Non sono i padroni a essere forti, è la classe operaia che deve far valere la sua forza

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Questo era il titolo del volantino che abbiamo diffuso al corteo regionale a Milano in occasione dello sciopero del 9 giugno indetto da FIOM, FIM e UILM per il CCNL. Quello che abbiamo raccolto dagli operai che hanno partecipato alla manifestazione conferma ed estende il significato di quella frase.
Per prima cosa: come è andato lo sciopero? I dati della FIOM parlano di un’adesione superiore all’85% con picchi del 100% in alcune aziende. La partecipazione al corteo è stata di certo massiccia, più di 10 mila persone.
Parlando con molti operai FIOM trapelava un chiaro scetticismo nei confronti della decisione di indire sciopero e corteo unitari con FIM e UILM, mossa intesa come la ricerca, da parte dei vertici FIOM, di unità ad ogni costo “ben sapendo che questi ci lasceranno a piedi appena hanno l’occasione”. Da questa decisione deriva anche lo scetticismo sul fatto che la FIOM stia perseguendo la strada più adeguata per conquistare un contratto dignitoso. Alcuni portavano come esempio di questo scetticismo il fatto che nelle loro aziende l’adesione allo sciopero del 20 aprile fosse stato sopra l’80% e il 9 giugno neppure raggiungesse il 30% e che alla manifestazione del 20 aprile la partecipazione dei loro compagni di lavoro fosse di qualche decina di persone e il 9 giugno fossero in pochi oltre le RSU.

Dalla testa del corteo e fino a buona metà, molto alta la visibilità della UILM, a dimostrazione che il gruppo dirigente di quel sindacato ha curato in modo particolare che fosse notata la partecipazione dei suoi iscritti in modo organizzato e capillare.
A fonte di alcuni spezzoni numerosi e combattivi (uno su tutti, ma non è l’unico caso, quello della FIOM di Mantova) erano presenti in forze ridotte fabbriche in genere rappresentative, per numero e combattività (un esempio su tutti la SAME di Treviglio).
Al corteo abbiamo diffuso un questionario (“Inchiesta operaia”, è anche on line) e ne abbiamo raccolte alcune decine compilati. I dati sono ovviamente parziali, ma emergono aspetti interessanti e importanti, inoltre la compilazione del questionario ci ha permesso di ragionare più a fondo con gli operai disposti a discutere delle loro risposte.

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Le risposte al questionario (risposte multiple, la somma delle percentuali non dà il totale)

SUL CONTRATTO

Cosa dovrebbe fare la FIOM?

  • Trovare un accordo unitario (anche con FIM, UILM e UGL) anche a costo di cedere qualcosa – 25%
  • Una mobilitazione più decisa degli operai (più ore di sciopero, più manifestazioni) – 38%
  • Cercare convergenze con le altre categorie in lotta per il CCNL e altri settori sociali (studenti, beni comuni, difesa della Costituzione, sindacati di base, ecc.) – 52%

PROBLEMI

Nell’azienda in cui lavori

  • Annuncio o voci di chiusura e delocalizzazione – 5%
  • Annuncio di licenziamenti – 5%
  • Rapporti con proprietà e/o preposti – 40%
  • Cassa integrazione – 5%
  • Sicurezza e condizioni di lavoro 20%
  • Obbligo di straordinari – 5%
  • al momento non ci sono particolari problemi – 20%
  • altro (straordinari non pagati, altro) – 18%

ORGANIZZAZIONE

Nell’azienda in cui lavori

  • C’è solo la RSU, ma da sola non basta – 50%
  • C’è solo la RSU, ma riesce a lavorare bene – 31%
  • C’è la RSU e ci sono anche altri organismi (Comitato iscritti FIOM, comitati informali, ecc.) – 2%
  • Non risponde – 17%

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Alcune riflessioni sui dati. “Cercare convergenze con le altre categorie in lotta per il CCNL e altri settori sociali (studenti, beni comuni, difesa della Costituzione, sindacati di base, ecc.)” significa far diventare la battaglia per il CCNL una questione politica. In effetti lo è già, solo le dirigenze sindacali (le dirigenze dei sindacati di regime per la loro sottomissione al governo Renzi, le dirigenze dei sindacati di base e conflittuali per il loro settarismo) si ostinano, con fatica, a mantenere la questione in un ambito strettamente vertenziale, sindacale, slegato dal contesto generale e dalla lotta politica. Il CCNL dei metalmeccanici fa legge, dietro ad esso si attestano direttamente o meno tutti i CCNL di tutte le categorie. I metalmeccanici hanno chiaro che è decisivo unire la lotta per il loro CCNL a quella delle altre categorie. Questo implicherebbe una mobilitazione generale contro cui governo e padroni potrebbero poco (il principio è che in una battaglia bisogna mettersi 10 contro uno: non importa quanto sia forte il nemico, l’unità è più forte di ogni nemico; usare la forza di tutti per vincere la singola battaglia, decisiva).
“Una mobilitazione più decisa degli operai (più ore di sciopero, più manifestazioni)” da parte della FIOM, significa far diventare la battaglia per il CCNL una questione pubblica, un problema collettivo, una questione di ordine pubblico. Ha dato questa risposta il 38%, in molti hanno però aggiunto che in tal caso, probabilmente, il resto degli operai non sarebbe stato disposto a una lotta simile. Ma quella risposta è stata data da un numero maggiore di chi pensa che la FIOM debba “Trovare un accordo unitario anche a costo di cedere qualcosa” (25%). Quindi? Quindi, compagni metalmeccanici e compagne metalmeccaniche, il dubbio che il grosso degli operai non vi segua in una lotta più radicale (c’è anche chi ha voluto specificare per iscritto “sciopero a oltranza” e chi ci ha detto a voce “Fare come in Francia”) è frutto della combinazione di due aspetti:

a. un basso livello di discussione, di confronto, di abitudine al ragionamento collettivo;

b. una tendenza alla delega ancora molto radicata e diffusa.

