Il 22 ottobre migliaia di persone hanno manifestato a Roma per il NO Renzi-day, una manifestazione promossa dal Coordinamento per un NO sociale alla controriforma costituzionale. Il giorno prima, il 21, si è svolto lo sciopero generale indetto da USB e altri sindacati di base: sono stati due giorni di mobilitazione che complessivamente hanno coinvolto parte importante di chi è attivo nei territori e sui posti di lavoro contro il governo Renzi. Ben altri numeri e ben altri contenuti, entusiasmo e partecipazione rispetto allo stanco raduno a cui il PD ha chiamato le sue truppe “per il SI’” sempre a Roma, il 29 ottobre (Piazza del Popolo vuota per tre quarti nonostante pullman e treni speciali).
La mobilitazione dal basso per il NO e contro Renzi, inoltre, non si è conclusa il 22 ottobre: il 4 novembre lo sciopero generale di CUB, SGB e altri sindacati di base e il 27 novembre ancora una manifestazione nazionale promossa da movimento NO TAV e movimenti per la casa; il 5 novembre a Firenze (quando il giornale sarà uscito la mobilitazione sarà passata, ma scriviamo prima che si svolga) sarà contestato Renzi alla Leopolda e altre centinaia di iniziative si svolgeranno in tutto il paese nelle settimane seguenti.
Torniamo alla manifestazione del 22 ottobre e alla partecipazione che è andata oltre le aspettative degli organizzatori: i media di regime parlano di 40mila persone (anche se probabilmente erano meno), rappresentative di tutte le categorie delle masse popolari: operai, lavoratori del pubblico, studenti, pensionati.
Abbiamo partecipato alla manifestazione facendo propaganda e raccogliendo elementi di inchiesta, due modalità legate fra loro dall’obiettivo di promuovere l’organizzazione e il coordinamento della parte più attiva affinchè, zona per zona, diventi punto di riferimento per le masse popolari e le mobiliti per applicare dal basso la Costituzione.
Per quanto attiene alla propaganda, abbiamo organizzato un piccolo spezzone nel corteo che consentisse di essere visibili sufficientemente per incontrare vecchi e nuovi simpatizzanti che hanno fatto con noi un pezzo di percorso, mentre piccoli gruppi di compagni lungo tutto il corteo diffondevano Resistenza e volantinavano; per quanto attiene all’inchiesta, gruppi di compagni hanno diffuso lungo tutto il corteo un breve questionario (dal titolo “Applicare la Costituzione”) che aveva l’obiettivo di “toccare con mano”, tramite le risposte, le aspettative, le ambizioni, i ragionamenti della “base rossa” del NO al referendum costituzionale. I dati che ne abbiamo raccolto, lungi dall’essere una rappresentazione esaustiva ed esatta di “ciò che pensano le persone che hanno partecipato alla manifestazione”, sono comunque molto interessanti, dimostrano che sono ben presenti quelle tendenze avanzate che, se sviluppate oltre il loro stato di “opinioni”, diventano decisive nella definizione della linea del movimento popolare.
Al questionario hanno risposto lavoratori di tutte le categorie (pubblico, privato), persone provenienti da varie parti d’Italia (dalla Puglia al Piemonte) e di tutte le età (dagli studenti ai pensionati); abbiamo proposto il questionario sia a chi era evidentemente riconoscibile per l’appartenenza sindacale (in particolare USB) o politica (PRC, PCL) ma anche a chi non esprimeva chiaramente un’appartenenza sindacale, partitica o associativa; nessuno dei nostri compagni (membri, collaboratori e prima cerchia di simpatizzanti) ha compilato il questionario. Al momento in cui scriviamo abbiamo raccolto poco meno di 200 questionari, pochi nel complesso della manifestazione, ma abbastanza per ragionare sui risultati che sono emersi. Eccoli.
