[Milano] Il saluto di Ulisse, segretario generale del CC del (n)PCI, ai partecipanti della presentazione de “Il proletariato non si è pentito”

 

Cari compagni,

vi ringrazio dell’invito e della possibilità che date a noi del (nuovo) Partito comunista italiano di parlare ai partecipanti alla presentazione di Il proletariato non si è pentito organizzata a Milano dal Partito dei CARC, che ci è fratello nella lotta per creare le condizioni necessarie per costituire il Governo di Blocco Popolare, una tappa della rivoluzione socialista che stiamo facendo.

Nella lettera aperta che ha inviato nei giorni scorsi alla redazione dell’Agenzia Stampa del P.CARC, il compagno Giuseppe Maj si augurava che questa presentazione contribuisse principalmente a proiettare la luce della scienza comunista sul processo della rivoluzione socialista e sulla lotta di classe in corso nel nostro paese. Questo senza nulla togliere all’importanza della resistenza alla repressione, della lotta contro la repressione e della solidarietà con individui e organismi delle masse popolari bersaglio della repressione: l’insieme che il nostro Manifesto Programma indica nel Piano Generale di Lavoro come primo tra i quattro fronti su cui spontaneamente (cioè indipendentemente dall’azione del Partito) si sviluppa la lotta delle masse popolari e sui quali il Partito deve svolgere la sua attività di promozione, organizzazione, orientamento e direzione.

Il libro curato dalla compagna Adriana Chiaia parte da questo fronte. Fa una breve sintetica storia delle attività antipopolari dello Stato borghese dalla sua fondazione nel 1861 e poi si diffonde sulla lotta militare dello Stato per annientare le Brigate Rosse. Ed è un ottimo libro di storia degli anni ’70 e dei primi anni ’80 (fino alla fine del 1983): ottimo in particolare per chi non li ha vissuti. Ma il libro fornisce anche molti documenti, specialmente nella seconda e terza parte, a proposito di questioni di teoria decisive per il nostro lavoro e ancora oggi oggetto di lotta tra noi comunisti e la sinistra borghese. Questa esercita ancora una grande influenza sulle masse popolari e anche nelle nostre file e ostacola la rivoluzione socialista. Contribuisce a formare il senso comune delle masse popolari che si manifesta nella loro attività spontanea. Approfitto quindi dell’occasione per richiamare la vostra attenzione su tre di queste questioni.

1. Alcuni esponenti della sinistra borghese sono specializzati nel deviare dalla realtà l’attenzione di chi li ascolta chiamandoli a speculare e discettare sulla rivoluzione: c’è, non c’è, forse ci sarà, però non si vede ancora, ma forse, chissà … e così via. A chi li ascolta, fanno perdere tempo a scrutare l’orizzonte per vedere se mai una rivoluzione fosse in vista. Il Forum indetto da Rete dei Comunisti per il 17 e 18 dicembre a Roma è nell’intenzione dei promotori un’esercitazione di questo genere. L’hanno intitolato “Il vecchio muore, ma il nuovo non può ancora nascere”, mettendo in bocca a Gramsci una concezione enunciata nel 1920, in pieno Biennio Rosso, dal noto deputato socialista riformista Claudio Treves, un complice di Filippo Turati, che presentava la rivoluzione socialista come un “parto divino” che nessuno poteva fermare ma neanche accelerare.

