Presidenziali USA: ciò che i borghesi non dicono (e forse non vedono)

L’8 novembre si terranno le elezioni presidenziali negli USA. Il loro esito avrà ripercussioni nel contesto di marasma generale, politico ed economico, in cui il mondo intero è impantanato. Per questo lo svolgimento della campagna elettorale è seguito “con trasporto” dai media in tutto il mondo, ma in Italia lo è in modo particolare. Per due motivi: il primo è che gli imperialisti USA sono, con il Vaticano, i “genitori” della Repubblica Pontificia, il regime imposto nel nostro paese fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale; il secondo è che la campagna elettorale è un eccellente ingrediente della diversione e dell’intossicazione dell’opinione pubblica. In Italia non c’è giornale o telegiornale che non parli delle presidenziali USA, ma tutto è ridotto a pettegolezzo, propaganda, opinione, suggestione, strumentalizzazione.

Con questo articolo, lungi dal poter e voler dare un’analisi esaustiva, ci poniamo l’obiettivo di mettere dei punti fermi che siano utili a chi vuole vedere oltre la cortina di diversione. Utili a cosa? A orientarsi nell’analisi della situazione internazionale per assumere con maggiore efficacia un ruolo nella lotta per la costruzione del Governo di Blocco Popolare e per avanzare nella costruzione della rivoluzione socialista. Come base dei nostri ragionamenti prendiamo come riferimento il Comunicato CC 13/2016 del (nuovo)PCI dell’11 luglio 2016 Cosa succede negli USA? Cosa succede nell’UE? Cosa succede nel mondo? Cosa vogliamo far succedere? In quel comunicato, fra le tesi che il (nuovo)PCI afferma, ce ne sono due di particolare interesse per leggere quello che sta succedendo oggi, a tre mesi dalla sua diffusione.

La prima è riportata così: “L’andamento della crisi del sistema politico borghese USA dipende anche dalle lotte in corso nel mondo, ma la sua soluzione in definitiva dipende dallo sviluppo del movimento comunista negli USA: a questo sviluppo possono contribuire e contribuiscono i comunisti di tutto il mondo, principalmente lavorando alla rinascita del movimento comunista nel loro paese. Il primo paese imperialista che romperà le catene della Comunità Internazionale farà scuola anche alle masse popolari americane, come e meglio di come a suo tempo fece l’Unione Sovietica guidata prima da Lenin e poi da Stalin”.

La seconda così: “La crisi che sconvolge la società USA ha le apparenze della persecuzione e discriminazione razziali, dell’oppressione degli afroamericani e della loro resistenza. Queste sono un aspetto reale e permanente della storia degli USA fin dalla loro fondazione. Ma proprio Barak e Michelle Obama sono la dimostrazione che oramai non è più la razza che fa degli afroamericani il bersaglio della mobilitazione reazionaria negli USA. Se un nero è ricco oppure abbastanza istruito, carrierista e intraprendente, l’essere nero non ne fa un bersaglio della persecuzione e discriminazione razziali”.

Cosa possiamo trarne?

a. La disfida fra Trump e la Clinton è una lotta fra chi si propone per attuare una rottura del sistema politico (Trump) e chi si propone per perseverare con un sistema politico (Clinton) i cui effetti sono ben conosciuti dalle masse popolari, tanto che vi si oppongono sempre più apertamente e massicciamente. La rottura del sistema politico è a destra: il suo programma è l’insieme delle soluzioni che alimentano su ampia scala la mobilitazione reazionaria, la guerra fra poveri, il razzismo e il protezionismo economico. La Clinton, del resto, persevera un sistema politico che ha favorito le condizioni in cui il paese si trova oggi e che, in definitiva, non è poi molto diverso nella sostanza. E’ più diluito, ma gli effetti pratici sono i medesimi. Per essere più precisi: sono le politiche di Obama che hanno aperto il terreno a Trump e sono le eventuali politiche della Clinton che faranno rimpiangere la parte più reazionaria della borghesia USA di non aver favorito Trump.

b. Trump è razzista, fascistoide, ha interessi diretti, è spregiudicato, è legato alle lobbies. Questo e di peggio si sente dire su giornali e nelle televisioni. Che di certo fanno leva su questioni vere. Ma non è Trump il presidente che aveva promesso di cambiare il paese in senso democratico, non è lui che aveva promesso di sospendere le guerre iniziate dai Bush, non è lui che si era posto a garante dei diritti delle minoranze, prima fra tutte quella afro-americana, che invece sono sotto attacco della polizia. Le masse popolari degli USA si stanno ribellando in mille forme contro il sistema della crisi, gli effetti della crisi e le politiche di Obama. Ma si stanno ribellando anche contro “l’alternativa” di Trump: per mesi la campagna elettorale e prima ancora le primarie sono state caratterizzate da mobilitazioni, manifestazioni, proteste e scontri.

c. Chiunque vinca fra Trump e la Clinton, le masse popolari degli USA dovranno trovare esse stesse gli strumenti e la strada per la loro emancipazione, perché ciò che la classe dominante USA ha in serbo per loro è il medesimo destino che hanno in serbo per le masse popolari dei paesi del mondo che sottomettono, saccheggiano, distruggono: carne da cannone e carne da macello. Qualunque sia l’esito delle elezioni di novembre, la crisi politica degli USA è destinata ad aggravarsi. Il che preoccupa opinionisti e politicanti, imprenditori e speculatori, ma non deve preoccupare le masse popolari: sono loro che hanno in mano l’iniziativa per costruire l’alternativa.

d. La crisi generale del capitalismo alimenta le contraddizioni e la guerra per bande fra le varie fazioni degli imperialisti. Ma più che le manovre ostili degli imperialisti franco-tedeschi, più che le schermagli e le tensioni con Putin, più che i litigi con i sionisti, la principale insidia degli imperialisti USA è il fronte interno, è la crescente ingovernabilità dal basso, sono le proteste, gli scioperi, le ribellioni, le sollevazioni che hanno caratterizzato il paese da quando è iniziata la fase acuta e irreversibile della crisi. Obama ha salvato le banche, ma non riesce a impedire che mille manifestazioni della lotta di classe si dispieghino e si propaghino: dal movimento Occupy che dal 2011 al 2013 ha investito tutto il paese agli scioperi contro il “compare” Marchionne alla FCA/Chrysler, fino al movimento Black Lives Matter, contro gli omicidi razzisti della polizia. E ci limitiamo ai casi e agli ambiti più conosciuti ed eclatanti.

e. Dice il (nuovo)PCI “L’andamento della crisi del sistema politico borghese USA dipende anche dalle lotte in corso nel mondo, ma la sua soluzione in definitiva dipende dallo sviluppo del movimento comunista negli USA”. E precisa, di seguito “vi è una grande differenza tra chi denuncia la debolezza del nemico dell’umanità per incitare i suoi a combattere con più entusiasmo e forza per sbaragliarlo e instaurare il socialismo e chi denuncia la debolezza (vera) del nemico e aspetta che prima o poi crolli. Un sistema sociale non crolla, le classi dominanti trovano sempre una qualche soluzione per protrarre la loro agonia e le sofferenze che questa infligge all’umanità se non si scontrano con un nemico potente che le elimina. Bisogna distruggere il sistema capitalista e instaurare il socialismo”.

Questa è la prospettiva che, come lo spettro che si aggirava per l’Europa, si agita dietro le elezioni presidenziali negli Usa. Quello che opinionisti, cronisti e politicanti non possono e non vogliono raccontare.

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