Il 94% di chi ha compilato il questionario pensa che “per affermare gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari non è sufficiente votare NO il 4 dicembre e che, oltre al NO, ci si debba mobilitare per applicare la Costituzione nelle sue parti democratiche e progressiste, prima e dopo la data del 4 dicembre”. Qualcuno può pensare che si tratti di una risposta scontata, ma non è così. La sinistra borghese, debole a livello organizzativo ma ancora molto influente a livello ideologico fra le masse popolari, ha per decenni affermato nella pratica il contrario: finita una mobilitazione si passa a un’altra, persa una battaglia se ne inizia un’altra. Ne sono dimostrazione le esperienze del referendum sull’acqua (il cui esito è sistematicamente violato), ma in questo senso parlano chiaro anche le “mille battaglie che durano una stagione”. E’ un preciso modo di intendere la lotta politica, soprattutto quando di mezzo ci sono consultazioni elettorali: in campagna elettorale sembra si tratti sempre della “battaglia della vita”, poi dopo la consultazione (che in genere la sinistra borghese perde perché gioca sullo stesso terreno della destra e dei vertici della Repubblica Pontificia) rimangono rassegnazione, sconforto, sfiducia e le solite lamentele sul fatto che “la gente non capisce”. Il 94% di chi ha risposto al questionario dimostra che le lamentele dei dirigenti della sinistra borghese sono ingiustificate e che invece esiste una base da organizzare e mobilitare.
Il 78% ha chiaro che per attuare la parte democratica e progressista della Costituzione non basta chiederlo alle autorità borghesi, ma è necessario violare norme, leggi e prassi che ne impediscono la realizzazione. Solo il 22% è dell’idea che “la legge è legge” e per applicare la Costituzione bisogna aspettare che un governo e un parlamento abroghino le norme e le leggi e impediscano le prassi che la violano.
Su quali siano le forze, gli aggregati e gli organismi che devono mettersi alla testa della mobilitazione per applicare dal basso la parte democratica e progressista della Costituzione, il 65% ha indicato, genericamente, i movimenti sociali; il 60% ha indicato le organizzazioni sindacali (in certi casi specificando “di base”), il 32% partiti e organizzazioni politiche e il 22% le Amministrazioni locali (le risposte erano multiple, il totale non fa 100). Di particolare interesse in queste risposte ci sta, da una parte, il contributo “dal basso” alla discussione che infuria sul ruolo del sindacato: è chiaro che chi ha risposto ritiene che un sindacato di classe non possa limitarsi a “fare il sindacato”, ma debba assumere iniziativa politica. Considerando la diffusa partecipazione di iscritti, militanti e attivisti dell’USB, anche questa risposta sembra scontata, ma se letta alla luce delle contraddizioni nel movimento sindacale (che pure non è in grado oggi di esprimere una posizione unitaria neppure su uno sciopero generale contro il governo) è una indicazione preziosa. Ma di interesse è anche, dall’altra parte, che siano indicate le Amministrazioni locali come centro di mobilitazione per applicare la parte democratica e progressista della Costituzione. Quelle che noi chiamiamo “Amministrazioni Locali di Emergenza” che smettono di essere tentacolo locale del governo centrale e dei vertici della Repubblica Pontificia e assumono un ruolo positivo nella mobilitazione per affermare i diritti e gli interessi delle masse popolari.
Infine, a conclusione di questa “piccola inchiesta”, il 92% di chi ha risposto si è dichiarato disponibile a mobilitarsi in iniziative per l’applicazione della Costituzione (si badi, è cosa diversa che mobilitarsi “per il NO” o mobilitarsi per “fare propaganda per il NO”) e in larga maggioranza si dice disposto ad essere lui stesso promotore e organizzatore di iniziative locali che rientrano in un contesto di mobilitazione nazionale, si è detto disposto a coinvolgere colleghi, compagni, amici e famigliari.
Questo è, forse, il dato che lascia maggiori elementi di riflessione. Non solo perché dimostra che chi se la prende con “le masse che non capiscono” sta fuori dal mondo, ma soprattutto perché pone la questione di trovare la strada per dare le gambe a questa aspirazione, di tradurla in pratica.
In sintesi: il 22 ottobre hanno partecipato in tanti per dire NO alla riforma costituzionale e al governo Renzi. Da quello che abbiamo raccolto, in tanti si aspettano di combattere la battaglia fino in fondo e con ogni mezzo a disposizione, si aspettano che chi li ha chiamati in piazza non metta i remi in barca dopo il 4 dicembre. E non si tratta di chiamare una manifestazione nazionale dopo l’altra per esprimere dissenso, si tratta di prendere l’iniziativa in mano, raccogliere e organizzare il consenso alla costruzione dell’alternativa.
Per quanto attiene a noi, il P.CARC è stato, è e sarà a disposizione di tutti quei compagni e quelle compagne che vogliono fare un passo avanti, che non si accontentano più di protestare, ma vogliono costruire. Costruiamo insieme la nuova governabilità del paese!