Quando il vecchio PCI iniziò ad abbandonare la strada della rivoluzione, a partire dal 1956, e con ciò iniziò a smettere, progressivamente, di essere un partito comunista, e alla fine di essere un partito, due furono le grandi reazioni: una fu la formazione di un ampio, esteso e organizzato movimento marxista leninista e l’altra furono le Organizzazioni Comuniste Combattenti, di cui le più note sono le Brigate Rosse. Entrambe, per errori che il (nuovo) Partito comunista italiano ha individuato con precisione, si sono esaurite. Un fenomeno di questo esaurimento fu la dissociazione. Sergio Staino fu uno che si dissociò dal movimento marxista leninista.
Negli anni Settanta Staino faceva il maestro di scuola, e faceva vignette per un foglio marxista leninista. Fu colto da illuminazione, e comprese che il movimento marxista leninista era settario e dogmatico e lontano dalle masse popolari. Ci fece alcune vignette sopra, provando così a entrare nel flusso di quelli che criticavano il movimento rivoluzionario di quegli anni, sport facile, perché quel movimento di difetti ne aveva tanti e perché chi criticava quei difetti era ben stipendiato dalla borghesia. Così avvenne per Staino. Mandò le vignette a Linus, raffinato organo intellettuale della borghesia di sinistra, e andò in vacanza a Parigi. A Parigi la mamma lo chiamò dall’Italia, il che lo preoccupò, perché allora non era come ora, che ti telefonano ogni dieci minuti ovunque tu sia: allora, e soprattutto se eri all’estero, ti chiamavano se era successo qualcosa di massima importanza, tipo che avevi vinto alla lotteria o che avevi un morto in casa. Staino pensò al morto, e invece aveva vinto alla lotteria: lo volevano a Linus, a Milano, a Linus, dove tra le migliaia di disegnatori che affollavano la redazione proponendo i propri disegnini avevano scelto lui. Ebbe uno spazio fisso, e iniziò la sua ascesa, diventando un esponente di punta della cultura a livello nazionale e fiorentino. Oggi finisce a terra, sotto la mannaia del boia, e ancora chiede al boia perché sta calando la mannaia sul giornale che fu fondato da Antonio Gramsci. Lo fa perché questo gli hanno ordinato, perché è l’ultimo di quelli che tu, Staino, hai frequentato in questi decenni e che si spacciavano per comunisti per uccidere il partito.
Noi abbiamo fatto una assemblea a Napoli su una aggressione che ha subito un esponente della Rete dei Comunisti, e di cui daremo resoconto a breve termine. Parecchi hanno attaccato, in quella occasione, il Partito dei CARC, il Sindacato Lavoratori in Lotta, perché riportavamo alla luce la storia del nostro paese degli anni Ottanta. Chi lo ha fatto, ha sbagliato. È nella storia del passato che si comprendono gli esiti del presente, e la fine che fa chi si dissocia dalla lotta di classe.
Non è detto, però, che sia la fine. Anche Staino può riprendersi, riprendere le forze, riprendere vita, tornare a quegli anni Settanta, riflettere sul suo percorso. Altri, come la Carovana del (nuovo)PCI, hanno tirato dritto, compreso gli errori del movimento comunista, ricostruito il partito comunista. Si può informare sulla materia, e può dare un contributo al percorso intrapreso.
Paolo Babini
Commissione Gramsci del Partito dei CARC
***
L’Unità è in sciopero ma questo è (sarebbe stato) l’editoriale del direttore Sergio Staino, rivolto a Matteo Renzi:
“L’assemblea dei giornalisti de l’Unità si è vista costretta a decretare un’altra giornata di sciopero e per questo non siamo in edicola neanche oggi.
Mi preme però far conoscere quello che sarebbe stato il mio editoriale di oggi nell’ipotesi che fossimo usciti.
L’editoriale in realtà è una mail che ho inviato al Segretario del Partito Matteo Renzi in data 23 dicembre che, mi sembra rileggendola adesso, mantenga tutta la sua attualità.
Due giorni fa la situazione di agitazione al mio giornale è esplosa per una comunicazione a ciel sereno da parte dell’Amministratore Delegato in cui si annunciava la fine delle trattative su una revisione nei ruoli dei giornalisti e dei rispettivi emolumenti, passando di fatto a una riduzione di personale non specificando né in che numero né in che modo.
Questa notizia, di per sé molto spiacevole, è stata però superata ieri 12 gennaio, dalla Assemblea dei soci proprietari de l’Unità che ha di fatto rinviato al primo febbraio la dichiarazione di liquidazione della stessa società. In particolare il socio di minoranza, cioè il PD, ha proposto una ricapitalizzazione dell’azienda di 5 milioni di euro, 1 milione il PD e 4 milioni la Pessina, socio di maggioranza.
Quest’ultimo ha dichiarato la propria disponibilità a ricapitalizzare a patto che il PD cedesse la golden share de l’Unità che appartiene totalmente al socio di minoranza, alla stessa Pessina. Tutto questo perché la Pessina imputa al PD una gestione deleteria dello stesso giornale causata soprattutto da uno straordinario assenteismo nei confronti della presenza del giornale nel partito, nella società e nel territorio.
