Una premessa generale. Lo sviluppo del carattere collettivo delle forze produttive costringe sempre più i capitalisti a ricercare la collaborazione della classe operaia per far funzionare le loro aziende, cioè per valorizzare il loro capitale; dagli anni ’70 hanno progressivamente spinto i sindacati verso concertazione e compatibilità. Questi non si sono certo tirati indietro, come confermano le parole di Giorgio Benvenuto, uno dei capi della UIL all’inizio della crisi generale, quando affermava che i lavoratori dovevano “restituire una parte di quello che avevano conquistato”. In questo contesto sono nati i primi sindacati di base, che hanno avuto il ruolo di opporsi a questa degenerazione della linea sindacale e hanno raggiunto livelli anche importanti di consenso in settori particolarmente esposti agli attacchi della classe dominante.
Cosa succede oggi nelle organizzazioni sindacali? Grandi sommovimenti sono in corso in tutte le organizzazioni sindacali: sia, fra quelle di regime, quelle che continuano ad essere rappresentative di ampi settori di lavoratori (la CGIL), che in quelle di base e conflittuali. Sergio Bellavita, portavoce del Sindacato è un’Altra Cosa (sinistra CGIL), ha deciso di passare all’USB insieme a un gruppo di delegati e lavoratori, tra cui diversi operai degli stabilimenti FCA del Sud: è la sua risposta alla revoca del distacco sindacale imposto dalla dirigenza FIOM capeggiata da Landini. Acque agitate anche nei sindacati di base: scissione nell’USB e nascita di SGB, fuoriuscita del Coordinamento iscritti USB per il Sindacato di Classe, contrasti tra la CUB fiorentina e la direzione della CUB di Milano, espulsioni dal SiCobas.
Ognuno di questi scossoni è manifestazione della lotta generata dalla situazione oggettiva: data la crisi del capitalismo, le lotte rivendicative sono sempre meno vincenti e pagano sempre meno. E’ necessario un salto di qualità, portare la mobilitazione sul piano politico, cioè sul piano in cui la mobilitazione sindacale contribuisce alla costruzione dell’alternativa politica ai vertici della Repubblica Pontificia (vedi “Vogliamo il pane e le rose” su Resistenza n. 5/2016), alla costruzione del Governo di Blocco Popolare. I dirigenti della sinistra dei sindacati di regime e dei sindacati alternativi e conflittuali devono mettere in pratica questa linea, l’unica che consente loro di mantenere un ruolo positivo rispetto alla lotta di classe in corso, che consente loro di mantenere e rilanciare il seguito e prestigio di cui godono, che altrimenti, di sconfitta in sconfitta o di vittoria temporanea e parziale in vittoria temporanea e parziale si scioglierà come neve al sole.
Le titubanze, le resistenze e lo scetticismo nel fare questo passaggio di campo (è propriamente un passaggio di campo: i vertici della Repubblica Pontificia hanno tutto l’interesse a confinare ogni lotta nelle specifiche rivendicazioni per slegarla dalle altre, hanno l’interesse a scoraggiare e impedire che le tante lotte, vertenze, mobilitazioni si riassumano in un obiettivo unitario e superiore) creano gli attorcigliamenti, gli avvitamenti, i sommovimenti e la frammentazione in corso, solo apparentemente “senza senso”.
Le organizzazioni sindacali di regime sono già passate dalle lotte per strappare quanto possibile delle poche briciole che i padroni fanno cadere dal loro tavolo alla compatibilità totale con i programmi della borghesia imperialista, fino ad abbracciare la linea padronale come in occasione della firma da parte dei confederali del Testo Unico sulla Rappresentanza in nome dell’agibilità sindacale (come se questa dipendesse dai padroni e non dall’organizzazione, coscienza e mobilitazione dei lavoratori). Ma anche i sindacati di base, autonomi e conflittuali si trovano in mezzo al guado, tra la spinta a unire e coordinare le lotte rivendicative per dargli maggiore forza e incisività e quella verso una mobilitazione di tipo superiore, che oltrepassi il terreno prettamente sindacale e rivendicativo per occuparsi dell’assetto politico del paese.
Sindacato che fa il sindacato, sindacato che fa politica o partito? Oggi il sindacato che serve è quello che mobilita senza riserve ogni forza e approfitta di ogni condizione e appiglio per difendere diritti e strappare conquiste e tutto questo lo usa per mobilitare e organizzare i lavoratori a instaurare il socialismo. Perché nessuna azienda si salva da sola, un’azienda è in crisi perché è in crisi l’intera società e solo occupandosi dell’assetto politico e sociale del paese ogni lavoratore tutela i suoi interessi e diritti. Di fronte a ciò, molti funzionari e attivisti sindacali che hanno la bandiera rossa nel cuore (e sono tanti, anche come conseguenza del disfacimento dei partiti della sinistra borghese) finiscono in confusione perché, se ne rendano chiaramente conto o no, vorrebbero un sindacato che sia quello che un sindacato non può essere, un sindacato comunista. Da qui un “cortocircuito”, perché sindacato e partito comunista sono due cose sostanzialmente diverse. I comunisti sono i portatori tra i lavoratori di una coscienza e di un’organizzazione che li fa costruttori della società futura che nasce dalla società presente. Il sindacato deve mobilitare e unire i lavoratori in una lotta strettamente legata ai contrasti della società presente; è comunque molto importante il contributo che dà alla causa della rivoluzione socialista, perchè in esso i lavoratori trovano il primo contesto in cui imparano a organizzarsi collettivamente e a unirsi, a distinguere amici e nemici, apprendono i rudimenti della gestione collettiva della produzione, in definitiva li avvicinano alla lotta per instaurare il socialismo. I comunisti stanno in ogni organizzazione e ambiente in cui ci sono lavoratori sfruttati da mobilitare, quale che sia il sindacato cui sono iscritti: questo è il motivo, la condizione e lo scopo della loro presenza e attività, non la concezione e l’indirizzo di chi in quella organizzazione e in quell’ambiente comanda.
Organizzarsi e coordinarsi! Il sommovimento in corso nel mondo sindacale è una conferma che le condizioni in cui costruiamo la rivoluzione progrediscono. Sia sulla base del decorso della crisi generale del capitalismo, sia sulla necessità oggettiva di costruire un nuovo ordinamento sociale. Ma anche sulla base della nostra azione (propaganda, orientamento, direzione e organizzazione).
Ai lavoratori combattivi, che pensano che il sindacato debba fare bene il suo lavoro al servizio dei lavoratori, noi del P.CARC assicuriamo il nostro appoggio per il successo delle lotte che conducono, quale che sia il sindacato cui sono iscritti. Ai lavoratori comunisti diamo l’indicazione di mobilitare, in ogni organizzazione sindacale in cui si trovano, i lavoratori combattivi a organizzarsi al di là del sindacato di appartenenza per creare le condizioni necessarie a costituire il Governo di Blocco Popolare. Il P.CARC, che della costruzione del Governo di Blocco Popolare fa il suo principale obiettivo immediato, ha bisogno anche di loro, della loro esperienza, della loro combattività e della loro intelligenza.