Uno dei meriti delle Brigate Rosse è di aver portato nelle nebbie di fatalismo e attendismo fatte di nuovo calare dai revisionisti moderni tra le masse del nostro paese, la verità che la rivoluzione socialista non è per le masse popolari un avvenimento che “succede”; è una trasformazione della società che esse stesse e in primo luogo gli operai possono e devono fare. La verità impersonata nel secolo scorso da molti dirigenti rivoluzionari e ad un livello particolare da Lenin, da Stalin, da Mao e nel nostro paese da Antonio Gramsci. Questi nel corso del Biennio Rosso 1919-1920 si è battuto con tutte le sue forze per un rinnovamento del Partito Socialista, ha contribuito alla fondazione nel gennaio del 1921 del Partito comunista sezione italiana dell’Internazionale Comunista e su incarico dell’Internazionale Comunista lo ha diretto dal novembre 1923 al novembre 1926 quando fu arrestato e fatto morire in carcere dai fascisti. La prima delle tre questioni è che la rivoluzione socialista avviene solo se le masse popolari e in primo luogo gli operai la fanno e che le masse popolari sono in condizioni di farla solo se i comunisti formano un partito che conquista la fiducia delle masse popolari e sulla base di questo le dirige a lottare contro la borghesia fino a instaurare il socialismo. Le masse popolari, anzi l’umanità intera hanno bisogno del socialismo e del comunismo, ma è come una popolazione che ha bisogno di una casa per proteggersi dalle intemperie che montano sempre più forti da ogni parte: la casa non sorge perché ne hanno bisogno. Anche se in natura c’è tutto quello che occorre per fabbricarla, non basta: occorrono organizzazione, un progetto, un piano e una direzione. E la borghesia e il clero ricorrono a ogni mezzo perché le masse popolari non siano capaci di darseli: pensare per chi non è stato educato dall’infanzia a farlo è l’attività più difficile e faticosa per gli esseri umani. Ci vuole il particolare sforzo che ogni comunista individualmente fa e la particolare disciplina che si dà, più la scuola del Partito, per imparare a pensare al livello necessario per fare la rivoluzione socialista.

2. La seconda delle tre questioni è la combattività delle masse popolari. Il fermento tra le masse popolari del nostro paese è grande e palese e irrimediabile è l’impotenza della classe dominante, della borghesia, del clero e dei loro padrini europei, americani e sionisti. Le vicende del referendum in cui Renzi si è intrappolato sono ancora in corso e sono una conferma. La giustificazione che viene spesso avanzata da chi in queste circostanze non si dedica a organizzare la rivoluzione socialista, a tracciare un piano per far montare la maionese della lotta di classe e attuarlo, è la scarsa combattività delle masse popolari: tanta l’insofferenza e l’indignazione, perfino il rancore ma scarsa la combattività. Ma se noi guardiamo la storia, l’esperienza, vediamo che la combattività delle masse cresce e si diffonde solo se esse si ritrovano con un centro che si è reso esso stesso, con la sua attività, in grado di coagulare e catalizzare il loro malcontento e incanalarlo verso un obiettivo giusto. Non è la combattività delle masse popolari che crea il centro (lo abbiamo visto nel Biennio Rosso, in Germania, in Austria e in vari altri paesi nella stessa epoca); è l’avere un centro che si è conquistato la loro fiducia che rende le masse popolari combattive. Ora è proprio un partito comunista autorevole, che è già centro di riferimento per le ampie masse e che indica una giusta via di lotta, quello che ancora manca nel nostro paese, quello che c’era quando nel 1945 la Resistenza trionfò sul nazifascismo e che è stato via via distrutto dalla direzione dei revisionisti moderni, di Togliatti e di Berlinguer e dei loro complici di cui Napolitano è un esemplare. Se verso la fine degli anni ’70 era parso che le Brigate Rosse avessero ricostruito un altro analogo centro approfittando delle condizioni favorevoli create dalla grandi lotte rivendicative di quegli anni, gli sviluppi non confermarono l’apparenza e le speranze: le Brigate Rosse si sono distrutte con le loro proprie mani sconfinando nel militarismo e nella pretesa soggettivistica di sostituirsi alle masse anziché mobilitare le masse. Politica e Rivoluzione di Francesco Piccioni, Prospero Gallinari e altri prigionieri BR lo illustra in modo egregio. Il libro di Adriana Chiaia lo documenta bene. Creare un simile centro restava quindi il problema da risolvere e che i promotori della Carovana del (n)PCI si sono messi a risolvere: Adriana era tra loro quando curò Il proletariato non si è pentito. Ma è un problema risolvibile: anche il PCI negli anni ’30 era poca cosa ma resistendo al fascismo, tessendo la sua tela e soprattutto reagendo allo sfacelo dell’8 settembre 1943 e animando la Resistenza contro i nazifascisti, seppe ricostruire un centro autorevole e riconosciuto dalle ampie masse popolari, come e più di quanto lo fosse il PSI nel 1919. Nessun dei grandi partiti comunisti è nato grande, lo è diventato. Ebbene è quello che noi stiamo facendo con la linea del Governo di Blocco Popolare: ricostruire un centro autorevole perché conquista la fiducia delle masse popolari, che con un simile centro dispiegheranno i miracoli di combattività e di eroismo che hanno dispiegato in altre analoghe circostanze.

