Prendiamo spunto dall’articolo “Per un bilancio del Fronte Popolare in Spagna”, pubblicato sul n. 53 de La Voce del (nuovo)PCI per fare un ragionamento con due obiettivi:
– riprendere e dare impulso allo studio e al ragionamento sugli insegnamenti della Guerra di Spagna di cui ricorre quest’anno l’80° anniversario (1936 – 1939) e più in generale sull’esperienza dei Fronti Popolari degli anni ‘30 del secolo scorso in Spagna e in Francia;
studio e ragionamento utili ad analizzare e comprendere meglio la linea del Governo di Blocco Popolare alla luce della Guerra Popolare Rivoluzionaria;
– approfondire il ragionamento e l’analisi sui limiti del vecchio movimento comunista, essenziale per contribuire efficacemente alla seconda ondata della rivoluzione proletaria. A questo proposito è molto utile ragionare sulla relazione fra l’opera del Partito Comunista Cinese, che avanzava nella rivoluzione socialista forte della direzione e dell’elaborazione di Mao, con, negli stessi anni, l’opera dell’Interzazionale Comunista guidata da concezioni che impedirono la vittoria, nonostante l’eroismo, la generosità e il coraggio di centinaia di migliaia di uomini e donne che combatterono contro il fascismo e il nazismo e per il socialismo. Dove stavano le differenze? Era diversa la concezione del rapporto con le masse popolari (linea di massa), era concepita diversamento la lotta interna al Partito comunista (lotta fra le due linee), era diversa la concezione dei rapporti con gli organismi del Fronte e con i suoi esponenti.
Partendo dalle conclusioni alla relazione sulla Guerra di Spagna che Togliatti presentò all’Esecutivo dell’Internazionale Comunista nel maggio del 1939, nell’articolo de La Voce del (nuovo)PCI vengono individuati e posti come insegnamenti generali tre aspetti.
“1. La comprensione della natura della crisi generale del capitalismo è indispensabile per impostare giustamente l’attività politica. È una crisi che per sua natura dà luogo a una situazione rivoluzionaria di lungo periodo: quindi i comunisti devono organizzarsi e darsi i mezzi intellettuali, morali e pratici per combattere e vincere. La lotta è lunga, essere disposti a combattere a lungo è una condizione necessaria della vittoria. Solo una lotta di lungo periodo ci permette di portare le masse popolari a rovesciare il rapporto delle forze e instaurare il socialismo. Nella Guerra Civile spagnola, la direzione del movimento comunista mancò di una visione lungimirante, che permettesse di prevedere come gli esponenti delle diverse classi si sarebbero comportati man mano che la guerra procedeva e quindi di combinare l’unità d’azione con misure adeguate a far fronte ai cedimenti e ai tradimenti e per quanto possibile prevenirli o addirittura evitarli. L’unità nel Fronte Popolare si basava sulle concessioni. La sconfitta nella guerra civile fu causata da fattori interni al movimento comunista, da i limiti comprensione che il Partito aveva delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe, comprensione che presiedeva alla costruzione del Partito e alla sua azione. Che erano gli stessi limiti che mostrò di lì a pochi anni anche il Partito italiano quando inaspettatamente (proprio perché a causa di quei limiti non l’aveva previsto) si trovò di fronte al crollo del regime fascista. Erano i limiti dei partiti comunisti dei paesi europei di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze: sono quei limiti che ancora oggi i “ricostruttori del PCI” alla Marco Rizzo e quelli alla Mauro Alboresi (neosegretario del PCI ricostituito a Bologna dall’Assemblea Costituente del 24-26 giugno 2016) eludono, negano che siano mai esistiti perché sottendono o apertamente affermano che nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria non era possibile instaurare il socialismo in Italia; quei limiti che i capi storici di Rete dei Comunisti “sorpassano” negando tutta l’esperienza del passato (“la situazione è completamente diversa”) mentre in realtà ripetono le conseguenze pratiche nefaste di quei limiti (la teoria della “sponda politica” nelle istituzioni borghesi e del partito lasco, a rete, senza unità nella concezione del mondo e senza centralismo democratico).
