Lettera alla Redazione – Lavorare per la rivoluzione in questo paese non è un’utopia

Cari compagni, mi chiamo Rosario, ho 47 anni, sono nato a Salerno, ma da 28 vivo a Reggio Emilia; sono operaio in un’azienda chimico – plastica di 28 dipendenti. Vi scrivo per condividere il percorso che mi ha portato alla decsione di presentare la lettera di candidatura nel Partito.

Mi sono avvicinato a voi con molto scetticismo avendo avuto esperienze non proprio positive con altri partiti: prima col PdCI poi col PRC. Da queste esperienze, circa 11 anni fa, mi ero ripromesso di non aderire più a nessuna forza politica sia per sconforto, sia perché vedevo la politica molto distante dai cittadini. In particolare ero deluso nel vedere alcuni cosiddetti compagni essere degli arrivisti spudorati, sedersi nei posti che contano e diventare corrotti, corruttori e faccendieri solo per interesse personale. Ne ero praticamente schifato, mi sentivo preso in giro… e penso che questo sia un sentimento comune a tanti.

Partiva da qui il mio scetticismo iniziale; ero sfiduciato e mi dicevo: questi sono i soliti, bei paroloni, bellissimi slogan, poi una volta presa una poltrona “faccio i cazzi miei”. Avevo perso dei riferimenti, delle certezze, una speranza e questo mi ha spinto a cercare soluzioni in altri posti, nella spiritualità, nell buddismo di cui sono praticante. Ma dentro di me lo spirito di ricerca non era morto.

Ho conosciuto il P.CARC quando sono stato contattato da un compagno di Reggio Emilia tramite Facebook, per patecipare alla presentazione di un libro. Dopo un paio di mesi da quel primo incontro ne ho avuto un altro, questa volta per conoscerci meglio; è stata una bella chiacchierata in cui non mi sono risparmiato: ho espresso tutti miei dubbi, ho detto chiaramente che vi vedevo estremisti, che non mi convinceva e non capivo il rapporto con il (nuovo)PCI che mi sembrava un “doppio livello occulto”, ho detto chiaramente che la lettura del giornale era difficile (questo lo dico ancora!) per il linguaggio e temi trattati. Non capivo il perché usare ancora questi termini del passato che avevano un certo fascino, peso, ridondanza negli anni ‘70 dove c’era un movimento in fermento, dove le masse erano più attive, dove c’era un’ideologia forte, un senso di appartenenza maggiore di adesso… chi lo capisce questo linguaggio oggi, in questo momento di appiattimento sociale? In questa società cosi frammentaria e sfaldata?

Il compagno però non si è tirato indietro e abbiamo continuato a vederci, più lo incontravo per discutere, più leggevamo insieme il giornale, più ho capito che non è un giornale di “larga fascia”, ma un mezzo di studio per progredire, per avanzare e per poterne parlare agli altri.

Man mano che approfondivo questi argomenti, andando a incontri, iniziative, dibatti e iniziando un percorso di studio (dico chiaramente che non mi e mai stato imposto, è una mia libera scelta), venivano a scemare i miei dubbi. Ho visto un partito diverso dagli altri, con un messaggio forte, vicino a ciò che cercavo e l’ho visto come una nuova speranza, una luce in fondo al tunnel, una rinascita: parlare di rivoluzione nel termine più ampio e alto!

Da lì la mia decisione di entrare nel partito. Ma proprio qui la cosa che che più di tutto mi ha colpito, il percorso per entrare (lettera e percorso di candidatura – ndr). Questo mi ha fatto fare paragoni con le altre esperienze partitiche dove contano solo i numeri delle tessere…. qui conta l’appartenenza, conta avere la FALCE e il MARTELLO NEL CUORE, conta essere comunista dentro e non solo di facciata. Non credo sia poco, il sentirmi dentro al partito e al progetto che ci prefiggiamo, il non essere un numerino a fini statistici, ma partecipe del cambiamento di questa società, soggetto e oggetto di un mondo nuovo. Ho capito che avevo trovato un partito nuovo, che finalmente parla di socialismo, con un progetto e un obiettivo rivoluzionario, con una spinta propulsiva nuova, una nuova speranza di cui questo paese a bisogno. Questo mi ha spinto a fare la lettera di candidatura che a breve invierò.

Ad agosto ho partecipato alla Festa della Riscossa Popolare di Massa per la prima volta. Ero nella squadra “accoglienza”, mi sono trovato subito benissimo, anche se per me all’inizio non è stato facile, era un qualcosa che non avevo mai fatto. Ma i compagni della squadra hanno fatto in modo che superassi le mie difficoltà, incitandomi e criticandoci collettivamente sulle cose che dovevamo migliorare. E da questa esperienza ho imparato il senso di critica, intesa a migliorare se stessi e gli altri, che anche un piccolo contributo serve all’organizzazione del lavoro, che il rapportarsi quotidianamente sui compiti da svolgere e farlo collettivamente, con le idee di tutti e uno spirito di collaborazione, ci ha aiutato a migliorarci giorno per giorno. Fino ad arrivare all’ultimo giorno di festa in cui sono riuscito anche a vendere un giornale, cosa che non mi era riuscita prima. Penso sia una grande lezione. Alla festa poi ho partecipato anche a vari dibattiti sulla sanità pubblica, sul lavoro operaio… alla fine, con un altro compagno, ho perfino letto in pubblico delle poesie di Brecht… è stato molto emozionante!

Lo stare insieme con tanti compagni di varie regioni, mai visti prima, e contribuire tutti a un unico obiettivo mi ha fatto capire meglio il senso di appartenenza e che lavorare tutti per la rivoluzione in questo paese non è un’utopia, ma si può fare, qui e ora. Dico la verità, anche il fatto di cimentarmi nella scrittura di questa lettera per descrivere la mia esperienza mi fa dire che ho fatto bene a superare lo scetticismo e ho fatto la scelta migliore.

RA – Reggio Emilia

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