[…] Io sono Mimmo Mignano, Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano, Roberto Fabbricatore: cinque compagni che oggi – lo dico apertamente – si sentono in guerra. Noi siamo in guerra: una guerra feroce che però abbiamo deciso di affrontare, abbiamo deciso di combattere; abbiamo deciso, a testa alta e a viso scoperto, di metterci contro chi oggi ci vuole schiavi. […]. Nove anni fa, quando Marchionne decise di fare il “piano Pomigliano”, decise di farlo in uno stabilimento conflittuale. Noi siamo quel gruppo che, insieme ai 7000 operai di Pomigliano, ha messo in discussione il TMC2, i ritmi di lavoro, ha messo in discussione i sabati di straordinario. Quanti di noi hanno denunce penali sulle spalle, quanti di noi si sono dovuti scontrare ai cancelli della FIAT di Pomigliano con le forze dell’ordine. Quanti di noi hanno dovuto subire l’accusa di essere dei terroristi all’interno della fabbrica[…] perché in quella fabbrica doveva essere fatta pulizia, doveva essere – come disse Marchionne – “disciplinata”. […] Si costituì quel reparto confino dove 316 operai furono trasferiti, allontanati con la forza. Ricordiamo allora quale battaglia ci fu all’ingresso 1, quando la FIAT, con i picchetti che c’erano davanti alla fabbrica e che impedivano l’entrata e l’uscita delle merci, fu costretta a usare 5 elicotteri per prelevare il materiale che dalla lastratura doveva arrivare alla Sevel in Val di Sangro. […] Da allora ci sono state parecchie battaglie. Molti ci riconoscono oggi, a livello nazionale, per le battaglie che facciamo in modo critico, caricaturale: come quando […] ci siamo vestiti da pagliacci con la maschera di Renzi, quando questo è venuto ai cancelli di Melfi, oppure quando abbiamo messo la carta igienica ai cancelli di Melfi o quando abbiamo volantinato le “chiacchiere”, un dolce napoletano, davanti a quelli di Pomigliano. Più di tutto, la messa in scienza del manichino impiccato raffigurante l’amministratore delegato dell’azienda, Marchionne, come protesta per i suicidi cui due operai dello stabilimento sono stati portati per il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro cui sono stati costretti dalla ristrutturazione aziendale. Però oggi vogliamo parlare soprattutto della sentenza che ci riguarda. […] Noi possiamo vincere e possiamo vincere soprattutto col potere degli operai”. (Mimmo Mignano, Intervento al IV Congresso nazionale del Partito dei CARC, 13-14 giugno 2015)
E Hanno vinto, le cinque tute blu licenziate nel 2014 con l’accusa di aver infangato il “buon nome” dell’azienda. Dopo oltre due anni di lotte, presìdi, manifestazioni, cortei, azioni di eclatanti, proteste, attendamenti davanti allo stabilimento e poi al Comune di Napoli, udienze, rinvii, i cinque operai dello stabilimento di Pomigliano d’Arco sono stati reintegrati. A stabilirlo è una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che ha accolto il ricorso degli operai e ribaltato la sentenza in primo grado del Tribunale del Lavoro di Nola, notoriamente asservito all’azienda. I giudici hanno decretato che la “rappresentazione scenica […] non ha travalicato i limiti di continenza del diritto di svolgere, anche pubblicamente, valutazioni e critiche dell’operato altrui, che in una società democratica deve essere sempre garantito”. Una vittoria sul piano legale, certamente. Su tutto, però, una vittoria politica al cui cuore sta la determinazione e la lotta di operai che non si sono lasciati piegare anche quando tutto sembrava volgere contro di loro, l’importanza della solidarietà di classe e l’unità di azione che i tanti, tantissimi compagni, di tante organizzazioni politiche e di movimento, indipendentemente dalla tessera sindacale d’appartenenza o dall’appartenenza ad alcun sindacato, hanno saputo dispiegare nell’arco di questi anni. Una vittoria politica della classe operaia in un processo politico qual è stato quello intentato da Marchionne con i suoi otto avvocati al fine di intimidire e fiaccare ogni resistenza operaia nei suoi stabilimenti. Una vittoria che dà e darà coraggio ad altri operai e altri lavoratori nel far valere le proprie ragioni e scompaginare i piani repressivi e speculativi di padroni e istituzioni ad essi asservite. Una vittoria esemplare.
