Oltre l’esito del referendum: organizzarsi e coordinarsi

Solo il Governo di Blocco Popolare può applicare la parte progressista della Costituzione

Scriviamo questo numero di Resistenza alla vigilia di due avvenimenti che la classe dominante presenta con insistenza e premura come elementi di svolta radicale al corso politico: le elezioni presidenziali negli USA e il referendum costituzionale promosso da Renzi e dai vertici della Repubblica Pontificia.

Ma questo numero di Resistenza sarà diffuso per tutto un periodo dopo che i risultati di entrambe le consultazioni saranno conosciuti e avranno iniziato a propagare i loro effetti sia sul corso politico del nostro paese (e del mondo, per quanto attiene alle elezioni presidenziali negli USA) sia, come riflesso, sulle suggestioni, sui ragionamenti, sullo stato d’animo e sulla visione delle cose delle masse popolari.

Noi non possiamo, dunque, che giocare d’anticipo. Questo numero di Resistenza è scritto prima dell’esito delle due scadenze elettorali verso cui quella parte interessata, informata e attiva delle masse popolari guarda, ma tratta argomenti, afferma tesi, dimostra tendenze che valgono (cioè orientano, stimolano il ragionamento, indicano una via) indipendentemente da quali ne siano gli esiti.

Ciò che ci interessa in questo articolo è un ragionamento sulla situazione politica che parte da quelle scadenze, ma le supera; ci interessa mostrare, contrariamente a quanto affermano i media, i politicanti, i venditori di fumo, che la classe dominante non ha possibilità di imprimere una svolta positiva al corso delle cose. Finché la borghesia imperialista governa la società, per le masse popolari non possono esservi che due vie possibili: il meno peggio e il peggio. E il meno peggio apre sempre la via al peggio. Ci interessa inoltre mostrare che, però, al meno peggio che apre le porte al peggio c’è un’alternativa, possibile, realistica, concreta: c’è un futuro luminoso e non buio, di pace e non di guerra, di solidarietà e non di individualismo, di dignità e non di degrado, di lavoro e non di precarietà, di prosperità e non di miseria, di emancipazione e non di oppressione e sottomissione. Questa alternativa si chiama socialismo. Se lasciamo le cose in mano alla classe dominante succederà quello che le leggi oggettive del capitalismo richiedono che succeda, ma se le masse popolari che già oggi sono organizzate e si mobilitano in mille forme e ambiti prendono in mano l’iniziativa, fanno valere i loro interessi, si coordinano e imparano a diventare dirigenti della società, allora succederà quello che le masse popolari organizzate faranno succedere.

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Con “costruire la rivoluzione socialista” intendiamo il processo che nasce dal legame fra il movimento comunista cosciente e organizzato che già esiste (il motore del processo) e la mobilitazione delle masse popolari organizzate che già esistono, già si mobilitano e su scala via via maggiore si mobiliteranno. Quanto più si rafforza il movimento comunista cosciente e organizzato tanto più efficacia, prospettiva, slancio e capillarità hanno le mobilitazioni delle masse popolari; quanto più si estendono le mobilitazioni delle masse popolari su spinta dell’avanzare della crisi, tanto più ampi sono gli spazi di agibilità del movimento comunista cosciente e organizzato. In definitiva, leggendo questo numero di Resistenza scoprirete (vedrete meglio) che dopo il referendum costituzionale (o le elezioni presidenziali negli USA, una tornata delle elezioni amministrative, uno sciopero, una grande manifestazione, l’approvazione di una legge o l’abrogazione di un’altra) ciò che succederà dipende da voi e da noi. Praticamente il suo esito ha significato solo come elemento che ostacola o favorisce la costruzione della rivoluzione socialista, come elemento che favorisce oppure ostacola la costituzione di un governo di emergenza delle masse popolari organizzate, che è la condizione più favorevole per la rinascita su ampia scala e in tempo relativamente breve del movimento comunista cosciente e organizzato: presupposto decisivo per la vittoria nella lotta per l’instaurazione del socialismo.