Entrambi gli aspetti, per chiarezza, non sono dimostrazione che “gli operai italiani sono pavidi e non capiscono niente”, ma sono precisa dimostrazione che devono prendere coscienza della loro forza e devono imparare a farla valere, devono imparare ad agire in prima persona per far valere i loro interessi collettivi.

Dal 50% dei questionari raccolti emerge che in ogni azienda c’è la RSU, “ma da sola non basta”. Non basta, lo deduciamo dalle altre risposte prese in esame, a promuovere il protagonismo degli operai in fabbrica, a creare le convergenze con altre categorie in lotta e con altri settori sociali, né a imporre lotte più radicali. Non basta neppure a difendere i diritti in azienda: il 40% di quanti si sono espressi sostengono che il principale problema nell’azienda in cui lavora sono i rapporti con la proprietà e i preposti. Cioè lavorano in un clima ostile, un ambiente opprimente. Oltre al Jobs Act, agli straordinari non pagati, agli straordinari comandati, al CCNL che non viene firmato, alle condizioni sempre più insicure…. Quando il padrone attacca, attacca su tutto e vuole vincere su tutto: dal salario, al tempo di lavoro, alle condizioni di lavoro…

Conclusioni. La battaglia per il CCNL è tutta aperta. Gli alleati dei metalmeccanici sono i lavoratori di altre categorie, i dipendenti pubblici, gli studenti, i movimenti popolari, non le opinioni favorevoli di funzionari, ministri, portaborse o giornalisti. Gli operai lo sanno.
Quando gli operai scendono in lotta, riescono facilmente ad aggregare e mobilitare il resto delle masse popolari: gli operai francesi lo dimostrano, come tanti altri esempi grandi e piccoli nel nostro paese. La questione è che va fatto ora.
Va fatto per vincere la battaglia del CCNL, ma non è possibile vincerla senza sollevare il paese contro padroni, speculatori e governo. Va fatto per difendere la Costituzione, ma non è possibile difenderla se non la si applica nelle sue parti più democratiche e popolari e questo nessun governo dei vertici della Repubblica Pontificia lo ha fatto mai e mai lo farà. Va fatto per costruire una alternativa al corso delle cose che la classe dominante impone al paese. Va fatto perché politicanti e manager hanno portato il paese alla rovina e tocca agli operai, ai lavoratori, alle masse popolari, legati al loro partito comunista, salvarlo dalla catastrofe e rimetterlo in piedi. Va fatto perché è il governo delle aziende (cosa produrre, quanto produrre, come distribuirlo) la base materiale per il governo della società e del paese, la base materiale del Governo di Blocco Popolare (a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessuna azienda deve essere chiusa, a ogni azienda quanto serve per funzionare).
La RSU da sola non basta. E’ vero. Occorre promuovere la più ampia partecipazione degli operai nella gestione dell’azienda (imparare a gestirla) e nel proiettare la loro forza e organizzazione fuori dall’azienda, nel resto della società. Servono organismi similari a quelli che erano i Consigli di Fabbrica negli anni ‘70 e nella storia del movimento operaio (vedi Gramsci). Le organizzazioni degli operai e degli altri lavoratori che fanno questo sono la base per costituire un governo d’emergenza popolare e farlo ingoiare ai padroni. Il P.CARC sostiene e organizza ogni lavoratore che si mette su questa strada, che decide di prendere in mano il proprio futuro.

Comunicato del 15 giugno 2016 della Segreteria Federale Lombardia – Piemonte

 

Uscire dalle aziende, legarsi al territorio. Un esempio concreto lo abbiamo avuto nello stesso giorno dello sciopero, dove gli operai fiorentini di GKN e CSO hanno partecipato al corteo di Livorno della mattina e in serata, davanti ai cancelli della prima fabbrica, hanno dato vita a un presidio informativo e di dibattito sulle forme di lotta da adottare contro le numerose nocività della Piana fiorentina, in particolare contro la costruzione dell’inceneritore e il raddoppio dell’aeroporto di Peretola. Vi hanno partecipato diversi operai, il comitato LUCI (Lavoratori Uniti Contro l’Inceneritore), i comitati impegnati nelle lotte ambientali della zona, le Mamme No Inceneritore. Questa è la via maestra per far diventare la lotta per il CCNL una questione politica, mettendosi in sinergia con gli elementi più avanzati degli organismi impegnati nella difesa dell’ambiente, della Costituzione (c’era il banchetto per la raccolta di firme per il NO al referendum di ottobre), per la difesa dei diritti strappati dalle masse popolari sotto la direzione del movimento comunista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. A Massa da poco si è formata la Lega dei cavatori, un esempio positivo di coordinamento fra lavoratori e masse popolari che conferma come sia possibile estenderlo in ogni zona, in ogni azienda e in ogni contesto.

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