In effetti, come ben sappiamo, anche se storicamente il padrone è sempre e comunque una carogna e quindi anche in questo caso la Pessina non può dichiarare la sua totale innocenza nella crisi gestionale ed economica de l’Unità, è ben vero che il problema principale rimane un problema politico.
La lettera che qui riproduco evidenzia in modo molto chiaro quali sono le problematiche più gravi di questa gestione.
Caro Matteo,
ti scrivo perché credo di essere ormai giunto alla fine delle mie forze. Dopo tre mesi di esperienza alla direzione de l’Unità puoi bene immaginare dove sia finito tutto l’entusiasmo che avevo messo nel fare questo lavoro. Ero abbastanza impaurito perché immaginavo la quantità di problemi in cui mi sarei ritrovato anche se, devo dirti con sincerità, che mai immaginavo che la quantità fosse così enorme e pesante.
Difficoltà umane: parlare e trattare con il tesoriere del PD Bonifazi e con l’Amministratore Delegato Stefanelli, ti assicuro è esperienza che non augurerei a peggior nemico. Meglio assai con Massimo Pessina e Chicco Testa che sono persone se non altro trasparenti e razionali.
Non parliamo dell’aspetto economico che mi immaginavo grave ma non tale da bloccare ogni pur minima iniziativa di rilancio del giornale.
E poi il personale umano e l’isolamento del giornale. Questo è l’aspetto che mi addolora di più: mi sono reso conto che non c’è nessuno nel partito che sia interessato a questo foglio.
Ho un bel rapporto con i compagni di base più vecchi, ho un buon rapporto con un po’ di giovani che si sono avvicinati, ho un buon rapporto con quel che resta dei “Giovani Turchi” e ho un buon rapporto di confronto con alcuni compagni a te non troppo vicini, da Macaluso a Reichlin, a Cancrini, a Cuperlo, Veltroni, Fassino e tanti altri, che lo seguono, lo commentano, mi aiutano.
Ma tu e i tuoi? Zero.
Credo che anche tu sia fra quelli che neanche scorre la prima pagina del giornale eppure, quando mi hai congedato a Palazzo Chigi, hai urlato allegramente: “Voglio un giornale bello, di tante pagine e non preoccuparti per i soldi… quelli ci sono!” Chissà se te lo ricordi.
Dirti quindi che sono profondamente deluso, e in prima fila deluso da te, è dir poco.
Pensavo che il giornale ti servisse per ravvivare quella base che nel territorio si sta disperdendo nell’astensionismo o, peggio ancora, nel grillismo.
Pensavo ti servisse uno strumento per ricucire queste forze, per rimetterle in circolo, per far sì che dalla base ti arrivasse quell’ondata di rinnovamento che caratterizzò la tua prima uscita, quella del rottamatore, e che ti avrebbe aiutato a riporre il partito alla centralità del nostro lavoro politico.
Per questo ero pronto a fare molti sacrifici, ero pronto a fare un bellissimo giornale mantenendo il livello di spesa dell’attuale o addirittura riducendolo, riducendo il personale (che è un sacrificio politico terribile), riducendo il formato e puntando su un giornale piccolo, brutto e cattivo ma pieno di grande intelligenza e di cose che non si trovano negli altri giornali. Di cose che sono strumenti, conoscenza, elementi di lavoro per chi giorno per giorno nei territori e nelle amministrazioni e nelle aggregazioni culturali e sociali porta avanti il lavoro del partito.
Purtroppo non è così.
In nessun momento il partito ha dato un segnale nei confronti miei e del giornale.
Speravo che tu mi avresti fatto parlare in piazza del Popolo, almeno due minuti per presentare il rilancio del giornale e dire che il giornale era al tuo fianco ed era lì in piazza a testimoniare la voglia di rinascita.
Speravo che tu mi avresti presentato alla Leopolda come nuovo direttore da ascoltare e soprattutto aiutare in questo grosso lavoro. Al contrario, ai diffusori del nostro giornale non è stata neanche data l’autorizzazione per entrare alla Leopolda (nonostante fuori piovesse a diluvio).
All’ultima assemblea nessuno ha accennato alla presenza del giornale e a un suo possibile ruolo nel rilancio del partito, al contrario, l’unica volta che è stata nominata l’Unità è stato perché un rappresentante della minoranza ci ha accusati di averli riempiti di vituperi ed offese.
E poi adesso.
La necessità di un incontro per sapere dove andiamo a finire rinviata di settimana in settimana, sempre cose più importanti de l’Unità, sempre cose più urgenti. E’ naturale che mi venga una gran voglia di togliere il disturbo.
L’occasione è pronta: il 12 gennaio ci sarà un Consiglio di Amministrazione in cui si sanzionerà l’ennesimo fallimento e l’ennesima chiusura.
Cosa ne guadagni questo lo sa solo Dio. Cosa ne guadagni tu, cosa ne guadagna il partito, cosa ne guadagna la sinistra e l’intera società.
Sergio
Altri venti giorni sono passati dall’invio di questa lettera, venti giorni di silenzio totale. Questo mi costringe a renderla pubblica per vedere se riesci a degnarmi di una qualche risposta.
Io ti ho sempre apprezzato per quel tuo continuo ripetere “ci metto la faccia”, è possibile che questo non valga per l’Unità?”
Sergio Staino