Guardiamo le cose dall’alto. In ogni paese capitalista, in forme diverse, l’andamento che dirigenti e istituzioni borghesi imprimono al corso delle cose resta e deve restare nell’ambito dettato dalle leggi oggettive dell’economia capitalista. Obama (e chi gli succederà), Merkel, Hollande, Renzi e chi per loro sono presentati come “i governanti del mondo” (G7, G8, G16, G20): in verità sono semplici funzionari del capitale. Nessuno di loro decide sulla base di capacità intellettuali e valori morali che avrebbero natura e origine diverse dal modo di produzione di cui sono espressione e agenti, tanto meno sulla base di uno slancio delle masse popolari del singolo paese che avrebbe origini ultraterrene o comunque misteriose e sulla base delle caratteristiche naturali di ogni singolo paese. Caratteristiche individuali dei grandi capi delle potenze imperialiste operano al servizio della frazione di capitale che rappresentano (che è, nel momento in cui loro governano, quella predominante sulle altre), mentre le masse popolari dei paesi imperialisti sottoposti al loro governo sono carne da macello, animali da lavoro, carne da cannone e ogni singolo paese è teatro di scorrerie, rapine, saccheggi, oppressione e degrado materiale e morale per lavoratori autoctoni e immigrati.

Ogni frazione di capitale risponde alle leggi oggettive del sistema economico e del modo di produzione capitalista. Cioè è in concorrenza con le altre a livello nazionale e internazionale, è in guerra contro i lavoratori e le masse popolari, una guerra che ha il suo presupposto nel fatto che ogni frazione di capitale deve moltiplicarsi: a discapito delle masse popolari (e questa la unisce alle altre frazioni, hanno interessi convergenti) e a discapito di altre frazioni di capitale (e ha con ognuna di esse interessi contrapposti: morte tua vita mia).

La crisi che logora il sistema capitalista nasce dalle sue basi economiche: materialmente, il capitale complessivo ha raggiunto un livello tale che non può più essere valorizzato tutto e una parte deve essere distrutta. Quale distruggere? Su questo i capitalisti, la classe dominante, non trova e non può trovare pacificamente un accordo e ogni fazione cerca di scaricare gli effetti della crisi sulle altre, di mantenere spazi e margini per i propri affari (negli anni ‘30 del secolo scorso Hitler lo chiamava “lo spazio vitale per la Germania”) erodendoli, limitandoli e negandoli alle altre. Questa è la base della tendenza alla guerra, lo sbocco finale di tutte le manovre che la borghesia imperialista adotta per far fronte alla crisi.

Chi non mette alla base dei suoi ragionamenti questo processo parla senza cognizione di causa: confonde, inquina, raggira le masse popolari o campa di illusioni, pesta l’acqua nel mortaio.

Se guardiamo le cose dall’alto vediamo che le cronache politiche internazionali e nazionali presentate come intricate, “complesse”, oscure sono invece semplici, alla portata della comprensione di chiunque voglia capirle; vediamo che leggi, iter, prassi, codici, il muro di gomma del “si dovrebbe fare, ma non si può” è fumo negli occhi, orpello e paravento (un teatrino). L’economia dirige la politica, gli interessi della borghesia imperialista governano il mondo: quello che decide tutto sono le leggi e i sommovimenti propri del sistema economico capitalista.

Anche nei paesi imperialisti la partecipazione delle masse popolari alla vita politica e sociale (che era molto cresciuta durante la prima ondata della rivoluzione proletaria) è sempre meno ampia ed efficace: la lotta politica borghese (elezioni, referendum, campagne di opinione) si fonda sul riconoscimento e sul rispetto delle regole della classe dominante (come dire che in una partita di pallone, la borghesia imperialista fa da squadra avversaria e da arbitro, viola le regole a suo piacimento e tornaconto); la lotta delle masse popolari per rivendicare migliori condizioni di vita e di lavoro (che è sempre giusta e sacrosanta, è la forma “elementare” della lotta di classe) è fortemente limitata proprio perché resta nei limiti dello strappare alla classe dominante concessioni e di ridimensionarne le pretese, ma non mira a toglierle la direzione della società.

Eppure entrambe, che se concepite come unica forma di lotta e mobilitazione portano le masse popolari all’immobilismo, all’impotenza, alla frustrazione e alla rassegnazione, sono strumenti della politica rivoluzionaria.

Per noi comunisti l’esito della lotta politica borghese non si qualifica nel campo delle opinioni che vanno per la maggiore (e sulla maggioranza dei voti), ma nel campo dell’organizzazione, del coordinamento e della mobilitazione delle masse popolari organizzate. Cosa vuol dire?

