Dal processo di Cassino: se si passa dalla difesa all’attacco sono le autorità borghesi a doversi mettere sulla difensiva.
Il 13 luglio presso il Tribunale di Cassino, si è svolta l’udienza per il processo contro Chiara De Marchis (Federazione Lazio PCARC), per “uso non autorizzato del megafono” durante la manifestazione del 15 marzo 2014 “Napolitano non è il mio Presidente”.
Ricordiamo infatti che quel giorno i movimenti della città di Cassino e del resto della provincia di Frosinone, scesero in piazza in centinaia, denunciando il ruolo politico di Giorgio Napolitano (quale servo della Troika, gran promotore delle misure di “lacrime e sangue” contro le masse popolari, della ripetuta violazione della Costituzione e smantellatore della democrazia nel nostro paese, oltre che implicato nella trattativa Stato-Mafia) e mettendo sulla piazza il volto reale della crisi del capitalismo e dei suoi effetti sugli operai, i lavoratori, i giovani del paese e del territorio (oltre l’immagine patinata della parata di regime svoltasi quel giorno a Cassino).
In occasione del presidio di solidarietà che si è svolto lo stesso 13 luglio davanti al Tribunale di Cassino, prontamente le forze dell’ordine sono tornate alla carica, cercando di interrompere il presidio e avvalendosi delle “prescrizioni” della Questura di Frosinone che, ancora una volta per motivi di ordine pubblico, intimava di non usare strumenti di propaganda come il megafono, minacciando di sicure ripercussioni il compagno che aveva personalmente sbrigato le relative pratiche burocratiche e provando a fare terra bruciata tra i presenti. Allo stesso tempo, hanno iniziato ad identificare tutti i presenti. La nostra risposta, come nel 2014, è stata di non cedere a questi tentativi repressivi, portando avanti il nostro presidio e denunciando a gran voce che cosa stesse accadendo in piazza: si ripeteva la stessa storia del 2014. Abbiamo quindi rifiutato di firmare “le prescrizioni” continuando a svolgere l’attività per cui eravamo li. Con questa linea di condotta abbiamo ribaltato i rapporti di forza: le forze dell’ordine sono “passate all’angolo” e non sono riuscite ad impedire che noi svolgessimo il presidio e tutte le attività ad esso connesse fino al termine dell’udienza (la prossima è fissata per il 23 febbraio 2017).
Il processo in corso così come i quotidiani tentativi di repressione verso quanti organizzano e lottano contro i responsabili dell’attuale disastro economico e sociale, fanno parte di un disegno ben preciso che mira ad eliminare quel che resta dei diritti democratici conquistati nel nostro paese. Oltre alle identificazioni, ai fermi ecc., le autorità ricorrono sempre più frequentemente alle “prescrizioni” e in nome del mantenimento dell’ordine pubblico, tentano in mille modi di dissuadere le masse popolari ad organizzarsi e mobilitarsi (ne sono esempio anche le zone interdette ai cortei, in particolare nelle grandi città). Ricordiamo che la legge che gli sceriffi del XXI secolo (prefetti, questori e polizia politica) usano contro le masse popolari è un Regio Decreto del 1930, in base al quale il Questore o il Prefetto diventa la massima autorità di riferimento, esautorando quella locale. Ma non è solo con gli atti di forza (minacce e distintivi) che la classe dominante rende difficile e ostacola l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari: per poter svolgere tanto una manifestazione quanto un banchetto di propaganda, per l’uso una piazza quanto di un metro al mercato rionale, bisogna affrontare un imponente iter burocratico che in molti casi arriva anche al pagamento di tasse e balzelli vari.
Queste leggi e regole, oltre a violare i principi costituzionali, sono un aspetto fondante del regime speciale a cui, in barba alla democrazia e alla Costituzione, sono sottoposti oggi tutti coloro che si fanno promotori delle lotte in difesa delle conquiste delle masse popolari che i governi della Repubblica Pontificia giorno dopo giorno vanno smantellando: le grandi contro-riforme del Job’s Act, la Buona Scuola e dello Sblocca Italia vanno a precedere l’ennesima manovra eversiva con la Riforma della Costituzione, nata dalla Resistenza Partigiana.
La Costituzione italiana è nata dalla Resistenza partigiana che le masse popolari (dirette dal PCI e organizzate nel Comitato di Liberazione Nazionale) hanno combattuto non solo per cacciare i nazi-fascisti, ma anche e soprattutto per fare dell’Italia un paese in cui la sovranità appartenesse al popolo, ogni persona svolgesse, secondo le sue possibilità e le sue scelte, un’attività utile al progresso della società, tutti i lavoratori partecipassero effettivamente all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Questi principi generali, sanciti dalla Costituzione del 1948, sono rimasti inattuati o apertamente traditi. Altri impegni più dettagliati e precisi prescritti dalla Costituzione sono stati realizzati (anche se in modo limitato) solo a fronte di lotte specifiche e tenaci.
Oggi quindi, proprio in vista del Referendum Costituzionale, difendere la Costituzione significa organizzarsi e mobilitarsi per applicarla, facendo valere il principio che è legittimo tutto ciò che corrisponde agli interessi delle masse popolari, anche se illegale dal punto di vista della legge borghese. Vale in casi come questo e in tutti quei casi in cui le autorità usano la legge per eliminare diritti (dalla casa all’acqua, dal diritto di sciopero a quello di manifestazione e di espressione).
In questo senso, la dichiarazione di rifiutare o infrangere le misure cautelari comminate ad alcuni attivisti No Tav, ( che si tratti di firme quotidiane o di arresti domiciliari) apre uno scenario nuovo non solo per rilanciare la lotta No Tav, ma perché mostra una strada a tutti coloro che nel nostro paese lottano per costruire una alternativa politica.
Rifiutarsi di rispettare leggi e regole ingiuste e antipopolari, denunciare sistematicamente i soprusi (grandi e piccoli) quotidiani, organizzare e mobilitare attorno alla violazione di provvedimenti che minano e ledono i diritti delle masse popolari è concretamente un modo per passare dalla difesa all’attacco.
Sono atti che portano in sé e mettono in evidenza il principio che se si passa dalla difesa all’attacco, sono le autorità borghesi a doversi mettere sulla difensiva. La forza di ogni atto di insubordinazione sta nel fatto che è reso possibile e si avvale della vasta complicità e mobilitazione delle masse popolari, che trasforma l’insubordinazione individuale in atto politico, in linea di prospettiva, in organizzazione popolare.
Ringraziamo quanti ci hanno espresso solidarietà e facciamo appello ai compagni, ai sinceri democratici, ai progressisti di continuare a sostenere in ogni modo l’azione e l’agibilità dei comunisti e di tutti coloro che lottano per costruire una alternativa politica nel nostro paese.
E’ legittimo, anche se illegale, tutto ciò che corrisponde agli interessi delle masse popolari!
Difendere la Costituzione e applicarla in ogni campo!
Organizzare, mobilitare e coordinare i comitati per il NO al Referendum sulla Costituzione!
Federazione Lazio- PCARC
FB: Partito dei Carc-Federazione Lazio