Gli operai della Richard Ginori di Sesto Fiorentino sono tornati in piazza martedì 8 novembre, a tre anni dalla vittoriosa vertenza la riapertura che vide sei mesi di occupazione della fabbrica; si ripresentano nubi minacciose sul futuro della fabbrica, che non è mai ripartita a pieno regime e il museo è addirittura chiuso sempre per le vicissitudini del vecchio fallimento, un patrimonio artistico e storico negato alla collettività. Oggi come allora la classe operaia sestese si mobilita portando in corteo 400 persone, e abbiamo intervistato l’operaio Stefano B. dei Cobas per avere informazioni e impressioni sulla nuova vertenza.
Stefano, perchè oggi siete di nuovo in piazza davanti al Comune di Sesto Fiorentino?
A tre anni dall’acquisizione di Richard Ginori da parte del gruppo Kering, multinazionale francese del lusso (proprietaria tra gli altri del marchio Gucci, ndr), possiamo dire che c’è stato un tentativo di rilancio del marchio dal punto di vista commerciale e dal punto di vista dell’organizzazione della fabbrica. Il problema, che avevamo individuato già tre anni fa, è la proprietà dei terreni su cui insiste la Ginori; sapevamo che sarebbe stato un problema dirimente per il futuro della fabbrica, e poteva trasformarsi facilmente in un tentativo da parte della dirigenza di imputare eventuali questioni sul rilancio su questo punto. Il terreno costa circa un milione di euro di affitto all’anno a Kering.
Quindi la situazione è appetibile per un’eventuale speculazione immobiliare…
Esattamente, comunque rimane un problema di per sè come costi. In questo momento pare che il problema sia diventato principale per la gestione, dato che non si riesce ad avere un piano industriale nonostante le promesse della dirigenza: probabilmente non hanno ancora deciso se mantenere l’attività produttiva sul territorio di Sesto o spostarla altrove. La nostra paura è che quando si parla di spostamenti da parte di una multinazionale non si sa dove si può finire… Può essere a Scandicci, ma può essere anche all’estero. Quindi siamo qui per ribadire che la Ginori è dei sestesi e soprattutto degli operai che ci lavorano. E non è un fatto secondario che la fabbrica produca sul territorio sestese o su quello fiorentino; è per questo che siamo qui per fare pressioni sulle istituzioni.
A proposito di istituzioni, qui ce ne sono in ballo due: i sindacati e le amministrazioni. I sindacati sono tutti presenti e questo è un fatto positivo, e anche una novità rispetto al passato; per quanto riguarda il sindaco, che era presente al corteo e ha vinto le elezioni su battaglie di rottura come quelle sull’inceneritore e sull’aeroporto, quale può essere il passo che deve fare su quei terreni che sono il nodo principale?
Quello che chiediamo noi è che il sindaco o la Regione non svolgano un’attività secondaria rispetto alla proprietà, ma che siano protagonisti e ribadiscano la volontà, a prescindere da Gucci e ogni altro padrone, che la Ginori è una proprietà dei sestesi, del popolo di Sesto Fiorentino e degli operai che ci lavorano. La nostra non è una manifestazione contro i proprietari della Richard Ginori, ma per far capire in maniera chiara alla comunità che la fabbrica è una ricchezza per la città. Sono 300 anni che la fabbrica si trova qui e rappresenta praticamente la storia politica e culturale del territorio; il fatto stesso che ci sia stata una rivolta elettorale nei confronti dei diktat dei partiti regionali e “romani” è anche dovuta alla storia di Sesto Fiorentino e degli operai della Ginori, come si sono rapportati con il resto del tessuto produttivo sestese.
Quindi siete qui per applicare la Costituzione, nello specifico l’articolo 1 che difende il Lavoro come fanno tanti altri operai italiani. Siete stati protagonisti nel 2013 di un’occupazione clamorosa e in seguito a quella avete vinto (la fabbrica è riaperta), con una grossa mobilitazione popolare: questo può essere il prossimo passo? Se non avrete risposte, come pensate di proseguire la mobilitazione?
Certamente, questo è il primo passo; in questi tre anni (che non sono pochi) abbiamo fatto un lavoro a volte oscuro, interno alla fabbrica, cercando di ricreare un’unità interna e di riportare dentro molti di quei lavoratori che erano stati espulsi tre anni fa. Rispetto a quel periodo siamo una trentina in più, e ciò rappresenta un grande risultato nelle condizioni attuali; d’ora in avanti la nostra strategia consiste nel far sentire che esiste sempre di più un’unità di intenti tra la fabbrica e la città: perchè se c’è una possibilità che la Ginori chiuda sarà perchè non è più la fabbrica di Sesto, ma una propaggine di qualche multinazionale.