Nel caso del referendum costituzionale promosso da Renzi e dai vertici della Repubblica Pontificia significa che il risvolto pratico dell’esito ha, per i lavoratori e per le masse popolari, importanza relativa. Ha importanza, perché il risultato di una battaglia concorre a definire il contesto in cui si combatte la guerra, prepara il terreno per le battaglie successive e per quelle concatenate, ma ha importanza relativa perché l’aspetto decisivo attiene a quanto e come i lavoratori e le masse popolari hanno e applicano una propria strategia, una propria politica, con propri obiettivi, in conformità dei propri interessi.

Se vince il NO la guerra per bande fra fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia, la resa dei conti nel PD, la controffensiva degli oppositori di Renzi, l’aumento delle contraddizioni fra istituzioni, apparati statali e cricche di potere (le spinte all’ingovernabilità del paese dall’alto) si combineranno con le mobilitazioni popolari contro gli effetti della crisi economica, della crisi politica e della repressione (ingovernabilità dal basso); la vittoria del NO sarebbe una importante iniezione di fiducia nella parte delle masse popolari che si è mobilitata nei mesi scorsi – vedi articolo No Renzi-day… a pag. 1 – e alimenterebbe le tendenze all’organizzazione, al coordinamento e alla mobilitazione che si sono espresse nella campagna referendaria.

Se vince il SI le spinte all’ingovernabilità dall’alto saranno più forti rispetto a quelle dal basso. Gli oppositori di Renzi dovranno incassare il colpo, ma non tutti lo faranno pacificamente e non tutti, tanto meno, si rassegneranno. Nelle contraddizioni prodotte e dalla vittoria di Renzi e dal contenuto della riforma costituzionale, la crisi politica e l’ingovernabilità aumenteranno, assumeranno contenuti più netti e forme meno diplomatiche. Nel campo delle masse popolari si distingueranno nettamente due tendenze: 1. quella più influenzata dalle concezioni della sinistra borghese (di vecchio tipo, cioè i partiti della sinistra radicale, e di nuovo tipo cioè il legalitarismo del M5S) che sarà caratterizzata dalla delusione e in certi casi dalla rassegnazione, e 2. quella più influenzata dalla concezione più radicale (“lotta, lotta, lotta”) che si produrrà nella promozione delle lotte spontanee “più dure”. Delle due tendenze la prima è quella dirigente, la seconda è in un certo modo una risposta alla prima e da essa dipendente.

I nostri referenti, cioè le persone a cui rivolgiamo i nostri articoli e le nostre iniziative politiche e culturali, complessivamente si sono schierati e mobilitati più o meno attivamente contro la riforma costituzionale promossa da Renzi. Nella campagna del referendum noi promuoviamo la coscienza che occorre attuare le parti progressiste della Costituzione del 1948 che la Repubblica Pontificia ha sistematicamente violato o comunque aggirato ed eluso e promuoviamo l’organizzazione per costituire il Governo di Blocco Popolare che ha come suo programma proprio l’attuazione delle parti progressiste dell’attuale Costituzione. Ma che vinca il SI’ o che vinca il NO, noi comunisti valorizzeremo ai fini della rivoluzione socialista la situazione che si creerà. Lasciamo ai leccapiedi della borghesia, agli opinionisti, ai prezzolati giornalisti, analisti, politicanti di gioire o stracciarsi le vesti per l’esito del referendum del 4 dicembre. Tiriamo dritti, tenendo conto della condizioni concrete create dal referendum, nella lotta per costituire nel nostro paese un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

Se lasciamo l’esito del referendum nelle mani della borghesia, che vinca il SI’ o che vinca il NO ai fini pratici, immediati e concreti cambierà poco per le masse popolari: continueranno e si moltiplicheranno i colpi di mano come l’invio di 140 soldati italiani in Lettonia senza nemmeno una informativa parlamentare, con i quali il governo Renzi si fa un baffo della Costituzione tutt’ora in vigore; le violazioni del diritto costituzionale alle cure mediche, come nel caso della donna incinta morta in Sicilia per mano di uno dei tanti “medici” obiettori contro l’aborto o a causa dell’aumento dei ticket sanitari che di fatto permettono le cure solo a chi può pagarle; le violazioni del diritto all’istruzione e allo studio come la Buona Scuola e i finanziamenti statali alle scuole private; le angherie, i soprusi e le rapine come i prelievi forzosi per salvare le banche della cricca Renzi e come prevede la riforma del sistema tributario dopo l’abolizione di Equitalia. Per dritto o per rovescio gli Enti Locali saranno continuamente sottoposti allo svuotamento delle loro autonomie, in particolari i Comuni, e le riforme elettorali avranno principalmente la funzione di impedire che qualche eletto si metta di traverso, che pretenda di governare il territorio anziché fare da esattore di tasse e tributi per il governo centrale (cioè soldi destinati ai circoli della speculazione internazionale e non ai servizi pubblici).

