Il 26 Novembre in piazza a Roma migliaia di donne sono scese in piazza per ridare gambe e moltiplicazione alla lotta delle donne delle masse popolari in Italia alla stregua di quanto sta avvenendo nel resto del mondo da qualche mese a questa parte.
In tutto il mondo dalla Polonia, all’Italia, passando per l’Argentina e ora per la Francia sono milioni le donne che si stanno ribellando e interrogando rispetto al livello di oppressione e smarrimento che questo sistema economico e politico comporta per loro. Non solo una questione di genere quindi ma un interrogativo più generale su dove stia andando la nostra società e quale sia il ruolo delle donne delle masse popolari per cambiare rotta. In tal senso le risposte vanno ricercate non solo nella contraddizione uomo-donna, questo il rischio di ogni movimento femminista che ha attraversato la storia dell’umanità, ma più precisamente individuare come contraddizione principale la contraddizione di classe. Le donne della borghesia sono infinitamente più libere delle donne delle masse popolari fin quando esisterà il sistema capitalista, così come in generale gli uomini e le donne delle masse popolari fin quando esisterà il sistema capitalista non potranno mai essere liberi quanto e come lo sono gli esponenti della classe dominante. La contraddizione va quindi posta principalmente su questi binari, consci però che la discriminante di genere è perdurante e presente nel campo delle masse popolari e in quanto tale va analizzata anche come arma della borghesia tesa ad alimentare la guerra tra poveri anziché l’unità nel colpire insieme il vero nemico: la borghesia imperialista, per l’appunto.
Non si tratta quindi di dire alle donne di smettere di fare quello che fanno, ma che lo facciano per trasformare problemi e soluzioni individuali in problemi e soluzioni collettivi: oggi molti problemi derivanti dallo smantellamento dei servizi sono già presi in mano dalle donne spontaneamente, attraverso l’autorganizzazione di donne e mamme, che sopperiscono agli enti e alle istituzioni: autofinanziamento, cura e manutenzione delle strutture scolastiche, spazi aggregativi e ricreativi, doposcuola, reti di supporto e sostegno per accudire bambini, ambulatori popolari. In tal senso bisogna salutare con entusiasmo il livello di mobilitazione che le donne delle masse popolari stanno mostrando in questi ultimi mesi in tutto il mondo e inquadrare sia la mobilitazione “Sin una di menos” del 26 novembre a Roma, sia lo sciopero che il giorno 7 novembre le donne francesi hanno compiuto o le mobilitazioni d’inizio autunno in Polonia e in Argentina.
Il compito principale dei comunisti oggi è quello di incanalare, favorire e dispiegare questa mobilitazione per far sì che da singola esperienza si moltiplichi e socializzi fino a diventare strutturale alla società che stiamo costruendo. La realizzazione di queste misure dipende da noi e sta nelle nostre mani. Senza il protagonismo delle donne per la costruzione di un governo d’emergenza popolare inquadrandolo nell’ordine di distruzione dell’esistente come costruzione della prospettiva socialista nel nostro paese, che viva della partecipazione e mobilitazione delle donne delle masse popolari, prima o poi l’attivismo e l’aspirazione al cambiamento rifluiscono nel vicolo cieco della sconfitta.
È solo incanalando la lotta delle donne delle masse popolari in questo processo che esso potrà delinearsi come decisivo per la risoluzione concreta di questa contradizione, la contraddizione di genere come derivato della più generale contraddizione tra classi. Lenin scriveva: “Indipendentemente da tutte le leggi che emancipano la donna, ella continua ad essere una schiava, perché il lavoro domestico la opprime, la strangola, la degrada e la limita alla cucina e alla cura dei figli; ella spreca la sua forza in lavori improduttivi, senza prospettiva, che distruggono i nervi e la rendono idiota. E’ per questo motivo che l’emancipazione della donna, il vero comunismo, inizierà solamente quando sarà intrapresa una lotta senza quartiere, diretta dal proletariato, possessore del potere dello Stato, contro questa natura del lavoro domestico o, meglio, quando avrà luogo la totale trasformazione di questo lavoro in un’economia di grande scala”.
La liberazione da questo tipo di oppressione non è certamente nell’ordine delle cose fin quando sarà viva e vegeta la dominazione capitalista della società e non lo sarà fin quando il movimento comunista e la classe operaia alla guida delle masse popolari non conquisteranno il potere economico, politico e culturale della società. La storia del movimento comunista può darci una cifra di quanto appena affermato. Ad esempio il 18 marzo 1871, per la prima volta nella storia, il potere statale passa nelle mani del proletariato: con la Comune di Parigi la classe operaia parigina mostra a tutti gli oppressi che il proletariato può prendere nelle sue mani il potere e gestirlo al posto e meglio della borghesia. Questa esperienza, seppure breve, sarà di importanza fondamentale per tutto il movimento comunista: Marx celebrerà la Comune come “la forma, finalmente trovata, della dittatura del proletariato”. Nella creazione della Comune il ruolo delle donne delle masse popolari non sarà certo di secondo piano.
