Ci hanno provato in tutti i modi a impedire che i comitati, le associazioni e le masse popolari del quartiere di Bagnoli, della città di Napoli potessero portare la propria voce a Roma, nel cuore del potere politico del paese, la città eterna di papi, politici e affaristi di ogni forma e specie, il centro della Repubblica Pontificia, del nostro paese. Già dai giorni precedenti alla manifestazione il balletto di permessi e divieti si era fatto oggetto di contrasto tra i movimenti e le autorità di polizia della capitale. “Potete venire, anzi no. Facciamo che venite ma a un patto…” questa la cantilena, a cui risposta non è stata altra che “noi veniamo, voi regolatevi di conseguenza”. Dopo di ciò si è aperta la trattativa, permessi e percorsi definiti a ribasso ma con la certezza che il 23 settembre Bagnoli sarebbe andata a Roma e così è stato.
Anche in virtù di questo, al varco d’ingresso autostradale della capitale, camionette, blindati e volanti accolgono le centinaia di persone venute da Napoli con un “seguiteci”. Ma prima di questo una protesta curiosa. Qualcuno fa pipì davanti a ispettori e volanti. Non deve aver retto all’emozione nel vedere un tal dispiegamento di forze. Uno sberleffo per sottolineare quanto fosse ridicola quella messa in scena da parte delle forze di polizia. Uno sfottò, un po’ alla partenopea, per affermare quale servizi pubblici dovrebbero essere aumentati ai cittadini, più che militarizzare i territori e criminalizzare chi altro non fa che difendere un diritto, il diritto alla vita. La forza pubblica diviene quindi attrice e protagonista di una farsa ridicola e alquanto vergognosa, quel “perquisiamoli tutti” che sa di provocazione infantile, goffa e prepotente tipica di chi vuole solo intimidire.
Parte la provocazione: un lungo corteo di pullman e camionette (alternati) si dirige in una zona isolata, in mezzo alle campagne romane. Tutti questi cittadini e attivisti che si battono per la bonifica del territorio di Bagnoli – e questa è impossibile non interpretarla come una provocazione – vengono condotti nei pressi di un fetido ed esteso sito di sversamento di rifiuti industriali, amianto e altri materiali di risulta. Per ovviare al puzzo si dice a tutti di restare sui pullman, ma il caldo, l’afa e la puzza (che era effettivamente insopportabile) porta tutti a fiondarsi con la forza giù dai pullman. Ecco allora che la provocazione individuale dell’urinante solitario al cesello, diviene collettiva “tutti a fare pipì”, la campagna circostante diviene un immenso orinatoio con i poliziotti disorientati nel cercare di comprendere come arginare il fenomeno, una sorta di incontinenza improvvisa e collettiva che diviene poi rabbia e contestazione per quei metodi da polizia cilena.
Tra altre piccole provocazioni e perdite di tempo nessuno viene identificato e la forza pubblica lascia i pullman senza aver trovato le armi di distruzione di massa, le bombe chimiche o al fosforo che si aspettava di trovare. La farsa non è però finita. I pullman vengono scortati fin dentro la città, fino al nastro di partenza di un corteo lungo circa trecento metri (questi i patti definiti) che è culminato con un’assemblea pubblica. Il giro scortato per la città a sirene spiegate, manco si trattasse del trasporto di criminali incalliti, è un ulteriore intimidazione e pressione per far sentire il fiato sul collo a chi si pone come esempio per l’intero paese nel rompere con il governo Renzi e le autorità della Repubblica Pontificia.
Su quanto accaduto rispetto alle forze dell’ordine ci sarebbe molto da scrivere e tanti ragionamenti da sviluppare con tutti i compagni dei movimenti, dei comitati e delle varie esperienze di autorganizzazione della città. L’assunto principale sta nel rapporto da tenere con il braccio armato della “controparte”. Riconoscerne l’autorità, trattare fino all’ultimo per ottenere permessi o concessioni, chiedere di essere rispettati o rivendicare loro diritti, è un approccio in ogni caso codista che porta a paradossi come quelli del 23 settembre. Su questo punto va intesa la disobbedienza e l’insubordinazione alle pubbliche autorità come momenti di conflitto non certo alieni alla lotta generale che si conduce, come elemento, quindi, che alimenta l’ingovernabilità per la borghesia e come strumento che alimenta lo sviluppo, dall’altro lato, della nuova governabilità, quella delle masse popolari organizzate.
Otto sono le vie per alimentare l’ingovernabilità che dobbiamo puntare a sviluppare in questa fase. Posto che ingovernabilità vuol dire sia ribellione e disobbedienza alle misure, alle decisioni, alle leggi e alle regole delle autorità borghesi (distruzione del vecchio) sia mobilitazione e organizzazione delle masse popolari a gestire parti crescenti della loro vita associata (attività e relazioni, soluzioni ai problemi, ecc.) come centro autorevole diverso e contrapposto alle attuali autorità centrali e locali della borghesia (costruzione del nuovo). Cosa fare per alimentare l’ingovernabilità dal basso? Si tratta anzitutto di capire per quali vie si sviluppa.
