Si approssima il centenario della Grande Rivoluzione d’Ottobre, che sarà occasione per rendere più chiaro alle masse popolari del nostro paese e del resto del mondo l’avanzare della seconda ondata della rivoluzione proletaria, quella che avrà come qualità distintiva, rispetto alla prima ondata, la vittoria della rivoluzione socialista in uno o più paesi imperialisti. È tra la fine della prima e l’inizio della seconda ondata della rivoluzione proletaria che individui come Carlo Azeglio Ciampi, morto il 16 settembre scorso, si infiltrano e si danno da fare per corrodere le grandi conquiste della classe operaia e del resto delle masse popolari nel nostro paese, quelle conquiste che sono figlie della Resistenza contro il nazifascismo che a sua volta era figlia del glorioso Ottobre. La dimensione intellettuale e morale di individui come Ciampi è minima rispetto alla grandezza del movimento comunista, come quella degli insetti che si rintanano nelle crepe dove le mura sono marce. Il danno che ha provocato alle masse popolari è però importante e perciò la borghesia imperialista, che dalla sua opera ha tratto vantaggi direttamente proporzionali a quel danno, lo celebra.
Tra i celebranti, Valentino Parlato scrive che l’Italia “ha un grande debito nei confronti di Carlo Azeglio Ciampi” (Il Manifesto, 17 settembre 2016). Con questa affermazione, Parlato risponde all’esigenza della borghesia imperialista di seminare confusione, soddisfa, “l’assoluto interesse delle classi dominanti a perpetuare la confusione che deriva dalla mancanza di una conoscenza razionale, dall’abitudine a non pensare, dal non essere stati educati a pensare” (La Voce del (nuovo)PCI, n. 53, luglio 2016, p.1) Lo fa perché esalta un nemico del movimento comunista sulle pagine di un quotidiano che si dichiara comunista, e perché parla di un “debito” che “il paese” ha nei confronti di Ciampi, quando Ciampi è artefice di molti dei peggiori attacchi che le masse popolari hanno subito nel corso degli ultimi decenni e in particolare è artefice della crescita del debito pubblico, partita con il “divorzio” tra la Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro concluso nel febbraio 1981 dal governo (nella persona del ministro Nino Andreatta, esponente della “sinistra” democristiana) e da lui, all’epoca governatore della Banca d’Italia. Sottobanco, nel febbraio 1981, decidono tra di loro di imprimere una svolta nella politica economica del paese con implicazioni enormi, quella per cui lo Stato, da quel punto in poi, invece di battere moneta per sostenere le spese, e la spesa pubblica innanzitutto, chiederà denaro in prestito. Con grandi vantaggi per la borghesia imperialista:
1. allentava la pressione fiscale, il rischio di essere chiamata a contribuire alla “spesa pubblica”,
2. trovava un campo proficuo di investimento per i suoi capitali che, stante la sovrapproduzione assoluta di capitale, non aveva modo di investire altrimenti (era l’epoca delle furiose pressioni sui paesi socialisti e sulle semicolonie perché anch’esse si indebitassero),
3. creava un buon pretesto per premere a favore della privatizzazione del settore pubblico dell’economia e dei servizi pubblici, che infatti partì presto alla grande sotto l’alta direzione di Romano Prodi presidente dell’IRI (mentre il debito pubblico, anziché diminuire per i proventi delle privatizzazioni, continuava ad aumentare a gran velocità),
4. poneva le premesse per esigere la “riduzione della spesa pubblica”.
I vantaggi avrebbero avuto sempre di più effetto nel corso del tempo. Nell’immediato, la classe politica al governo non poteva procedere a tagli alla spesa e ad attacchi frontali alla classe operaia e alle masse popolari come accadeva con Reagan in USA e con Thatcher nel Regno Unito, dove mancava un movimento comunista forte e radicato, benchè diretto dai revisionisti che lo hanno condotto alla dissoluzione, come quello del nostro paese. Soprattutto, bisognava attaccare ed eliminare la punta di quel movimento, processo iniziato contro le avanguardie di lotta nelle fabbriche con i 61 licenziamenti alla FIAT nel 1979 e con l’attacco alle Organizzazioni Comuniste Combattenti, in particolare contro le Brigate Rosse, contro cui si procedette manu militari come nel caso della strage di Via Fracchia a Genova, nel marzo del 1980, e con gli arresti di massa e le torture degli arrestati con cui si distinse il governo di Spadolini, nel 1981 e 1982. Lo Stato, mentre reprimeva, provvedeva a fare sì che la condizione della classe operaia e delle masse popolari non peggiorasse precipitosamente, sicché si mantenesse l’atmosfera da “sabato italiano”, come cantava in quegli anni Sergio Caputo, dove addirittura si potesse dire che “il peggio sembra essere passato” e quindi fare come a Voghera, dove il 9 luglio del 1983 il corteo contro il carcere speciale venne attaccato dalla polizia e i manifestanti rincorsi in ogni vicolo e poi, finita la caccia all’uomo, tornarono fuori i tavolini dei bar con le famiglie sedute a prendersi gelati e bevande varie.
Quegli anni, in cui Milano era diventata la città “da bere”, ebbero un costo per lo Stato e il debito pubblico passò dal 58% del 1981 al 124% del 1992, dato che lo Stato dovette ricorrere ai prestiti. Al governo del paese era il trio Craxi, Andreotti e Forlani, che fu liquidato quando si ritenne che il movimento comunista non potesse più nuocere, dato che tra il 1990 e il 1991 si dissolve l’URSS e nel 1991 Achille Occhetto decreta la fine del PCI. Si fa avanti quindi Giuliano Amato, che vara prima una manovra da 30.000 miliardi, quindi un prelievo forzoso del sei per mille dai conti bancari, e quindi una manovra da 93.000 miliardi. Il tutto cala sulla testa della masse popolari come la mannaia del boia nel corso di pochi mesi, giudicate colpevoli di avere mantenuto nel corso di un decennio condizioni di vita incompatibili con la situazione economica in progressiva degenerazione (aver vissuto sopra le proprie possibilità!). Finita l’operazione si passa la mano al nostro Ciampi, che tiene il governo fino al 1993 facendo del suo peggio e aprendo le porte a Berlusconi, che gli succede, come descritto nel Comunicato del (nuovo) PCI “Carlo Azeglio Ciampi è uno dei “grandi uomini” che hanno portato l’Italia sull’attuale catastrofico corso delle cose” del 18 settembre.
Da questa breve sintesi si può cominciare a comprendere il ruolo di Ciampi tra i criminali associati che hanno fatto strage delle conquiste della classe operaia e del resto delle masse popolari, assieme ai Lama e ai Trentin che hanno portato avanti l’attacco sul fronte sindacale, ai Woytila che hanno operato sul terreno dell’anticomunismo a livello nazionale e internazionale, ai Napolitano, ai Prodi e a tutti gli altri.
Questo è il soggetto a fronte del quale noi, dice Parlato, saremmo in debito. Contro le menzogne dei falsi comunisti sparate dal Manifesto, un rimedio è studiare le cose.
Il centenario della Grande Rivoluzione d’Ottobre si avvicina e noi dobbiamo essere pronti a celebrarlo elevando la nostra conoscenza scientifica della realtà e la capacità di usare questa scienza per fare dell’Italia un nuovo paese socialista, che è il modo massimo di celebrazione dell’anniversario ed è un dovere che ereditiamo da quella Rivoluzione. Facendo in questo modo personaggi come Ciampi, che sono oggi da noi maledetti, saranno rapidamente dimenticati.