Esse hanno dimostrato, e dimostrano tuttora, che la loro mobilitazione è indispensabile per il successo di ogni rivoluzione, per la trasformazione di ogni società. A spiccare in quel movimento progressivo di insubordinazione alle autorità della borghesia c’è Louise Michelle proletaria parigina che insieme al resto delle donne delle masse popolari parigine osò affrontare a muso duro l’esercito francese, tedesco e i capisaldi del potere oppressore nella Parigi dell’epoca. Basti pensare all’esperienza dei primi Paesi socialisti e alla promozione di strutture sanitarie e per l’educazione dei figli, con l’operaia sovietica che fin dai primi mesi di gravidanza riceveva un aiuto economico, durante la guerra anche viveri, frequentava gratuitamente ambulatori appositi, veniva adibita a lavori leggeri ed era proibito licenziarla; due mesi prima e due dopo il parto si asteneva dal lavoro con normale salario (il periodo è concordato durante la guerra!); riceveva il corredo dal sindacato, se non poteva allattare le veniva fornito gratuitamente il latte e quando riprendeva il lavoro poteva interromperlo per mezz’ora ogni tre ore per allattare il figlio che viveva nei nidi d’infanzia dell’azienda. I risultati concreti di questi profondi cambiamenti sono riscontrabili dai dati statistici dove si esprime massicciamente la presenza e il potere della donna. Già nel 1920 l’alfabetizzazione delle donne è salita al 20%, alla fine degli anni 60 è del 99,8% senza distinzioni di rilievo fra città e campagna. Per quel che riguarda la presenza delle donne nel lavoro già nel 1928 (primo piano quinquennale) si attua un balzo in avanti: industria 26%; sanità e sicurezza sociale 63%; insegnamento e cultura 55%; ricerca scientifica 40%; apparato statale 19% servizi pubblici e alimentazione 22%. Nel 1937 cinquemilioni di bambini si trovano nei nidi, un milione di ragazzi nei giardini d’infanzia. Nel 1941 funzionano 77.000 scuole, nel 1943 diventano 102.000 e le cifre continuano ad aumentare nonostante l’eroica guerra antinazista. Questi sono brevi dati e numeri che danno la cifra di come anche diritti e tutele, che oggi ci sembrano irreaizzabili, erano per le donne delle masse popolari dell’Unione Sovietica quasi scontate a ulteriore riprova che è solo con la rivoluzione socialista che la donna si emancipa per davvero e fino in fondo.
Chiudiamo questo scritto con un principio fondamentale e con un augurio. Il ruolo in cui le donne sono relegate, la differenza tra i sessi erano e sono eredità di epoche precedenti al capitalismo. II capitalismo ha assunto e mantiene tuttora queste differenze e le sfrutta per i propri scopi. 11 capitalismo nella nostra epoca, l’epoca dell’imperialismo, ha immesso mano a mano e in forma sempre più massiccia le donne nella produzione. In questo processo hanno avuto grande importanza le due guerre mondiali, durante le quali milioni di donne sono state incorporate nell’economia. Il capitalismo ha in sé le condizioni per l’emancipazione della donna, l’emancipazione della donna implica la distruzione del sistema capitalista. Noi oggi consideriamo la questione della donna alla luce della contraddizione principale che non è quella tra uomo e donna, ma quella di classe, tra borghesia e proletariato. In questo le donne, unite dalla stessa sorte agli uomini, potranno lottare per la loro emancipazione che potrà avvenire solo emancipando l’intera società. Questo ci evita di scadere nel femminismo borghese, nelle divisioni che contrapponendo uomini a donne fanno il gioco della borghesia, mettono masse contro masse. Il femminismo borghese si è sviluppalo a beneficio delle classi sfruttatrici, ha emancipalo le donne borghesi, quelle proletarie restano sfruttale, oppresse, sottoposte a condizioni di vita sempre peggiori, ad attacchi nel mondo del lavoro e nei diritti sociali. Le donne delle masse popolari possono liberare se stesse se prendono in mano il loro destino, se assumono la direzione ideologica e politica di questo processo, se si conquistano il posto che spetta loro nella ricostruzione dello strumento che trasformerà la mobilitazione delle masse in mobilitazione rivoluzionaria per l’instaurazione del socialismo: il partito comunista.
Il Partito dei CARC chiama tutte le donne delle masse popolari a gettarsi con entusiasmo in quest’opera storica e di contribuire alla riscossa delle donne delle masse popolari del nostro paese e del mondo. Questa l’unica garanzia concreta che non ce sarà più “una di meno” ma tante centinaia di migliaia di donne che hanno alzato la testa assieme alla classe operaia e al resto delle masse popolari del nostro paese liberandosi una volte per tutte dell’oppressione capitalista e quindi dell’oppressione di genere.