Con il contributo di Aurora facciamo della nostra agenzia stampa ambito di dibattito su quanto accaduto a Parma nel 2010 nei locali di Via Testi, sede della RAF, Rete Antifascista di Parma.
“La doppia oppressione, di classe e di genere, che subiscono le donne delle masse popolari e’ una questione oggettiva nella nostra società. Il machismo non è un’opinione, per cui uno si esprime se lo vede o meno….sono fatti e sono fatti nutriti e provocati da una concezione medievale radicata nel nostro paese grazie al Vaticano. Occorre avere autonomia ideologica dalla borghesia e dal Vaticano per riconoscere che il problema esiste e che non basta affatto professarsi “compagni” per esserne immuni, è questo principalmente che molti troppi compagne/i non riconoscono, che limita la cura. Troppo spesso si cade nella negazione del problema, magari proprio quando si manifesta accanto a noi. Troppo scomodo criticare il compagno x con cui magari la sera vado a prendermi una birra e abita nel mio quartiere. Più facile additare una donna di essere aggressiva o troia o di accusare perché magari ha un problema personale col compagno x. La lotta non può essere mai delegata, nemmeno in questo caso. Sono le donne che devono liberare se stesse, partecipando alla lotta di classe e studiando per non dipendere né da padroni né da uomini, per costruire un sistema economico e sociale non più fondato sul l’oppressione e lo sfruttamento”.
Aurora
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Da Il Fatto Quotidiano
Parma, 2010. Nei locali di Via Testi, sede della Raf, Rete Antifascista di Parma, alcune persone compiono una violenza ai danni di una ragazza incosciente e quindi non in grado di dare il suo consenso. Il fatto viene filmato e quel video, con risolini in sottofondo, viene condiviso di telefonino in telefonino, fintanto che la ragazza non viene a conoscenza di quello che si dice di lei. Si tratta di un fatto gravissimo che avrebbe dovuto essere percepito in quanto tale già da parte di chi quella sera era presente e poi da chi ha guardato e condiviso quel video senza porsi minimamente il problema.
La ragazza, in ogni caso, non denuncia e questo fatto resta avvolto da una nebbia di omertà e giudizio sessista contro di lei. Nel 2013 un ordigno rudimentale scoppia nei pressi della sede di Casa Pound e parte un’inchiesta che tocca antifascisti e anarchici – e figuriamoci – per mezzo della quale gli inquirenti vengono in possesso di quel video. La ragazza viene riconosciuta e convocata e sottoposta a una serie infinita di domande fintanto che non le viene mostrato quel video e chiesto cosa lei ricordasse di quella sera.
Lei fa dei nomi, di gente che frequenta quel posto nel quale lei non ha più messo piede. Non tutti i nomi sono associabili a una responsabilità che la riguarda ma alcuni, ovvero quelli riconoscibili nel video, vengono incriminati e portati a processo per stupro e altre persone vengono accusate per favoreggiamento poiché, secondo gli inquirenti, hanno mentito per coprire gli stupratori o minacciato la vittima per indurla a negare la violenza subita.
Siamo nel 2016 e fino a poco tempo fa della vicenda si sa poco o nulla e non perché la ragazza non fosse reperibile, per quanto indebolita da stress post-traumatico e in esilio per via delle voci contro, ma perché, per l’appunto, negli ambienti “compagni” la ragazza viene definita “infame” giacché aveva parlato con gli “sbirri” e dunque aveva tradito una sorta di codice militante che, in questo caso, porrebbe la chiacchiera con gli “sbirri” in una posizione di gravità superiore a quella occupata dallo stupro stesso.
Finisce che è la ragazza a essere posta sotto processo, isolata dagli ambienti militanti, aggredita e cacciata in malo modo da ambienti che gli accusati invece possono serenamente frequentare, insultata in modo sessista con un victim blaming che, per quanto si serva di parole apparentemente diverse, è tale e quale, se non più subdolo, di quello realizzato da sessisti riconosciuti al primo sguardo.
Volano i “se l’è cercata“, i nomignoli sessisti, ma, più di tutto, si parla di lei come persona da scansare perché avrebbe consegnato “compagn*” alle polizie. Si parla di “delazione”, come se questi individui fossero partigiani a subire la repressione nazista, come fossero eroici protagonisti di azioni contro il sistema di potere, senza comprendere che il sessismo c’entra poco con l’antifascismo e con l’anarchia e che lo stupro è un’arma, un dispositivo di potere che viene usato per opprimere, dunque un atto fascista rispetto al quale ogni donna che lo subisce deve avere la libertà di autodeterminarsi nella propria idea di riscatto, rinascita, elaborazione del lutto.
Una delle cose che il femminismo ci insegna è il fatto che non è l’istituzione né la “società” che può decidere per noi su quella che sarà la soluzione scelta per riconciliarsi con il mondo e guarire il proprio dolore. E’ lei che decide e qualunque cosa decida di fare noi le staremo accanto. In questo non c’è alcun paternalismo o “infantilizzazione”, termini che ricorrono in “comunicati” che prendono le distanze dallo stupro ma non mancano di colpevolizzare la ragazza dalla quale si pretende chissà cosa.
Inviterei queste persone a leggere descrizioni minime su quel che accade alle vittime di violenza e poi anche alle vittime di mobbing sociale, di ostracismo, di colpevolizzazione, quando, in totale solitudine, quel che ti aiuta a respirare è il fatto che si costituisca una rete di protezione attorno a queste vittime, non per sovradeterminarle ma per combattere al loro fianco.
Al momento sappiamo che ci sono state alcune udienze e nel frattempo alcune persone, Romantic Punx e un gruppo di Guerriere Sailors, arcistufe di quello che veniva detto, hanno scritto un documento, hanno lanciato un appello, al quale potete aderire scrivendo a romantikpunx@gmail.com, in cui spiegano per filo e per segno quello che è successo così provocando una responsabilizzazione collettiva dalla quale è scaturita una discussione sul sessismo nei movimenti. A questo proposito vi suggerisco di leggere il comunicato di Radio Onda Rossa e di ascoltare l’intervista radio che Ror ha fatto con una delle ragazze che hanno scritto e diffuso il documento a sostegno della vittima.
Altri comunicati e prese di posizione importanti si stanno registrando in tutta Italia e nel frattempo, per quel che mi riguarda, vorrei ringraziare chi comprende che se non c’è consenso è stupro, se sei incosciente non c’è consenso e che un video di quel tipo che circola per l’ilarità di chissà quante persone è una ulteriore e gravissima violenza. Questo non è antifascismo. Non esiste antifascismo senza antisessismo. Questo, senza ovviamente avallare strumentalizzazioni della destra che così vorrebbe criminalizzare tutto il movimento, è semplicemente fascismo.