2. È indispensabile avere una linea per valorizzare la sinistra borghese, dato che essa oggi è una forza sociale importante, ma è altrettanto indispensabile evitare la linea sbagliata riassunta nella parola d’ordine del 1936 “tutto attraverso il Fronte”: solo il Partito comunista possiede e applica la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia e che grazie ad essa può e deve indurre a contribuire alla rivoluzione socialista, ognuno in conformità alla sua natura, tutti quelli che per la loro natura e per il contesto in cui operano possono contribuirvi. Questa linea sbagliata oggi da noi si concretizza nel mettere in primo piano il ruolo dei dirigenti della sinistra sindacale, dei sinceri democratici delle amministrazioni locali e della società civile, degli esponenti della sinistra borghese non ciecamente anticomunisti (che sinteticamente indichiamo con l’espressione “esponenti dei tre serbatoi”) invece di promuovere la mobilitazione e organizzazione delle masse popolari (moltiplicazione e orientamento delle organizzazioni operaie e popolari – OO e OP) e finalizzare a questo anche l’azione delle associazioni della sinistra borghese, della sinistra sindacale, delle amministrazioni locali che rompono con le Larghe Intese e con i vertici della Repubblica Pontificia. La nostra deve essere una linea che, facendo leva sulle OO e OP e mirando alla loro moltiplicazione come nuove autorità pubbliche, valorizza il ruolo che, dato lo stato presente delle cose e la crisi generale in corso, la sinistra borghese può svolgere (contribuire all’organizzazione delle masse popolari e fungere da ministri e funzionari del Governo di Blocco Popolare – GBP) e la spinge a svolgerlo ma porta, se per un motivo o l’altro nonostante la nostra azione non svolgerà quel ruolo, all’eliminazione dell’influenza che oggi essa ha sulle masse popolari.
3. Bisogna separare rigorosamente l’organizzazione dei comunisti dall’organizzazione delle masse popolari, in modo da elevare intellettualmente e moralmente i comunisti perché siano capaci (e non è questione solo di buona volontà e neanche solo di dedizione alla causa, ma di una scienza e un’arte che si imparano nel Partito con un tirocinio che è ben lontano da quanto si apprende spontaneamente) di legarsi strettamente alle masse popolari senza fondersi con esse, di promuoverne la mobilitazione e organizzazione su grande scala e di praticare la democrazia proletaria per orientare le OO e OP a prendere il potere costituendo il GBP e difendendone e sviluppandone poi l’opera fino a instaurare il socialismo. A questo fine bisogna anche evitare la crescita spontanea del partito fino a formare un organismo in cui è difficile se non impossibile praticare la democrazia proletaria e il centralismo democratico: il Partito Comunista di Spagna crebbe da un migliaio di membri nel 1930, a 24 mila nel 1934, fino a un organismo dai confini poco definiti comprendenti da 200 a 320 mila membri nel gennaio 1937, diventando di fatto un’organizzazione di massa in cui affluivano tutti gli antifascisti più decisi a combattere, che il partito non trasformava e che quindi trasformavano essi il partito. Da guida delle masse popolari e promotore della crescita della coscienza e dell’organizzazione delle masse, il partito senza democrazia proletaria e centralismo democratico, senza pratica della critica e dell’autocritica e non unito dall’assimilazione e dalla pratica della concezione comunista del mondo diventa un organismo la cui autorità attira carrieristi e profittatori e non trasforma gli avventurieri che ad esso si accostano per disparati motivi.
In sintesi quindi, non fu l’eroismo che allora fece difetto: fecero difetto la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, una comprensione avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe quanto i grandi successi e il ruolo nazionale assunto dai comunisti nel Fronte Popolare Spagnolo richiedevano. Ciò vale per la Guerra di Spagna come, in generale, per l’intera esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale”.