“È un po’ di ossigeno costituzionale”, dice De Magistris, Sindaco di Napoli, che, pressato dalla mobilitazione operaia e popolare, accoglie la “bella notizia” del reintegro degli operai. Ebbene, questa vittoria, che sancisce la legittimità di contestare la violenza repressiva esercitata quotidianamente dal gruppo FCA contro gli operai, richiama l’attenzione sull’articolo della Costituzione che afferma la libertà di espressione e garantisce la legittimità di ogni manifestazione. È una vittoria che si inserisce, dunque, pienamente, nella battaglia referendaria per il NO alla modifica della Costituzione, come invece vorrebbe il Governo Renzi. Difendere oggi la Costituzione significa difendere gli operai e tutti quanti lottano per i propri diritti. Difendere oggi la Costituzione significa applicarne le parti progressiste, quelle che affermano diritti inalienabili come il diritto al lavoro, alla casa, alla salute pubblica, all’istruzione. Difendere la Costituzione significa praticare quei diritti, oltre che rivendicarli. Dare esempio di mobilitazione, lotta e organizzazione, scompaginando il disegno reazionario e criminale che sottende alla modifica della Costituzione, rovesciando i tavoli processuali sui quali viene imputato chi oggi si batte per esercitare principi e diritti costituzionalmente sanciti e mettendo noi stessi sotto accusa gli accusatori, i Marchionne, i Riva, i Renzi, tutti quanti, padroni e governi dei padroni, vogliono fare carta straccia della Costituzione per sdoganare su ampia scala abusi di potere, repressione e libertà di sfruttamento.
È quello che è stato fatto in sede processuale dai 5 operai licenziati. È quello che la mobilitazione popolare costruita intorno al loro “caso” ha saputo promuovere, creando schieramento, movimento di opinione pubblica di condanna, senza se e senza ma, dell’arroganza impunita dell’azienda, coperta da Governo. È quanto va fatto oggi. Più convintamente e più diffusamente. Forti di una battaglia vinta. Nella consapevolezza che nessun risultato raggiunto è effettivamente acquisito fin quando saranno i Marchionne, i Riva, i Renzi a governare questo paese. Ecco perché la lotta continua e deve continuare. La FCA ricorrerà in Corte Costituzionale, probabilmente. Probabilmente cercherà degli escamotage pur di non far rientrare effettivamente nello stabilimento i 5 operai reintegrati, avendone “assaggiato” il potenziale di lotta e organizzazione che rappresentano. Probabilmente punterà a dividere gli operai, facendo leva sul ricatto e sull’intimidazione, imponendo loro di costituire in azienda comitati per si SI al Referendum del 4 dicembre. Noi, dal canto nostro, abbiamo il compito di rilanciare, prevenire le mosse del padrone costruendo organizzazioni operaie che si occupano dell’azienda, impedendone ristrutturazioni o smantellamento, contrastandone la condotta antisindacale e che comincino a ragionare su come dirigerne, autonomamente dal padrone, il processo produttivo; organismi che sviluppino potere alternativo alle autorità aziendali e che preservino l’unità dei lavoratori, ossia che uniscano laddove il padrone ha necessità di dividere; organismi che promuovano il coordinamento e l’organizzazione interna ed esterna allo stabilimento, collegandosi al resto del movimento di resistenza sociale diffuso sui nostri territori, per impedire il manovrare dei padroni e dei governi loro espressione, respingere gli attacchi contro altre avanguardie di lotta e altri lavoratori. Il moltiplicarsi di coordinamenti operai anche indipendentemente dalle sigle sindacali o dall’appartenenza ad alcun sindacato come hanno fatto in FCA a Melfi, dove si è costituito il comitato operaio per il NO al referendum costituzionale o quello in via di costruzione a Pomigliano; il nascente coordinamento nazionale dei siderurgici, lanciato dalle acciaierie Lucchini di Piombino e cui hanno immediatamente aderito gli operai dell’ILVA di Taranto; la lotta organizzata che gli operai Sevel stanno portando avanti a oltranza e la solidarietà che ricercano e che stanno trovando; il nuovo impulso alla costruzione del coordinamento nazionale dei lavoratori FCA; i tanti comitati operai che oggi sono attivi in tanti stabilimenti così come i tanti, tantissimi comitati di scopo che sorgono, agiscono e lottano in aziende come quelle sanitarie e sui territori come quelli ambientali sono la base di un’alternativa realistica ai Marchionne, ai Riva, ai Renzi di turno, che è già nell’ordine delle cose. Pongono, cioè, le condizioni per la costruzione di un’alternativa politica per il paese: un proprio governo di emergenza, un Governo di Blocco Popolare che faccia fronte agli effetti più gravi della crisi e dia forza e forma di legge ai provvedimenti di volta in volta assunti, caso per caso, proprio dalle organizzazioni operaie e popolari.
Oggi, compagne e compagni, siamo più forti. Perciò dobbiamo passare ora dalla difesa all’attacco. Puntare a vincere la guerra! Costruire un nostro governo! La vicenda dei 5 dimostra, infatti, una volta di più che non sono i padroni ad essere forti: è la classe operaia e il resto delle masse popolari che, quando si organizzano, fanno valere la propria forza e vincono.
Festeggiamo, allora, per davvero il reintegro dei 5 operai!
Costruiamo in ogni azienda e in ogni territorio organizzazioni operaie e popolari! Costruiamo il Governo di Blocco Popolare!
Avanti verso il socialismo! Fino alla vittoria!
P.Carc_ Federazione Campana