3. La terza delle tre questioni è la classe operaia, il protagonista di massa della rivoluzione socialista: esiste ancora una classe operaia concentrata nelle aziende capitaliste, esiste ancora un proletariato concentrato in altre aziende e istituzioni pubbliche o private? Molti esponenti della sinistra borghese, di quelli che non osano apertamente rinnegare la rivoluzione socialista, propagandano l’idea che non esiste più una classe operaia concentrata nelle aziende capitaliste che possa essere come classe protagonista della rivoluzione socialista che dobbiamo con scienza e coscienza promuovere. Ora io sfido chiunque a smentire che oggi, nonostante delocalizzazioni, chiusure e riduzioni, in Italia gli operai delle aziende capitaliste sono più numerosi che alla fine degli anni ‘40 sia come numero assoluto che come percentuale della popolazione, perfino se non contiamo anche i proletari concentrati nelle aziende ancora pubbliche e nelle istituzioni dei servizi pubblici. E le masse popolari che i proletari organizzati devono egemonizzare non sono più contadini poveri dispersi nelle vaste campagne vittime di curati, carabinieri e agrari, ma in larga misura proletari dispersi e precari concentrati nelle zone urbane, ben più facili da mobilitare e certamente meno arretrati. Per non parlare poi dei progressi compiuti dalle donne nell’emanciparsi dall’oppressione clericale.

Il libro di Adriana Chiaia racconta bene gli sforzi e le manovre compiute dalla borghesia, dal suo Stato e dai suoi servi revisionisti per disarticolare la classe operaia, per rompere la fiducia che le Brigate Rosse si erano conquistate e mostra che le Brigate Rosse la persero non principalmente per la ferocia e l’abilità della borghesia, ma per i loro errori, per loro arretratezze, per la loro deviazione nel militarismo e nel soggettivismo.

Il fattore chiave, determinante per fare con successo la rivoluzione socialista è, oggi come lo era ieri, un partito comunista che padroneggia e applica con creatività e abnegazione il marxismo-leninismo-maoismo, senza riserve né intellettuali né morali. Un partito comunista che sa convincere e dirigere, come ben spiega Stalin nello scritto Questioni del leninismo che abbiamo pubblicato nel numero 54 di La Voce appena messo in distribuzione. Noi vogliamo essere questo e una scuola di formazione per tutti quelli che decidono di associarsi con noi.

È l’appello che rivolgiamo a ogni persona di buona volontà, a ogni lavoratore avanzato, a ogni giovane e a ogni donna generosi, capaci di dedicarsi a un’impresa difficile ma necessaria e quindi destinata alla vittoria.

Siate rigorosi nel pensare. La borghesia fa di tutto per distogliere le masse popolari dal fare la rivoluzione, pone mille ostacoli a che imparino a pensare. Ma non è in grado di impedire a noi comunisti né di pensare né di ispirare le masse popolari e mobilitarle per fare la rivoluzione socialista fino a instaurare il socialismo.

Il terreno è fertile e la stagione propizia per avanzare nella rivoluzione socialista.

È in questa prospettiva che a nome di tutti i membri del (nuovo) Partito comunista italiano auguro successo al vostro lavoro.

Compagno Ulisse, segretario generale del Comitato centrale del (n)PCI.

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