporti di forza fra masse popolari e borghesia imperialista saranno di gran lunga più favorevoli alle prime e questo è condizione estremamente favorevole alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato e per contrastare le manovre che la borghesia imperialista italiana e internazionale metterà in campo per sabotare e reprimere il GBP.
“Quelli che chiamate disfattisti e attendisti organizzano scioperi e manifestazioni, occupazioni e lotte… voi che fate praticamente, oltre che scrivere e parlare?”. Lotte, scioperi, manifestazioni, proteste, occupazioni sono tutte componenti essenziali della lotta di classe, ma il loro sviluppo complessivo ha come limite il fatto che si rivolgono sempre all’ottenimento di concessioni da parte della classe dominante. E oggi la borghesia imperialista o non concede niente o toglie domani quello che concede oggi o concede oggi a uno quello che toglie a un altro per mettere questo contro il primo: “siamo in guerra”, sintetizza Marchionne.
La pratica del P.CARC è composta da varie parti, oltre alla partecipazione e promozione di lotte, scioperi, proteste, manifestazioni. Fra le altre quella che qui è più utile indicare rispetto alla costituzione del Governo di Blocco Popolare riguarda l’imparare a fare quelle operazioni che la parte più avanzata del movimento popolare e le sue organizzazioni ancora non sanno fare per diventare quelle nuove autorità pubbliche che costituiscono la spina dorsale del Governo di Blocco Popolare. In una situazione in cui ci sono molte lotte, ma spesso ognuna di esse è confinata alla singola azienda o al singolo territorio, imparare e insegnare a costruire coordinamenti su basi più solide della pure importante solidarietà, è pratica. Imparare e insegnare a un gruppo di operai a vedere le cose in modo che la loro mobilitazione non sia soffocata dal disfattismo, dallo scetticismo o dalla sfiducia, è pratica. Portare un organismo a indicare le misure concrete per fare fronte agli effetti della crisi nel territorio in cui opera e mobilitare altri elementi delle masse popolari per attuarle insieme, quella è pratica. La pratica del P.CARC è imparare e insegnare a fare ciò che è necessario fare, ma da solo, spontaneamente, non succede.
Questo, in definitiva e semplificando molto, è quello che chiamiamo a fare operai, lavoratori, donne e uomini, studenti e disoccupati, pensionati e immigrati, piccoli commercianti e lavoratori autonomi e in particolare chiamiamo a fare quelli che hanno la bandiera rossa nel cuore e vogliono fare dell’Italia un nuovo paese socialista.