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La questione di fondo è che oggi, come nel 1945, dobbiamo liberare il nostro paese. Non solo da Renzi e dalla sua cricca cresciuta alla scuola di Gelli, ma dal dominio dei caporioni della finanza, dei banchieri e dei grandi capitalisti dell’industria e del commercio, dalla Corte Pontificia e dai capi della criminalità organizzata (i vertici della Repubblica Pontificia). Sono una forza occupante che, in ragione delle leggi oggettive del sistema economico capitalista, elimina le conquiste e i diritti, riduce e peggiora i servizi pubblici, smantella un pezzo dopo l’altro l’apparato produttivo del paese, saccheggia il territorio e devasta l’ambiente, ci trascina nella guerra.

Per sbarrare la strada alla mobilitazione reazionaria, al governo Renzi, ai vertici della Repubblica Pontificia, agli imperialisti USA e UE che spadroneggiano nel nostro paese, le masse popolari organizzate devono fare leva sulla loro forza, generosità e intelligenza collettiva e costituire il Governo di Blocco Popolare, l’unico che può applicare su ampia scala e sistematicamente la parte democratica e progressista della Costituzione. La difesa di un simile governo e la sua attività apriranno la via alla rinascita del movimento comunista e quindi all’instaurazione del socialismo, che è l’unica soluzione definitiva alla crisi del capitalismo, l’unica prospettiva positiva per gli operai, i lavoratori e le masse popolari.

Questa è la via realistica, praticabile e pratica, non facile ma attuabile, che le masse popolari devono imboccare. Sta ai più volonterosi e ai più lungimiranti promuoverla, propagandarla, incominciare. Non importa se si è pochi a incominciare: all’inizio è inevitabile, tanta è la sfiducia in noi stessi e nella nostra classe che ci hanno inculcato, che le sconfitte subite hanno prodotto in noi, che i padroni, il clero e i loro accoliti, agenti e seguaci diffondono e alimentano. L’esempio, i risultati, la propaganda di chi inizia e l’arroganza e la criminalità dei ricchi e del loro clero spingeranno una parte crescente delle masse popolari a seguire la nostra strada.

Questa è la via che noi comunisti proponiamo, che promuoviamo, che sosteniamo e sosterremo con tutte le nostre forze! È per promuovere questa via che chiediamo ai più generosi di arruolarsi nelle nostre fila!

Bando al disfattismo e alle facili illusioni”

http-_i-huffpost-com_gen_4533080_images_n-vive-etat-urgence-628x314Ciò che da metà ottobre accade in Francia è di grande insegnamento. Dopo le grandi, generose, radicali, mobilitazioni contro la Loi Travail (vedi Resistenza n. 5 e n. 7-8/2016), la mancanza di un partito comunista che sapesse prenderne la direzione per valorizzare la combattività delle masse popolari ha lasciato il campo al riflusso e alla reazione: oggi le piazze sono riempite dalle manifestazioni di poliziotti incappucciati e armati, chiamati a raccolta dal sindacato vicino al Fronte Nazionale, che pretendono “più tutele e mano libera contro terroristi islamici e comunisti”. Detto ciò, la realtà è sempre unità di opposti, è vera pure la legge contraria: il negativo può trasformarsi in positivo. Ogni manovra della borghesia imperialista contro le masse popolari porta a una maggiore ingovernabilità e instabilità sociale: sia perché le masse popolari si ribellano, sia perché di questa ribellione le frazioni della stessa classe dominante (nazionali e internazionali) cercano di approfittarne per fare le scarpe alla fazione principale. In questo intrigo, l’unica cosa fuori posto sono le illusioni dei lavoratori e delle masse popolari che i loro interessi possano coincidere con le sorti di una fazione o dell’altra della borghesia imperialista, con le sorti del sistema economico di cui è espressione (e a cui è sottomessa: l’economia dirige la politica), con il sistema politico in cui essa è classe dirigente.

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