Le otto vie principali sono: 1.la diffusione della disobbedienza e dell’insubordinazione alle autorità; 2. Lo sviluppo diffuso di attività del “terzo settore”: le attività di produzione e distribuzione di beni e servizi organizzate su base solidaristica locale; 3. L’appropriazione organizzata di beni e servizi (espropri, “io non pago”, occupazioni, espropriazioni dei ricchi, spese proletarie nei supermercati, uso gratuito dei servizi, ecc.) che assicura a tutta la popolazione i beni e servizi a cui la crisi blocca l’accesso; 4. Gli scioperi e gli scioperi alla rovescia, principalmente nelle fabbriche e nelle scuole; 5. Le occupazioni di fabbriche, di scuole, di stabili, di uffici pubblici, di banche, di piazze, ecc.; 6. Le manifestazioni di protesta e il boicottaggio dell’attività delle pubbliche autorità; 7. Il rifiuto organizzato di pagare imposte, ticket e mutui, bollette, imposte, multe, pedaggi, tickets, affitti della case delle immobiliari, della Chiesa e di capitalisti; 8. Lo sviluppo (sul terreno economico, finanziario, dell’ordine pubblico, ecc.) di azioni autonome dal governo centrale da parte delle Amministrazioni Locali d’Emergenza sottoposte alla pressione e sostenute dalla mobilitazione delle masse. Ogni ALE è un centro di riferimento e di mobilitazione delle masse, dispone di impiegati e di esperienza, di locali, di soldi e di strumenti: tutte armi importanti per mobilitare le masse in uno sforzo unitario per far fronte agli effetti della crisi, in primo luogo per attuare la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti”. Bisogna imparare dall’esperienza a praticare e combinare a un livello superiore le otto vie.
Sviluppare queste otto vie significa rendere sempre più ingovernabile la città al governo Renzi. Tutti e otto questi punti si sviluppano, avanzano e si accendono, progressivamente, con qualità nuova nella città di Napoli. Anche quella che abbiamo definito Amministrazione Locale d’Emergenza, ha nel capoluogo partenopeo delle potenzialità importanti ed elevate, con quanto le masse popolari organizzano sui territori e quanto l’amministrazione si muova verso di loro. Il motivo della militarizzazione massiccia al NO Renzi day del 6 aprile, così come i pestaggi da “polizia politica” davanti al San Carlo delle scorse settimane o le intimidazioni palesi fatte prima, durante e dopo l’organizzazione della manifestazione del 23 settembre a Roma è molto chiaro se lo inquadriamo nel processo messo in campo negli ultimi anni. Perché tutto questo nervosismo da parte di Renzi e suoi? Perché tutto quest’accanimento a Napoli e contro la mobilitazione che ha portato Napoli fuori da Napoli? Perché nei suoi organi di informazione pubblica e privata la borghesia imperialista non parla dell’esperienza dell’assemblea popolare di Bagnoli, della VIII Municipalità o dell’organizzazione nascente in tutti gli altri quartieri della città?
Il motivo è semplice, il potere trema. Napoli può diventare l’esempio più pericoloso per le masse popolari del nostro paese a come su come fare fronte agli effetti più gravi della crisi a partire dal criterio dell’organizzarsi e coordinarsi per costruire Nuove Autorità Pubbliche; può diventare l’esempio per tutti i sinceri democratici, esponenti della società civile, del mondo dei sindacati e della cultura che godono ancora della fiducia delle masse popolari su cosa possono e devono fare qui ed ora per mantenere quella fiducia e per assumere il ruolo cui oggi la storia li chiama, dare norma di legge alle misure che le masse popolari indicheranno sia in qualità di “amministratori locali di nuovo tipo” che di ministri di un “governo centrale di nuovo tipo”, un Governo di Blocco Popolare, l’unico in grado di applicare concretamente le parti progressiste della Costituzione; può diventare il terreno di battaglia prima, durante e dopo la campagna referendaria durante la quale le parole d’ordine “difendere e applicare la Costituzione” fanno tremare i polsi a palazzo Chigi se le potenzialità di quanto si muove nel paese in termini mobilitazione, organizzazione e coordinamento imbocchi la via del contendere il potere, salti dal rivendicare al governare, dal chiedere incontri per accettare piani alternativi all’applicazione diretta di quei piani, progetti o procedure.
Questa la battaglia che c’è da combattere oggi. Non solo la rabbia per la repressione intimidatoria, quindi; non solo la lotta e la rivendicazione di diritti sacrosanti ed essenziali come l’aria che ci serve a respirare; non solo la difesa della Costituzione ma l’applicazione delle sue parti progressiste, la costruzione di un potere realmente popolare e realmente autogestito dal basso, la ricostruzione da parte delle masse popolari di un paese che le classi dominanti hanno distrutto e devastato, riducendolo nelle condizioni che oggi abbiamo davanti agli occhi. Questa la battaglia, questa la strada, questa la prospettiva – la costruzione di un potere e di un governo che metta al centro il protagonismo reale delle masse popolari – oggi più praticabile poste le condizioni che ci si parano innanzi quotidianamente; prova inconfutabile e inscalfibile del fatto che non sono i padroni ad essere forti, sono le masse popolari che ancora non fanno valere la loro forza.