Il 7 ottobre si sono svolte manifestazioni in tutto il Paese nell’ambito della mobilitazione nazionale contro la Buona Scuola.
La grande partecipazione di studenti e docenti è ennesima conferma della tendenza positiva delle masse popolari del nostro Paese a resistere, a non rassegnarsi alle misure che i governi impongono per fare fronte alla crisi del sistema capitalista, tra cui quella di rendere “il pubblico” (scuola, sanità, beni comuni, ecc.) ambito di valorizzazione del capitale e speculazione, merce.
Abbiamo partecipato ai cortei ovunque siamo presenti, toccando con mano che, al contrario dei commenti superficiali e degli “sfoghi” su quanto i giovani si disinteressano a tutto che a volte si sentono in giro, la disponibilità alla mobilitazione è molto diffusa anche fra coloro che abitualmente non partecipano e non frequentano ambiti di movimento.
Abbiamo rilevato due tendenze che si combinano:
– fra chi ha partecipato alla mobilitazione è abbastanza diffusa la spinta a legare le battaglie degli studenti con quelle dei docenti e insegnanti e l’ambizione di sviluppare questo processo su scala nazionale;
– fra chi ha promosso le mobilitazioni è decisamente chiara la spinta a legare la battaglia contro la Buona Scuola con quella per il NO al Referendum costituzionale.
“Occuparsi e uscire dalla propria scuola per applicare la Costituzione attraverso mille iniziative di base” è la sintesi più avanzata di quanto hanno espresso le mobilitazioni del 7 ottobre e vive, oltre a quella mobilitazione, nelle spinte a promuovere iniziative cioè di cui sono protagonisti quegli studenti e quei docenti decisi a dare battaglia contro la legge 107, nell’ottica di trovare loro stessi soluzioni, alternative a quelle “preconfezionate” dalle Autorità costituite e di prendere direttamente in mano l’attuazione della difesa del diritto allo studio.
Del resto, chiedere al governo di “ritirare la riforma”, di “dare più soldi all’istruzione” attraverso la promozione di referendum, petizioni e leggi popolari, piuttosto che elevando il conflitto per costringere il “governo a fare”, è una linea senza sbocco, che dirige la mobilitazione delle masse popolari in un vicolo cieco (ne sia testimonianza la bocciatura ad opera della Cassazione del referendum contro la buona Scuola per la mancanza, di un soffio, del numero di firme necessarie).
Con questo non intendiamo dire, ovviamente, che partecipare alla racolta di firme per un referendum o partecipare a manifestazioni: ogni iniziativa di qualunque tipo è positiva se è usata nell’ottica di:
creare opinione pubblica favorevole alla mobilitazione;
tessere relazioni, allargare gli ambiti di intervento, stringere alleanze;
creare organizzazione: favoire la creazione di organismi che capillarmente siano presenti e operino in ogni scuola, in ogni quartiere e in ogni città.
Le campagne di opinione, dunque, sono il contesto di quelle “mille iniziative di base” attraverso cui studenti e docenti fanno fronte direttamente alle problematiche della scuola e escono dalla scuola per contribuire a fare fronte alle problematiche del resto della società.
Quali sono le iniziative di base che fanno la differenza? Facciamo solo alcuni esempi:
Boicottare in modo organizzato il pagamento del “contributo volontario scolastico” e pretendere che i fondi destinati alle scuole pubbliche arrivino dalle istituzioni (che invece li dirottano su quelle private, “parificate”, ecc.);
organizzarsi dentro e fuori dalla scuola per reperire materiali, strumenti per la didattica, attrezzature;
fare una mappatura delle criticità e certificarle (vigilare sulla gestione dei soldi nelle mani dei Presidi e dei Consigli d’Istituto o addirittura toglierla loro) per imporre che siano affrontati i problemi più urgenti (che sempre più spesso sono strutturali: crolli, strutture fatiscenti, inospitali);
promuovere la propaganda e l’organizzazione per boicottare l’alternanza scuola – lavoro a partire dall’arruolamento degli studenti per conto di multinazionali come McDonald’s.
Questo è, in definitiva, il movimento più efficace e concreto per legare la mobilitazione contro la buona Scuola alla lotta per applicare la Costituzione dal basso.
La lotta in difesa della scuola pubblica, oggettivamente, racchiude e coinvolge centinaia di migliaia di persone: tanto che ogni scuola rappresenta potenzialmente un centro di promozione e mobilitazione del territorio. Gli insegnanti che si coordinano con studenti e genitori possono fare di ogni scuola il centro della mobilitazione della popolazione che vive lì attorno, un punto di organizzazione e coordinamento, possono diventare i promotori del coordinamento con altri lavoratori, con operai, disoccupati e contribuire cosi alla costruzione della rete della nuova governabilità dal basso delle scuole, dei quartieri, delle città e del paese.